Battesimo del Signore

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Tu sei il figlio mio prediletto


Is 55,1-11;

1 Gv 5,1-9;
Mc 1,7-11


Oggi si parla del Battesimo di Gesù, ma prima del suo battesimo ci furono quei trent’anni di silenzio nei quali si è calato fino in fondo nella situazione umana. Gesù ha imitato l’uomo perfettamente, lo ha imitato nel nascere, nel vivere e nel morire.

All’età di trent’anni ritenuto il figlio del falegname (Lc 3,23) lasciò la sua casa di Nazareth salutando con rincrescimento sua madre per iniziare la sua vita pubblica.

Per primo si portò da Giovanni che stava battezzando presso il fiume Giordano, riconoscendo in lui il precursore annunziato dai profeti e l’inviato da Dio a preparare la strada del Messia. Quando giunse, si mise tra gli uomini che aspettavano di entrare nel fiume per pentirsi dei loro peccati e ricevere il battesimo di Giovanni.

Giovanni quando lo vide gli disse “tu vieni a me!

Sono io che ho bisogno del tuo Battesimo” (Mt 3,14) – la risposta di Gesù rasserena Giovanni e lo aiuta ad entrare nella logica divina, tanto diversa da quella umana; insegna a Giovanni a fare ciò che Dio vuole “lascia fare per ora poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” – Gesù dice “adempiamo ogni giustizia” unendo sé a Giovanni nell’attuazione della volontà divina.

Gesù intendeva compiere un gesto di umiltà e solidarietà con tutti gli uomini “peccatori”, lui che è l’unico “senza peccato” (Gv 8,46).

Era nel disegno di Dio che Gesù debba ricevere il Battesimo, con questo rito si aprono i cieli e lo Spirito discende su di lui. E Gesù scese nel fiume e Giovanni attinse l’acqua e la versò sulla testa di Gesù – scese nel Giordano per lavare il peccato del mondo, egli è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29), è venuto per compiere l’impresa divina di cancellare con la grazia il male dal mondo.

Il Battesimo di Gesù è un avvenimento importante nella sua vita, tutti e quattro gli evangelisti ne parlano: il battesimo è il suo “sì” a compiere l’opera della nostra salvezza – il battesimo è l’inizio del suo viaggio, viaggio che culminerà sul Calvario. Immergendosi nell’acqua per farsi battezzare Gesù manifesta la sua intenzione di affrontare la morte per vincere il peccato, e uscendo dall’acqua preannuncia la risurrezione che seguirà la sua passione.

I cieli si aprono: Gesù ci ha aperto i cieli che erano stati chiusi dal peccato originale – incomincia l’era della grazia, il mondo divino viene a contatto scoperto con il mondo dell’uomo, c’è il dono dei beni celesti in abbondanza, il cielo comunica la sua ricchezza alla terra.

Lo Spirito Santo scende su di Lui sotto forma di colomba. Questa immagine prende tutto il suo significato in relazione alla colomba che, secondo il racconto del diluvio, era tornata verso Noè avendo nel becco un ramscello di ulivo, segno della fine della calamità (Gn 8,11).

Venire al modo di una colomba è venire portando la garanzia della riconciliazione fra Dio e l’umanità. Lo Spirito Santo stava dall’eternità con Gesù, ma ora scende in modo straordinario su di Lui perché incomincia a predicare il Vangelo, a compiere i miracoli che simboleggiano la salvezza ormai concessa all’umanità per liberarla da tutti i suoi mali.

E una voce che viene dal cielo “questi è il mio figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto” è la voce di Dio Padre che proclama apertamente al mondo che Gesù di Nazaret è il suo Figlio divino e il Messia sofferente, in Lui si è compiaciuto per la sua obbedienza e prontezza nel dire di sì all’opera della nostra salvezza.

Il suo Battesimo è l’inaugurazione del nostro. Assumendo il battesimo di Giovanni Battista Gesù si impegnava nella via del sacrificio redentore “c’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia adempiuto!” (Lc 12,50).

Quel battesimo della passione al quale conduce il battesimo ricevuto nel Giordano, è il vero fondamento del battesimo che riceveranno i cristiani.

La discesa dello Spirito annuncia il dono dello Spirito Santo che sarà concesso ad ogni battezzato per elevare al livello della vita divina tutta l’esistenza cristiana.

Il Padre proclama “tu sei il Figlio mio prediletto, in te ho posto il mio amore” (Lc 3,22). Questa proclamazione è proprio alla persona di Cristo, non di meno può essere considerata come l’origine del dono della filiazione divina nel battesimo cristiano. Cristo si è rivelato il Figlio del Padre con l’intenzione di comunicare la sua dignità filiale a tutti coloro che aderiscono a Lui con la fede. Il sacramento del Battesimo compie questa intenzione. Fu il grande desiderio di Gesù: offrire a tutti i credenti la dignità di figli prediletti dal Padre (Jean Galot).

Il Battesimo di Cristo è sempre vivente in ogni battesimo cristiano: anche nel nostro battesimo i cieli si sono aperti togliendo l’ostacolo del peccato “professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati”, si permette all’amore divino di invadere la nostra anima.

Per mezzo dello Spirito la vita filiale sorge e si sviluppa dal momento del Battesimo.

“Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). In ogni Battesimo il Padre fa in qualche modo una proclamazione analoga – il Padre ci eleva a dignità di figli, dignità che riceviamo partecipando alla filiazione divina di Cristo (figli nel Figlio: Egli Figlio di Dio per natura, noi figli di Dio per grazia).

Il Battesimo ci procura tutti i privilegi di un rapporto di filiazione adottiva con il Padre.

Gesù a chi lo accoglie ha dato il potere di diventare figlio di Dio (Gv 1,12). Il Battesimo ci eleva all’ordine soprannaturale dandoci la grazia che ci abilita a vivere la vita divina di Dio e a condividere la sua natura divina come suoi veri figli adottivi (1 Gv 3,1).

“Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio figlio dell’uomo: perché l’uomo entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” (Sant’Ireneo di Lione).

“L’unigenito Figlio di Dio volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura umana, affinché fatto uomo, facesse gli uomini dei” (san Tommaso d’Aquino).

San Basilio Magno e san Gregorio Nazianzeno, due grandi amici, vescovi e dottori della Chiesa dicevano: per noi era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani.

Santa Perpetua, martire con la sua domestica santa Felicita nell’arena di Cartagine il 7 marzo 203 diceva “io non posso definirmi altro che cristiana”.

San Luciano, martire al tempo di Diocleziano (303), interrogato con i suoi profondi studi rispondeva sicuro – di nuovo interrogato rispondeva solo “io sono cristiano” – “mirabile risposta” scriveva san Gerolamo: infatti non appartiene a nessuna città poiché sua patria è la Gerusalemme celeste, non ha parenti in terra poiché tutti gli abitanti del cielo sono suoi parenti.

C’è la famosa frase di san Leone Magno: “riconosci o cristiano la tua dignità”.

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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