At 1,1-11;
Sal 46;
Ef 1,17-23;
Mt 28,16-20
Oggi si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore alla destra del Padre. Sappiamo che la nostra fede si basa su fatti storici, concreti, come la nascita di Gesù, la sua passione e morte, la sua resurrezione testimoniata in maniera estremamente ampia dai Vangeli, e, infine, la sua ascensione al Cielo. Questi episodi veridici, però, assumono altresì una grandissima valenza spirituale che attraversa tutti i secoli. L’Ascensione di Gesù, in particolare, evidenzia il cammino dell’umanità verso un punto preciso che è l’incontro con Dio nella grande festa di nozze della Gerusalemme Celeste. L’uomo è incompleto fino a quando non si unisce in maniera definitiva a Dio, suo Creatore, suo Padre, sua Vita, suo Tutto. Il brano degli Atti degli Apostoli che la Chiesa ha scelto per questa celebrazione attesta che “Gesù si mostrò ad essi vivo dopo la sua Passione, con molte prove”: è la certezza della Resurrezione che infonde nella comunità ecclesiale e nel mondo un messaggio di speranza, di luce, di ottimismo cristiano sul presente e sul futuro. L’Ascensione di Gesù ci apre queste prospettive ultraterrene dopo la morte, prospettive di eternità, di felicità senza fine, di paradiso. Ma tutto ciò non ci distrae né aliena dal vivere la realtà quotidiana dell’esistenza, bensì ci spinge ad affrontarne le esperienze e le vicissitudini con maggiore intensità di Amore, con maggiore missionarietà di Annuncio del Vangelo, con un’attenzione più grande ai piccoli e ai poveri. L’Ascensione di Cristo, insieme alla sua Resurrezione, lo fa entrare effettivamente nel nostro essere, nel nostro cuore, nella nostra mente, nei nostri pensieri e ci porta a collocarci in una dimensione di fraternità, di generosità, di apertura agli Altri. Leggendo nella prima Lettura che “questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al Cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in Cielo”, sperimentiamo la grande attesa del ritorno finale del Signore sulla terra e della instaurazione definitiva del suo Regno. Nella prima Chiesa questa attesa era vivissima; il ritorno di Gesù è il compimento e la realizzazione di tutta la storia umana e di tutto il cosmo. Portare nel cuore questa speranza e questa attesa significa vivere l’oggi con grinta, con passione, con desiderio di annunciare il Regno, significa non sprecare i talenti, non chiudersi nel proprio piccolo egoismo e nelle secche del proprio porticciolo, ma prendere il largo ed assumere la responsabilità della comunicazione del Vangelo e della Carità, della Misericordia verso il prossimo, soprattutto quando è solo, ammalato, diseredato, emarginato, senza voce. Attualmente si proclamano discorsi e filosofie troppo legati alle cose tangibili, che si vedono, si sentono, si olfattano, ci si concentra esageratamente sulle realtà terrene, materiali, c’è una impressionante caduta di speranza e di grandi orizzonti. Il grande Papa Giovanni Paolo II, nella sua Esortazione Apostolica successiva al Sinodo dei Vescovi Ecclesia in Europa, parla proprio dell’offuscamento della speranza e scrive: “Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza e non pochi cristiani condividono questi stati d’animo”. E’ urgente la riscoperta della Resurrezione di Gesù, della sua Ascensione al Cielo, dell’attesa del suo ritorno e della sua presenza in mezzo a noi, come dice il Vangelo, per vivere una vita più donata, più pronta alla magnanimità e al superamento delle nostre avidità e possessività. Le parole di Gesù, con le quali si conclude il Vangelo dell’Ascensione, “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, ci rafforzano nell’abbandono fiducioso a Colui che è con noi e conduce la nostra vita come buon pastore. Riscoprire questo affidamento al Signore, prevedere dei tempi di preghiera e di incontro con la Parola di Dio sono atteggiamenti supernecessari nell’epoca attuale esasperata dal caos, dalla nevrosi e, talvolta, piena di pessimismo e di sfiducia verso l’avvenire. Il Vangelo di oggi dice anche: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro …” e con questa espressione lancia il grande mandato missionario del Signore a ciascuno di noi e alla Chiesa. Annunciare il Vangelo non è questione di proselitismo, ma di dovere di Amore, perché tutti gli uomini possano conoscere la meraviglia di un Dio che ci è Padre, di un Gesù che ci salva, di un paradiso che ci aspetta. Venire meno al fuoco della missione vuol dire tradire gli uomini, tradire il mondo, tradire molte attese inconsapevoli e nascoste. L’umanità odierna ha sete di speranza, di prospettive, di autentica spiritualità. Molti, troppi si rifugiano in spiritualità devianti come la new age o altri movimenti spiritualistici che non si fondano sulla Resurrezione del Cristo. Per amore dei nostri fratelli e sorelle dobbiamo gridare alto e forte il suo nome. Solo in Lui c’è la salvezza, come dice San Paolo. Guai a noi se per timidezza o per strani ragionamenti pseudo-teologici o per dubbio o per indifferenza raffreddiamo il nostro annuncio del Signore ed entriamo in un relativismo che è il cancro maligno della cultura di oggi. “Andate, ammaestrate, insegnate” grida Gesù alla Chiesa, al credente, a ciascuno di noi; è determinante che ci apriamo all’obbedienza gioiosa della Parola di Dio e appunto per questo la seconda Lettura ci invita ad “una più profonda conoscenza di Lui, per comprendere a quale speranza ci ha chiamati”.
A Colei che ci è Madre, la Vergine Maria, chiediamo di condurci a questa “più profonda conoscenza”, ad aprirci alla speranza, al desiderio e all’impegno fattivo di portare al mondo questo sorriso di Vita, questa “eredità fra i Santi e la straordinaria grandezza della sua potenza”, come la chiama San Paolo. Guardando e celebrando l’Ascensione diventiamo più uomini, più veri, più generosi, più costruttori di quella pace che Gesù ci ha annunciato.