IV Domenica Di Quaresima

Pubblicato in Domenica Missionaria

“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita..” Lc. 15,1-3.11-32

 

Più ci avviciniamo alla Pasqua e più la Chiesa ci presenta l’ostinata misericordia di Dio Padre per l’uomo peccatore. Il periodo quaresimale è appunto il cammino faticoso del peccatore verso la sua Pasqua. Così fu per gli Israeliti la celebrazione della loro prima Pasqua in terra promessa(I let.);

è il mistero della nostra riconciliazione con Dio in Cristo(II let.); è il ritorno del figlio prodigo alla casa del Padre misericordioso(Vangelo).

> Gesù con la parabola del “Padre Misericordioso” – questo è il vero titolo, più che il “figlio prodigo”, perché il soggetto della parabola è il “Padre”, non il figlio; il padre prodigo di misericordia nei confronti del figlio prodigo di peccato – Gesù, dunque, vuole giustificare lo scandalo delle sue preferenze per i peccatori che ritornano a Dio, e il perdono che Dio concede a loro. Gesù cerca di far capire la ragione del suo modo di agire, in cui si rivela il comportamento di Dio Padre, un Padre che ti aspetta sempre, che non gode della morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva. Qui c’è il dramma non solo di un ipotetico peccatore, ma di tutta l’umanità peccatrice. Indubbiamente l’atteggiamento di Gesù, urta terribilmente i farisei, i quali esigevano un comportamento molto più duro da parte di Colui che si presentava come il portavoce di Dio.

> Perché questa parabola suscita in noi una profonda risonanza? Perché ci tocca da vicino nella nostra esistenza nel rapporto con Dio e col Figlio suo Gesù Cristo. Ognuno di noi dovrebbe personificarsi o col figlio minore( il figlio perduto), o col figlio maggiore(il figlio fedele).

Nella Bibbia il peccato è sempre nei confronti di Dio, non è mai un peccato neutro, ma è un’offesa ad una persona, è colpire sempre un Padre: Dio.

/ Inoltre il peccato è sempre una rottura di relazione: a) Con Dio, come figli. b) Con gli altri, come fratelli. c) E rottura di stima con se stessi. La nostra conversione consiste nel proclamare la riconciliazione e la misericordia che Gesù ha pagato per me, per noi, riconciliandoci con Dio, con i fratelli e con noi stessi.         La parabola di Luca è articolata in tre parti.

1. C’è una prima scena(vv.11-19) che ha per protagonista il figlio giovane. E’ la storia del peccato come un “andare fuori meta, fuori percorso”; il peccatore che va lontano da Dio. E Gesù nel racconto non risparmia niente per farci capire l’aspetto deprimente. Pertanto l’itinerario del peccatore è descritto con poche efficaci battute: si fa dare i soldi dal papà, si allontana da casa, va nel paese di Bengodi, dilapida il suo denaro, sperpera tutto in una dolce vita, ma poi, finito tutto, deve andare a servizio da un signore di quella terra straniera, per non morire di fame. Il tratteggio della sua sorte raggiunge il colmo della degradazione per un ebreo, quando il povero ragazzo deve guardare, per sfamarsi, una mandria di porci, animale considerato impuro dagli ebrei e quindi riluttante e nauseante! Ma proprio allora incomincia, fortunatamente, il cammino del ritorno: è la conversione, che nella Bibbia è espressa con il verbo “ritornare”. Quel giovane è da ammirare, perché non si è lasciato prendere dalla disperazione ma dalla fame, e questa è stata la sua salvezza:

“mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato”..

2. Seconda scena(vv.20-24). Qui emerge la figura del protagonista principale della parabola: il “Padre Misericordioso”, che dà la soluzione definitiva a tutto il racconto. Attraverso le poche pennellate con cui Luca lo dipinge, questo padre ci commuove. Al centro di tutto sta dunque il Padre, un Dio che si preoccupa di ogni peccatore al punto che non può rassegnarsi all’idea di perdere uno solo dei suoi figli. Un Dio tutto cuore, ridotto a un essere altro che pazienza eternamente aperta, perché non può mostrarsi pienamente “Padre”, finchè non vede di nuovo profilarsi all’orizzonte, la figura del figlio perduto. Aveva atteso il figlio da tanto tempo spiando l’orizzonte; ora appena ne scopre la presenza all’orizzonte, gli va incontro commosso, quasi non gli lascia il tempo di esprimersi, lo abbraccia, lo accoglie, lo perdona, invita subito tutti a far festa, e festa grande. Chissà quanto avrà sofferto in quel tempo di distacco! Sarà incanutito innanzi tempo per quel dolore, il massimo che possa avere un papà quando perde un figlio! Ma ora tutto è passato e dimenticato.

/ Essere “onnipotente” e accettare che il figlio minore se ne vada da casa e poi accoglierlo a braccia aperte quando ritorna.., questo modo divino di comportarsi si chiama “misericordia”.

Pertanto, questo Padre ha continuato ad amare il figlio che si era allontanato da lui; ma questo figlio non capiva quello che perdeva, finchè non fece l’esperienza della scelta sbagliata( i porci!). Ora questo Padre non è “offeso” perché il figlio ha sciupato tutto, quanto piuttosto soffre perché il figlio si è sottratto al suo amore di padre. Il nocciolo del peccato non è tanto il “fare cose cattive”, ma è di romperla con un padre che ci vuole bene, di non accorgerci che Dio ci ama e ci vuole felici.

/ Ora in casa del padre potrà avere l’anello(= autorità); i sandali(= uomo libero); la veste nuova(= la sua dignità e vita nuova ritrovata). Se il padre avesse trattato il figlio con “giustizia”, avrebbe forse recuperato qualcosa di ciò che il figlio gli aveva dilapidato, ma non avrebbe invece recuperato “suo figlio”. Il padre rivuole il suo figlio, non un operaio in più per la sua azienda. Prendere coscienza di Dio Padre misericordioso, significa anche prendere coscienza della propria dignità di figlio che nessuna colpa può annullare.

3. Terza scena(vv.25-32). Qui c’è ancora il padre al centro, ma nella sua relazione verso l’altro figlio, il maggiore. Il primogenito nella sua gelosia ricusa di confondersi col peccatore(“questo tuo figlio”), proprio come gli Scribi e i Farisei, che egli rappresenta nella parabola. E’ lo stesso atteggiamento di orgoglio del fariseo al Tempio, la cui preghiera era un’apologia di se stesso e della sua rettitudine! Gesù non ha mai perso la pazienza nei confronti dei peccatori più incalliti, non ha mai avuto imbarazzo a parlare con prostitute e pubblicani; ma non ha mai sopportato proprio questa categoria di persone: gli ipocriti. Nei loro confronti è implacabile: ”Guai a voi farisei e scribi ipocriti”..(in Mt.23, è un’ondata tempestosa di maledizioni e di sdegno!). Ora questo figlio maggiore è tipico modello del “giusto ipocrita. Costui, pur stando col padre, non ha capito in tanti anni, l’amore che il padre aveva pure per lui. Dovrà tuttavia imparare che lui sarà amato maggiormente dal padre solo se accoglierà a sua volta il fratello peccatore: il Padre che ama vuole che lo imiti nella sua misericordia. Dio va sempre incontro ai suoi figli; è Lui che corre verso il figlio minore che torna; è ancora Lui che va fuori a pregare il figlio maggiore che è chiuso nel suo

> Questi figli bisognosi di conversione siamo tutti noi: o lontani persi nel peccato, o presunti giusti, che non si credono bisognosi di salvezza. E per ciascuno di noi Dio esce di casa, Lui che è vicino a chi lo cerca, ma che non dimentica chi non lo cerca più!. E’ proprio il suo amore a precedere e a permettere la conversione. La cosa più importante da fare, secondo il Padre, è che: ”bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. / La parabola rimane aperta: non dice che il padre sia riuscito a convincere il figlio maggiore a partecipare alla festa, eppure la festa si svolge lo stesso in quella sala dove sta il figlio prodigo ritornato a casa e dove sta il padre. Chi non vuole entrare in quella sala a far festa col padre e col fratello “indegno”, si divide da loro e si esclude dal regno dei cieli.

// Giovanni Paolo II, commentando questa parabola nell’EnciclicaDives in misericordia”, annota come il racconto col suo stesso linguaggio sottolinei la diversa sensibilità del padre e dei figli.

Il padre parla solo di figlio perduto e ritrovato, morto e risuscitato, e al figlio maggiore parla di “questo tuo fratello”. In primo piano quindi vi è per lui il rapporto vivo, umano, interpersonale, il linguaggio dell’appartenenza allo stesso sangue. I figli invece parlano soltanto di eredità, di sostanze, di averi. Però la dolorosa vicenda del figlio minore lo porta anche ad una maturazione. Quando rientra in se stesso, egli non cerca un altro padrone che lo tratti un po’ meglio, ma pensa subito alla sua casa, a suo padre, comunque questi possa trattarlo. L’importante è dire: “mi alzerò e ritornerò da mio Padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te”...

Il mio peccato – scrive ancora il Papa – è contro Dio, ma Dio non è mai contro di me”. La Chiesa non è la comunità di chi non sbaglia, ma la comunità di coloro che pur avendo peccato, fanno ritorno al Padre. Solo se sapremo perdonarci, possiamo mangiare il Corpo di Cristo.

 

 

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