Ez 47,1-2.8-9.12;
1 Cor 3,9c-11.16- 17
Sal 45;
Gv 2,13- 22
Il quadro delle letture che accompagnano la XXXII domenica del tempo ordinario, ormai prossimi all’Avvento, è affollata di personaggi e simboli ricchi di significato.
Il brano del Vangelo, tratto dallo scritto di Giovanni, descrive un avvenimento apparentemente insolito nella vita di Gesù: la veemente cacciata dei venditori dal tempio. Si tratta certamente di un episodio che stride con l’immagine di Gesù, spesso associato ad un pacifista “sui generis”, comprensivo ed accomodante. Sappiamo bene, però, che lo sguardo di comprensione che Gesù ha verso il mondo non ha nulla a che spartire con la ricerca del compromesso. Il vangelo di Giovanni, in particolare, evidenzia in modo chiaro una figura messianica che si trova a fronteggiare personaggi che incarnano il rifiuto del messaggio evangelico e che Gesù affronta in modo risoluto. Anche agli stessi apostoli, Gesù ricorda che da parte del mondo troveranno ostilità, che in alcuni casi sfocerà in un vero e proprio odio verso di loro (“Se il mondo vi odia, sappiate che prima ha odiato me”). In questo brano, in particolare, il mondo è rappresentato dai mercanti e più in generale dai giudei, figure entrambe caratterizzate da un sostanziale sentimento di indifferenza verso il tempio. I primi perché coinvolti in una frenetica attività commerciale, i secondi – più indistinti - perché increduli rispetto al messaggio di Gesù, di cui non riescono a cogliere la similitudine fra tempio ed il suo stesso corpo. E’ evidente quindi che lo zelo di Gesù, richiamato dagli apostoli, non è dovuto all’interesse per un’opera architettonica, per quanto pregevole, ma è motivato dal valore del messaggio che vuole veicolare, ovvero che è lui stesso il “nuovo tempio”. Un tempio che la morte apparentemente distruggerà, ma che in realtà risorgerà dopo 3 giorni. Accanto all’immagine dirompente riportata nel vangelo di Gesù nuovo tempio, che supera la caducità delle opere terrene, sia la prima che la seconda lettura aggiungono ulteriori spunti di riflessione.
Il brano di Ezechiele, profeta nel periodo della prima deportazione babilonese, è tratta dal lungo scritto che descrive la visione del profeta sul futuro della terra promessa. Anche in questo caso, protagonista della lettura è il tempio, da cui scaturisce l’acqua. Il profeta vuole quindi ricordarci che il tempio, dimora di Dio, è fonte di prosperità e salvezza, tanto che dalle piante bagnate da queste acque si producono “frutti che sono nutrimento e foglie che sono medicina”.
E’ evidente inoltre che, il brano di Ezechiele, riletto alla luce del vangelo di Giovanni, conferma l’immagine di Gesù nuovo tempio, da cui scaturisce l’acqua della salvezza.
La lettera di Paolo, infine, indirizzata alla comunità di Corinto, amplia ancora di più il discorso, ricordandoci che anche noi siamo tempio di Dio. Dalla rivelazione di Paolo nascono due importanti considerazioni: la prima riguarda il valore che ciascuno di noi –responsabilmente- è chiamato a dare al proprio corpo e più in generale alla propria persona. Riguardo a questo l’insegnamento di Paolo è moto chiaro: il tempio di ciascuno di noi si costruisce ponendo un fondamento sicuro, ovvero Gesù.
La seconda importante considerazione che scaturisce dalla lettura del brano di S. Paolo, riguarda invece l’accento missionario del brano. L’essere tempio santo di Dio, ci rende portatori “viventi” del messaggio di Gesù, chiamandoci a diffonderlo a tutti gli uomini, esortandoli a “venire e vedere le opere del signore”, come suggerito dal salmista.