Is 9,1-3. 5-6;
Tt 2,11-14;
Lc 2,1-14
Il Natale è la celebrazione nell’adorazione, nella lode e nella preghiera della nascita di Gesù. È nato a Betlemme, la città di Davide; circostanze provvidenziali hanno fatto sì che nascesse qui. Il Vangelo ci informa delle circostanze in cui si realizzano il viaggio e il parto; ci presenta una situazione di disagio e di povertà che ci fa intravvedere le caratteristiche fondamentali del regno messianico: un regno senza onori e poteri terreni, che appartiene a colui che durante la sua vita pubblica disse di se stesso “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).
Poi san Luca ha delle annotazioni per far meglio comprendere il mistero della Natività e i sentimenti di Colei che genera il Figlio di Dio. Mostra Maria intensamente partecipe a ciò che si compie in Lei “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose nella mangiatoia”.
Maria si è trovata in una situazione difficile e l’ha accettata. Per salvare il mondo, Dio ha bisogno di persone che aderiscano alla sua volontà di amore in ogni circostanza, specialmente nelle circostanze più difficili o addirittura sconcertanti. “Non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7) – rifiutato dai suoi, viene accolto dai pastori, uomini di poca buona fama, ma scelti da Dio per essere i primi destinatari della notizia della nascita di Gesù. L’angelo appare ai pastori e la luce li avvolge, questa luce è lo splendore che manifesta la presenza di Dio.
Il messaggio che l’angelo rivolge loro è un invito a gioire “vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore”.
L’angelo continua “questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12) – un neonato è deposto nella mangiatoia: la mangiatoia era un posto scavato nella parete della grotta per deporvi non solo il mangime del bestiame, ma anche il cibo dei pastori che vi mettevano il loro pranzo da consumare insieme – queste parole dell’angelo acquistano un più pertinente significato: il fanciullo nella mangitoia è “il pane disceso dal cielo, chi mangia
di questo pane vivrà il eterno” (Gv 6,51) – viene a proposito il mottetto di Franck “panis angelicus fit panis
hominum: il pane degli angeli diventa pane degli uomini: o cosa mirabile! mangiano il Signore il povero, il servo e l’umile”.
L’angelo che svegliò i pastori si unì ad una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio dicendo “gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”. I pastori accolgono con entusiasmo l’invito “andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che Dio ci ha fatto conoscere” – “andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino che giaceva in una mangiatoia” (Lc 2,16) – fu l’evento determinante della loro vita; poi fu spontaneo il desiderio di riferire tutto ciò che del Bambino era stato detto loro, dopo quella mirabile esperienza dell’incontro con il Figlio e la Madre “tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano” – essi sono un esempio del modo in cui il cristiano deve accogliere la parola di Dio: ascoltare, ubbidire, annunciare e celebrare – “i pastori poi se ne tornarono glorificando e lodando Dio”.
“Il Verbo si è fatto carne” e questo “carne” non designa tanto l’uomo in genere, quanto l’uomo nella sua condizione di debolezza, di friabilità, di morte, di limite, perfino di peccabilità. “Dio mandando il proprio figlio in una carne simile a quella del peccato...” (Rm 8,3).
“Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? proprio la mia, non la carne che Adamo ebbe prima della colpa – nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria. Signore, chi è quest’uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione? Da questo sappia l’uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi” (san Bernardo).
Gesù è diventato nostro Salvatore, proprio perché ha accettato la più completa solidarietà con la nostra esistenza umana. Se Gesù ha preso su di sé la nostra sorte, allora vuol dire che la sua grazia può arrivare dappertutto – perché Dio è ormai presente nel mondo, e quindi, anche nelle circostanze più umili e più dolorose della nostra vita, abbiamo il “Dio-con-noi”.
Eppure Giovanni scrive “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). In realtà sembra che Giovanni veda la “gloria” di Dio in Cristo proprio in questo suo farsi uomo, in questo suo discendere nella nostra condizione: è qui che si rivela la grandiosità dell’amore di Dio, che si esalta proprio nell’umiliazione che egli fa di se stesso. La nascita del Bambino di Betlemme fa penetrare nell’immensa famiglia umana la giovinezza di Dio. Quando Egli entra nel nostro universo, porta con sé questa giovinezza eterna, desidera condividerla con noi. Con la sua vita divina vuol comunicare al mondo, che porta il peso della debolezza - della vecchiaia, la propria giovinezza piena di forza inesauribile. Il mondo ha bisogno dei bambini per rinnovare la sua giovinezza; ha soprattutto bisogno del Bambino di Natale per ricevere l’autentica giovinezza che stimola le energie e assicura il progresso.
Il Bambino del presepe nella sua mitezza e nella sua umiltà, offre all’umanità la sua giovinezza, giovinezza che dura e persevera nel corso del tempo. Contemplando questo Bambino siamo invitati ad aprirci al suo mistero di giovinezza. Egli desidera suscitare in noi un potente dinamismo, quello del suo amore.
Paolo VI diceva che il cristiano è un uomo sempre giovane – il cristianesimo è vita che sempre si rinnova.
Un autore diceva che ammazzare il tempo è il peccato dei peccati.
Alcuni santi parlano della eterna infanzia del Dio Bambino – infatti in alcune apparizioni della Madonna
appare ancora bambino tra le braccia di sua madre.
Con darci Gesù Dio ci ha dato ogni bene “della sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia”
(Gv 1,16). I Profeti prevedevano che quando sarebbe venuto ci avrebbe fatti tutti ricchi.