XX Domenica TO

Pubblicato in Domenica Missionaria
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Is 56, 1.6-7;

Sal 66;
Rm 11, 13-15.29-32;
Mt 15, 21-28

Due le riflessioni che possiamo trarre dalla liturgia di oggi: l’universalismo, la cattolicità della fede in Cristo e la forza della fede e della preghiera.

È facile per noi una tale affermazione, ma gli evangelisti Matteo e Marco scrivono il loro vangelo per un mondo in cui la buona novella era uno scandalo per i giudei e una stoltezza, un’entità trascurabile per i greci e per i romani.

Per gli ebrei infatti il messaggio di salvezza era riservato solo a loro; la legge mosaica escludeva dal culto impuri o menomati, come gli eunuchi ed anche gli stranieri. Lo fa notare la prima lettura di Isaia; lo si intravede dalla seconda lettura di Paolo, considerando privilegio degli ebrei la fede che essi rifiutano; lo afferma decisamente Gesù: “Non è bene prendere il pane e gettarlo ai cagnolini”. I giudei chiamavano i pagani “cani”. Gesù addolcisce il linguaggio, “cagnolini”, ma rimane la razza. La liturgia si svolge quindi in una problematica che ha agitato tutta la primitiva comunità. L’annuncio del vangelo è destinato solo a pochi eletti o è da portare ai pagani e ai lontani?

È una tentazione che può toccare anche noi, consacrati che ci possiamo considerare “eletti”. Ma non è la razza, l’appartenenza che salva, bensì la fede, quella degli stranieri di Isaia, quella della Cananea: “Donna, davvero grande è la tua fede”.

È proprio questo universalismo che intende affidarci oggi l’episodio della Cananea. Cananea: l’appellativo è di carattere religioso e non etnico; si vuole semplicemente dire che quella donna era pagana. Scrive Marco che era greca, di origine sirofenicia. In tutto il racconto di Matteo prevale il dialogo con una precisa finalità didattica. L’evangelista tende a mettere in luce due atteggiamenti di Gesù, solo in apparenza contrastanti, ma in realtà convergenti. Il primo è l’atteggiamento di Gesù, che sa di estraneità, se non di disprezzo. “Non le rivolse neppure la parola”, tanto che i discepoli si sentono quasi in dovere di intervenire in aiuto. Atteggiamento che ribadisce, richiamandosi alla propria missione “Non sono inviato che alla casa di Israele… non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani”.

Il secondo atteggiamento di Gesù è tutto al contrario. È il suo riconoscimento finale della grandezza della fede della donna cananea e il miracolo operato a distanza. Gesù si lascia vincere dalla insistenza della donna che dà prove sempre più convincenti della propria fede: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Signore aiutami”.

Vi sono tre buone ragioni che predispongono Gesù a favore della dona cananea. La donna è una madre che prega per la sua figlioletta, una figlioletta crudelmente tormentata dal demonio. La donna è insistente e rumorosa nella sua invocazione, come fanno notare i discepoli seccati. E vi è un secondo motivo: la preghiera è segnata da una invocazione insolita sulle labbra di un pagano. Kyrios, Signore, figlio di Davide. Un titolo che spetta solo al Figlio di Dio. E la cananea lo ripete per tre volte: Signore, pietà; Signore, aiutami; Signore, è vero. Un terzo motivo commuove Gesù: la Cananea accetta con tutta umiltà l’insulto sprezzante rivoltele da Gesù, anche se raddolcito con il diminutivo “cagnolini”. Anzi volge a suo vantaggio lo spregiativo: “per i cagnolini vi sono le briciole”.

Dopo l’intervento interessato degli apostoli che vogliono togliersi quella scocciatura, e l’arguta insistenza di quella donna e mamma, Gesù si smonta e subito l’esaudisce. “Donna, grande è la tua fede”. La fede è la motivazione che spinge Gesù al miracolo; la fede è l’elogio che Gesù fa della donna. La Cananea come pagana era disprezzata dagli ebrei, con il titolo di cane, cioè animale immondo da evitare nei riti religiosi e negli usi civili. La Cananea accetta l’umiliazione e strappa al Figlio di Davide la vittoria sul demonio.

Signore: l’invocazione della donna ricorre nel vangelo per ben duecento volte: Kyrios in greco, Adonai in ebraico, Dominus in latino, Signore in italiano. Invocazione che meglio di tutte indica Gesù quale Figlio di Dio ed è ricorrente nella liturgia eucaristica.

Kyrios, Signore cioè Dio dell’universo. Kyrios, Signore che sta alla destra del Padre. Kyrios, signore che verrà come giudice. Kyrios, Signore, atto di fede e di umiltà. Per tre volte la Cananea, prostrata, pronuncia questo nome.

Per tre volte l’assemblea all’inizio della santa messa, inchinata, riconosce il suo peccato ed invoca fiduciosa la misericordia di Dio: Kyrie eleison, Signore abbi pietà di noi. E per tre volte rinnoviamo la nostra fede nel Signore cantando il Gloria. Il Signore sia con voi: così iniziamo la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica e ci salutiamo alla fine nel nome del signore. Una invocazione ricorrente nella liturgia. Con fede ed umiltà sappiamo ripetere l’invocazione della Cananea.

Ci sia di esempio Maria santissima che all’annuncio dell’angelo dice: Signore… sono la tua serva.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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