III Domenica di Quaresima - A

Pubblicato in Domenica Missionaria
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"Signore, dammi di quest'acqua"


Es 17,3- 7
Rm 5,1-2.5-8
Gv 4,5-42

Dalla terza alla quinta domenica di Quaresima, la Liturgia ci invita a riflettere sul mistero della nostra salvezza attraverso i simboli dell’acqua (terza), della luce (quarta), della risurrezione e della vita (Quinta). È una simbologia che serve non soltanto da catechesi ai catecumeni che si preparano al Battesimo nel giorno di Pasqua, ma che può essere di aiuto anche per noi a scoprire Gesù come fonte unica di salvezza.

Infatti, la caratteristica propria di questa domenica di Quaresima è che tutti i testi liturgici sono riferiti, in bella unità, attraverso il simbolismo dell'acqua, al sacramento pasquale del battesimo. Nella prima lettura -Es 17,3-7-, il Signore ispira l'intervento miracoloso di Mosè per trovare l'acqua per il suo popolo, che aveva già cominciato a pentirsi di aver abbandonato le certezze della sua schiavitù in Egitto:“Perché ci hai fatto salire dall'Egitto, per far morire me, i miei figli e il mio bestiame di sete?” (17,3); Mosè fa ricorso al Signore e il Signore risponde:“colpirai la roccia e ne uscirà acqua. Il popolo berrà” (17,6). Al di là di Mosè è Dio ad essere preso in mira dalla collera e dal dubbio del popolo. “Il Signore è in mezzo a noi o no?” (17,7). È la domanda tipica della “sfida”. “Sì o no?”, un insolente ultimatum. È il rifiuto di avere fiducia in Dio: la negazione dell'alleanza! Ora Dio risponde : Ecco, io sto davanti a te”.(M. Gobbin). Il salmo 94 ricorda questo indurimento del cuore, pur dopo gli straordinari segni della potenza di Dio, ed il salmista invita tutti a adorare e ad aver fiducia nel Signore: Egli governa il mondo.

Nella lettera di Paolo ai romani -Rm 5,1-2.5-8- c'è uno elemento chiarissimo e importante: gli effetti della giustificazione. Per Paolo essa produce due effetti: il primo è la pace con Dio per mezzo del signore Nostro Gesù Cristo e il secondo è la divina adozione par il battesimo.

Nella pagina stupenda del Vangelo di Gv 4,5-42, la simbologia dell’acqua raggiunge tutta la pienezza del suo significato. Come abbiamo già fatto allusione, la liturgia interpreta l'"acqua viva" e "lo Spirito", di cui parla Gesù nel Vangelo di Giovanni, in riferimento al Battesimo. L'episodio evangelico ruota intorno ad una richiesta di acqua: «Dammi da bere».(4,7) . Ma, Con un evidente utilizzo di significati duplici, Giovanni descrive quest'incontro di Gesù con una donna samaritana. C'è un attento dialogo che muove dalla sete naturale alla sete latente di Dio, e dall'acqua naturale all'esperienza di Dio in Gesù Cristo”. L'intento più profondo, però, dell'evangelista e della Chiesa è provocare l'interesse per Gesù, la scoperta della sua persona e l'adesione di fede in Lui. Il brano da una parte presenta Gesù che progressivamente si rivela e dall'altra il lento itinerario alla fede di una donna samaritana. Un itinerario esemplare per noi. Anzitutto, Gesù e la donna parleranno attorno all'immagine dell'acqua viva (4,5-15),  di seguito parleranno del discorso sul culto (4,16-26), dopo  l'annuncio e la testimonianza della donna alla sua gente (4,27-30), il raccolto in prospettiva (4,31-38) ed infine la realtà del raccolto: la fede dei samaritani. Parleremmo dunque dell'acqua e del battesimo, rinunziando a sviluppare altri temi, pure molto importanti, presenti in questo brano.

«Dammi da bere»(4,7):Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicino al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio (Gn 33,19; 48,22): qui c'era il pozzo di Giacobbe (Gn 29, 2-10; Nm 21,16-18:“Di là andarono fino a Beer: è quel pozzo di cui il Signore aveva detto a Mosè: «Raduna il popolo e darò loro dell'acqua».   Allora Israele compose questa canzone: «Sgorga, o pozzo: cantatelo;   pozzo che i prìncipi hanno scavato, che i nobili del popolo hanno forato con lo scettro, con il loro bastone”). Gesù, stanco del viaggio sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna samaritana, appartenente a una razza eretica, e quindi maledetta ai suoi tempi e per di più una donna, notoriamente peccatrice. Le disse Gesù: "Dammi da bere". Gesù è stanco, ha veramente sete: abbiamo qui un rapido flash sull'umanità del Figlio di Dio. Ma non si tratta solo di avere un po' d'acqua per dissetarsi. “Dare acqua, elemento scarso e quindi prezioso, era segno di accoglienza e ospitalità (cfr. Mt 10,42; Mc 9,41). Chiedendola, stanco del cammino, Gesù, che viene dalla Giudea (1,1: casa sua; 4,44: la sua propria terra), dove è stato rifiutato, chiede di essere accolto in Samaria; in cambio dell'ospitalità, egli darà la sua propria acqua.” (J. BARRETO). Però, come dice Sant'Agostino "Colui che domandava da bere aveva sete della fede della samaritana". Perciò, al mezzo dialogo, la samaritana venne a chiedere a Lui:"Signore, dammi di quest'acqua!" (v.15).

Leggendo questi commoventi versetti, spontaneamente mi viene in mente un altro momento della vita di Gesù. Quando, crocifisso, provato dalla sete, grida "Ho sete". E non ci pare che quella richiesta dalla croce si rivolga a me, a noi, oggi? Chi non ha sete di quell'amore?
Vorrei fossero mie le parole del Salmo 63: "Tu, Signore, sei il mio Dio e io ti cerco. Di te ha sete l'anima mia, ti desidero con tutto me stesso. Sono terra arida, senz'acqua, secca. Così ti ho cercato nel tuo santuario per conoscere la tua forza e la tua gloria" (Salmo 63).
Papa Giovanni XXIII ha avuto una splendida immagine di questa sorgente: immaginò la Grazia come una fontana di acqua viva che si offre a chi ha sete nel mezzo della piazza del paese, in modo che tutti, senza distinzione, si tolgano la sete.

«Signore, - gli dice la donna - dammi quest'acqua, affinché io non abbia più sete e non debba più venire qui ad attingere»  (v.15)

Gesù attraverso il suo metodo scava nell'interiorità della donna, per far nascere in lei il desiderio di qualcos'altro. Le propone un'acqua viva:“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere", tu gli avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva (4,10). Questa risposta di Gesù accende nella donna una curiosità. Lui le parla del dono di Dio ( il dono di Dio che riconosce le divisioni causate dalle ideologie; il dono di Dio che non distingue fra alcuni uomini e altri, perché il suo amore si rivolge all'umanità intera; il dono di Dio  è Gesù stesso), parla  di un'acqua viva. Quest'acqua viva ha delle caratteristiche particolari: è data da Gesù, estingue la sete per sempre, quindi che ha un potere salvifico, permanente. Però, dall'altra parte, la donna propone un suo ragionamento, molto concreto, molto terra terra, efficace e ancorato alla tradizione: gli disse dunque la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?" (4,11-12). La donna, impressionata dalla frase di Gesù, lo chiama rispettosamente “Signore”. La donna domanda si Gesù fosse più grande che il loro padre Giacobbe. Notiamo con BARRETO che quel pozzo aveva dietro di sé tutto il prestigio di Giacobbe, l'antenato glorioso, del quale i samaritani si consideravano discendenti. Era stato un dono di Giacobbe ai suoi figli, vale a dire al suo popolo. Il pozzo rendeva presente la sua memoria e l'ascendenza dei samaritani... Il pozzo significava dunque la Legge, sintetizzava le figure dei patriarchi e quella di Mosè il legislatore. Però la donna conosce il dono di Giacobbe (ci diede), ma disconosce quello di Dio. Le pare incomprensibile che Gesù proponga un'altra acqua  viva, come se potesse esservene una differente dalla Legge.

Gesù propone a sua volta una riflessione, in parte altrettanto realistica e comprensibile, e in parte sempre realistica dal punto di vista di Gesù, ma ancora incomprensibile per la donna. “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete” (4,13), e fin qui la donna riesce a capire, ma quando dice: “ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (4,14). Questa risposta mostra l'insufficienza del dono fatto da Giacobbe. Ha dato un'acqua che non toglie mai definitivamente la sete... Gesù la fa comprendere, esponendo l'eccellenza del suo dono. Egli offre a tutti la sua acqua, secondo il testo di Is 55,1 “Oh, voi che avete sete, venite alle acque; anche chi non ha denaro, venga! Comperate e mangiate senza denaro e senza prezzo vino e latte”.  La donna crede di capire, in realtà capisce una cosa per l'altra. Risponde infatti: “dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”(4,15). Per BARRETO, Gesù iniziò chiedendo acqua e termina promettendola: si sono rotte le barriere; la donna samaritana chiede l'acqua a lui, il giudeo. Al principio Gesù fa presente la sua necessità fisica, comune a ogni uomo, e ora si offre per calmare la sete di vita piena, l'anelito più profondo dell'uomo. Gesù non si sofferma su ciò che è culturale né su ciò che è religioso; va alla radice, all'uomo come creatura, corporea e personale, quella che stabiliscono la sete e l'amore.

Con la risposta della donna “dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”(4,15) la donna  “si dichiara disposta ad abbandonare per sempre il pozzo della Legge e della tradizione, che rappresenta la sua storia, ma che non è riuscito ad appagare i suoi desideri... Lei è stanca di venire al pozzo che non le calma la sete. Vede il valore della vita e la desidera. Si lascia illuminare dalla luce che splende in Gesù (J. BARRETO).

Conclusione:

Il colloquio di Gesù con la samaritana gira intorno all'acqua e alla sete e noi  ci distinguiamo per la grande sete che abbiamo. La sete è qui immagine della condizione umana, che è caratterizzata dal desiderio. Dalla nascita alla morte noi uomini desideriamo senza sosta... Le nostre giornate sono piene di sogni, speranze, aspirazioni, desideri. Però il più delle volte è sete che non fa bene: sete di ricchezza, sete di piaceri, sete di tante cose che sono acqua da cisterne avvelenate su cui ci avventiamo ogni giorno per dissetare la nostra sete di amore, di felicità, di santità o chissà di quale altra sete, forse innominabile. Quante volte ci sentiamo come "la cerva che anela per la sete"! E non ci vengono offerte o, forse, non cerchiamo noi stessi altro che cisterne avvelenate, che si rivela insufficiente.

L’acqua misteriosa che Gesù promette alla donna samaritana, è un’acqua che diventerà, nel cuore di tutti coloro che si accosteranno a Lui, fonte zampillante di salvezza e di vita eterna. Gesù è la sorgente viva di quest’acqua, la roccia percossa sulla croce, dal cui Cuore squarciato sgorgheranno lo Spirito Santo, la Chiesa e i Sacramenti, i doni meravigliosi del suo amore divino. "Chi ne beve non avrà più sete". Non che tolga all'uomo il desiderio, ma interrompe il ciclo infinito dei desideri che non trovano mai riposo.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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