Ez 33,7-9;
Sal 94;
Rm 13,8-10;
Mt 18,15-20
In una società che vorrebbe confinare la fede alla dimensione privata, che (dis)educa all’egoismo e al farsi gli “affari propri”, che spaccia l’indifferenza per rispetto delle altrui libertà, Gesù ci invita ad uscire dal nostro guscio e a farci carico degli errori dei fratelli. La coscienza dell’errore altrui non deve essere fonte di conflitto o di condanna, ma occasione di vivere concretamente il valore dell’amore che S. Paolo ci presenta nella lettera ai Romani. Dovere del cristiano è preservare il fratello dall’errore e non esprimere una condanna che lo allontani ancora di più.
Per noi, missionari della Consolata, la correzione fraterna è occasione privilegiata per manifestare il nostro carisma di Consolazione.
Con molto realismo, Gesù prevede che il nostro tentativo di correzione privata possa fallire e ci invita a coinvolgere altri nell’esercizio di questa azione, anche l’intera comunità, qualora fosse necessario. Con lo stesso realismo, nemmeno in quest’ultimo caso Gesù ci assicura il successo e ci libera dal dovere di insistere ulteriormente qualora il fratello che è nell’errore si rifiuti di ascoltare: “e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano”.
Nel compiere questa azione dobbiamo ricordare che: “tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.” e quindi essere sempre coscienti della grande responsabilità che grava su di noi.
Tuttavia questa responsabilità non è demandata solamente alle nostre capacità individuali, ma dobbiamo affidarci all’aiuto che ci viene dallo Spirito, che possiamo invocare tramite la preghiera fatta in comune perché, dice Gesù: “…dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.”
Con il suo insegnamento Gesù ci fa capire come il cristianesimo non sia da vivere solo nel privato ma ci spinga verso le persone, facendoci interessare degli errori di chi sbaglia e coinvolgendo altri a farsi carico dei fratelli.
Oggi possiamo chiederci se questo non debba essere visto come un invito a tutti i cristiani ad intervenire nella società ogni qualvolta si manifestino strutture di peccato.
Una riflessione particolare nasce dalla frase di Gesù: “se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.”
La prima domanda che possiamo porci è perché, nonostante tutte le preghiere che vengono rivolte quotidianamente al Padre (pensiamo alle decine di migliaia di Sante Messe che vengono celebrate in tutto il Pianeta ) la maggior parte delle richieste che facciamo: la Pace del mondo, la giustizia, la redenzione delle persone, non vengano esaudite. Perché? Mancanza di Fede? Oppure le nostre richieste vengono esaudite ma non come pensiamo noi, non attraverso i nostri schemi e non con i nostri tempi?
Pregare senza essere immediatamente esauditi diventa allora un esercizio di Fede, umiltà e gratuità.
La seconda domanda è perché Gesù ci inviti a chiedere al Padre: lo fa in questo suo discorso e lo fa nel Padre Nostro. Se crediamo nell’infinito amore e nell’infinita misericordia di Dio possiamo essere certi che egli abbia già predisposto per noi un cammino che ci porta alla salvezza e alla gioia eterna: possiamo sapere meglio di Dio che cosa sia meglio per noi? Che cosa ci occorra veramente? Certamente no, e allora perché chiedere?
Perché chiedere è il modo più bello per riconoscere l’infinità di Dio, la sua paternità. È il modo più semplice per relazionarci con lui.
Concludendo, proviamo a guardare le cose anche da una prospettiva diversa: ci è mai capitato di essere il fratello che commette una colpa e a cui Gesù ha inviato qualcun altro per essere corretto? Come ci siamo comportati? Siamo stati capaci di accettare la correzione fraterna, di vedere nelle parole e nei gesti di chi ci ha avvicinato gli insegnamenti di Gesù o siamo rimasti ancorati alle nostre convinzioni?