I Domenica Avvento - A

Pubblicato in Domenica Missionaria
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“Nell’attesa della tua venuta”

Con gioia inizio con voi quest’anno liturgico nella contemplazione della Parola di Dio domenicale. Il “taglio” dei miei interventi di questo periodo di Avvento sarà eminentemente biblico, laicale e missionario. Biblico perché innamorarsi delle Scritture è innamorarsi di Cristo, mentre, come diceva il grande Girolamo, “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”; laicale, perché la mia meditazione rifletterà il mio angolo di marito, padre, professionista (sono un medico); missionario perché sono il Segretario del CO.RO. (Comitato Roraima di solidarietà con i Popoli Indigeni del Brasile) che lavora per i Missionari della Consolata di Roraima (www.giemmegi.org).

Innanzitutto facciamo conoscenza con l’Evangelista che ci accompagnerà quest’anno: è Matteo, un “impuro” perché pubblicano e quindi collaborazionista con il regime di Roma (Mt 9,9), che Gesù chiama, tra lo scandalo generale, a diventare uno dei suoi intimi: il suo nome è assonante con “Maththaìos”, “Discepolo”: Matteo è il modello del discepolo che, “lasciando tutti, lo seguì” (Lc 5,27-32). Matteo scrive il suo Vangelo per i cristiani provenienti dall’ebraismo: è “uno scriba («sofer») divenuto discepolo del regno dei cieli” (Mt 13,52). La sua è una comunità molto legata alla tradizione giudaica (Mt 5,18-19: “Non passerà neppure un iota o un segno dalla legge”; 10,5-6: “Non andate dai pagani”), che però solo in Gesù trova l’esegesi e il compimento della Legge (12,7: “Signore del sabato”; 5,17: “Sono venuto a completare”; 5,20-48: “Ma io vi dico…”…). Ma Matteo afferma che questa comunità è chiamata a diventare il Nuovo Israele, aperto a tutte le genti (8,11-12: “Molti verranno a sedere alla mensa di Abramo”; 21,43: “Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttare”; 24,14: “Il Vangelo sarà annunciato a tutte le genti”; 28,19: “Andate e battezzate tutte le nazioni”…).

La Liturgia odierna inizia proprio nel segno della missionarietà: il profeta Isaia nella prima lettura (Is 2,1-5) ci mostra che la venuta definitiva del Signore vedrà accorrere al Regno di Dio tutte le genti. Sarà un momento splendido, di riconciliazione tra tutti i popoli, giorno in cui il sogno dell’agognata pace finalmente si realizzerà, e la luce del Signore sarà finalmente tutto in tutti.

La seconda lettura e il Vangelo ci esortano ad un’attesa vigilante ed operosa di questo Regno che viene per tutti. Paolo afferma: “E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce” (Rom 13,11-14). E Gesù nel Vangelo: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà… Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà” (Mt 24,37-44).

Ogni Eucarestia è preludio e segno del grande banchetto escatologico (Is 25,6-9; Lc 14,15.24; Ap 19,9.18). “L’Eucarestia… è sempre realtà intermedia o convocazione parziale tra il banchetto pasquale di Gesù e il festino universale delle nazioni a cui necessariamente rimanda e che prepara di volta in volta… Per questo, fin dalla prima generazione cristiana, partecipare all’Eucarestia voleva dire ricevere un «germe di immortalità», un «antidoto contro la morte», un «ius ad gloriam» anche per il nostro corpo, un pegno e una caparra, insomma, della resurrezione - transfigurazione finale… L’Eucarestia non è solo un banchetto commemorativo, ma anche anticipativo, perché la Pasqua del Signore è già vittoria sicura sulla morte e su tutte le potenze avverse… Così ogni celebrazione eucaristica è «viatico», tappa nel cammino della speranza verso la «terra promessa», ma insieme nuova forza per riempire della gloria di Cristo ogni realtà presente” (P. Visentin).

Infatti, dopo aver pronunciato le parole sul calice, Gesù afferma: “In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio” (Mc 14,25). Si noti che quest’accenno escatologico è presente in tutte le narrazioni di istituzione dell’Eucarestia (cfr anche Mt 26,29, che aggiunge al “berrò” la precisazione “con voi”; Lc 22,18; 1 Cor 11,26), al punto che alcune liturgie orientali includono questo versetto nelle formule di consacrazione eucaristica. “Nella parola sul calice…, la prospettiva della morte prevaleva su quella dell’avvenire, della gloria… Nella parola escatologica, gli accenti sono capovolti. La morte viene assorbita nell’espressione «non berrò più», ma in un certo senso viene assorbita dalla certezza dell’ultimo banchetto… Un termine qualifica questo successo: il vino del banchetto celeste viene detto «nuovo» (“kainon”), cioè non «giovane» in rapporto a «vecchio», ma radicalmente diverso, inventato, inaspettato, proprio come la terra nuova e i cieli nuovi… In tal modo il pasto detto «eucaristico» viene posto in rapporto al banchetto escatologico… Perciò l’Eucarestia… non ha valore assoluto e deve essere sempre messa in rapporto al «cielo» che prefigura e che non è ancora presente” (X. Léon-Dufour).

“L'acclamazione che il popolo pronuncia dopo la consacrazione opportunamente si conclude manifestando la proiezione escatologica che contrassegna la Celebrazione eucaristica (cfr 1 Cor 11,26): «nell'attesa della tua venuta». L'Eucaristia è tensione verso la meta, pregustazione della gioia piena promessa da Cristo (cfr Gv 15,11); in certo senso, essa è anticipazione del Paradiso, «pegno della gloria futura» (Solennità del Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo, antifona al Magnificat dei II Vespri). Tutto, nell'Eucaristia, esprime l'attesa fiduciosa che «si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo» (Messale Romano, Embolismo dopo il Padre nostro) ” (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia).

Nell’Eucarestia noi non adoriamo un cadavere, ma colui che è il Vivente oggi e sempre. La Messa perciò, mentre è proclamazione del primo avvento del Signore, è anche annuncio della sua seconda e definitiva venuta: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11,26). Ecco perché nella liturgia eucaristica dei primi cristiani risuonava proprio il grido: “Maranatha! Vieni, o Signore!” (1 Cor 16,22).

Scriveva il cardinal Pellegrino: “Vi sembra possibile… celebrare la Messa e poi tuffarsi nella realtà di ogni giorno lasciandoci inghiottire dalle cose che passano, senza alzare il capo in attesa vigilante – la «apokaradokìa» di cui parla Paolo ai Romani (8,19) – a Colui che verrà per prenderci con sé, «e così saremo sempre col Signore» (1 Ts 4,17)? Apprezzare tutti i valori della vita, vedere nelle realtà terrestri i doni con cui il Padre vuol rendere più bella l’esistenza dei suoi figli, è atteggiamento perfettamente cristiano. Non presentiamo al Padre, nella Messa, il pane e il vino, frutti della terra, della vite e del nostro lavoro? Non sono queste umili cose della vita quotidiana gli elementi scelti da Cristo per rendersi presente come cibo di vita eterna e bevanda di salvezza? Ma come sull’altare il pane e il vino non restano tali, così tutta la realtà terrestre è, nel disegno di Dio, scala per salire a lui. Il monito di Paolo è chiaro e deciso: «Se la nostra speranza in Cristo fosse circoscritta soltanto a questa vita, saremmo i più miserabili di tutti gli uomini!» (1 Cor 15,19). Come l’apostolo anela a salpare dal porto dell’esistenza terrena per «essere con Cristo» (Fil 1,23), il cristiano pienamente consapevole della sua vocazione sa cosa significa l’«impazienza di Dio»…, il «querere Deum» del salmista…, l’immagine del cervo che anela alla fonte d’acqua viva (Sl 42)”.

Abbiamo perso questa dimensione di attesa: invece “la caratteristica dei cristiani è che aspettano” (Schlatter). Oppure talora attendiamo la venuta del Signore con la noia con cui... si aspetta il tram alla fermata. Le letture odierne ci invitano all'entusiasmo, alla veglia gioiosa, ad uscire da un cristianesimo “addormentato” (Mt 24,42; Rm 13,11), per attendere il Signore con l'ansia con cui l'innamorata attende l'innamorato (Ct 3,1-4; 5,2), la sposa lo Sposo, colui solo che può darci senso, liberazione, pienezza di vita, Amore.


Is 2,1-5;
Sal 121;
Rm 13,11-14;
Mt 24,37-44

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12

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