VI Domenica del Tempo Ordinario

Pubblicato in Domenica Missionaria
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La lebbra scomparve ed egli guarì



Lv 13,1-2. 45. 46;

1 Cor 10,31-11,1;
Mc 1,40-45


L’evangelista Marco porta questo miracolo della guarigione del lebbroso come attestazione che l’era messianica era ormai arrivata. Gesù stesso dice agli inviati da parte di Giovanni Battista di riferirgli i segni che il Messia è proprio venuto: “i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5).

Secondo il libro del Levitico chi si ammalava di lebbra doveva essere condotto davanti al sacerdote che, riconosciutolo malato, gli ingiungeva di portare delle vesti stracciate, il capo scoperto, la barba lunga, di dimorare fuori dell’abitato e di gridare la parola “immondo” ogni qualvolta venisse avvicinato da qualcuno (Lv 13,45).

La loro situazione poi si aggravava dato che nell’Antico Testamento i lebbrosi venivano considerati come colpevoli di gravi peccati, per questo Dio li puniva.

Possiamo quindi immaginare in quale stato d’animo il nostro lebbroso “venne a Gesù”. Gesù stesso gli andò incontro e venne a fermarsi davanti al lebbroso, e questi si inginocchiò e disse: “Signore se vuoi puoi guarirmi”, il lebbroso ha una fede grande nel potere divino di Gesù, capace di liberarlo dall’inferno della sofferenza fisica e morale.

Gesù “mosso a compassione” che vorrebbe dire “profondamente turbato nelle sue viscere” – la compassione di Gesù non è superficiale, ma profonda e appassionata: è un sentire insieme, una comunione nella sofferenza.

Solo Dio, secondo la credenza di allora, avrebbe potuto guarire la lebbra, e Dio in quel momento era lì, a soffrire con la pietà accorata di Gesù.

Stese la mano, lo toccò, e gli disse “lo voglio, guarisci!”, secondo la legge di Mosé nessuno poteva toccare un lebbroso, toccarlo significava diventare immondo ed escudersi anche dal culto di Dio. “Col suo atteggiamento, concretizzato nel gesto sorprendente e nella parola creatrice, Gesù dimostra che egli non è affatto soggetto alla legge, ma è al di sopra di essa; e infine che non c’è niente di impuro per un uomo puro; in particolare, il Signore vuol dimostrare che egli guarisce non da servitore, ma da padrone e perciò tocca il lebbroso” (san Giovanni Crisostomo) – in questo atto di Gesù, accompagnato dall’efficacia della sua parola, San Tommaso d’Aquino legge giustamente una prefigurazione dell’efficacia dei sacramenti, composti da materia e forma.

“Subito la lebbra scomparve ed egli guarì” quel lebbroso sentì come il sangue cominciò nuovamente a circolare nel suo corpo con nuova energia, vide come il suo corpo era guarito e le piaghe erano scomparse. Una forza straordinaria uscita da Gesù, che era più eccellente di ogni medicina, gli restituì la salute, riebbe di nuovo la vita.

“Perché la legge fu data per Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (Gv 1,17) – “egli ha dimorato in mezzo a noi pieno di grazia e di verità” (Paolo VI). Nella parabola del buon samaritano, il levita che passa accanto a colui che giaceva sulla strada mezzo morto senza fermarsi, raffigura la legge di Mosè, il samaritano che si ferma raffigura la misericordia di Gesù.

Gesù è al di sopra della legge, e insegna che non c’è niente di impuro per un uomo puro, così Gesù si dice padrone del sabato, istituisce quell’ottima legge che ci permette di mangiare ogni genere di cibi, dice altresì che non è proibito sedere a mensa senza lavarsi le mani, che non è quello che entra dalla bocca che contamina l’uomo ma quello che esce dal suo cuore. Anche dei primi cristiani si dice: “osservano le leggi ma col loro modo di vivere sono superiori alle leggi...”.

Quel “lo voglio guarisci” lo disse anche con collera, non contro il lebbroso ma contro l’orrore del male che lo dilania – “si adira” vedendo nella malattia un qualcosa che contraddice la primordiale volontà creatrice di Dio che “non ha creato la morte e non vuole la rovina dei viventi” (Sap 1,22) – e si adira contro l’ingiustizia della  società che lo emargina.

Poi Gesù legge in quel lebbroso il suo futuro destino, anche lui un giorno come un lebbroso “come uno davanti al quale ci si copre la faccia... percosso da Dio e umiliato” (Is 53,3).

Gesù si è fatto in tutto simile a noi fuorché nel peccato perché solo il peccato può intralciare l’opera sua di Salvatore – un antico papiro dice “oh tu che passeggi con i lebbrosi e mangi nella locanda simile a noi” dove c’è da salvare l’uomo lì arriva Dio e dove arriva Dio il male è destinato a sparire. Il credente sa che ormai il Regno di Dio è qui in mezzo a noi, certo che “Dio non esaudisce tutti i nostri desideri, ma è fedele a tutte le sue promesse” (Bonhoeffer).

Il lebbroso non ebbe vergogna, non guardò tanto la legge che teneva lontano i lebbrosi, ma andò da Gesù per essere guarito. Così nell’Antico Testamento Naaman il Siro cercò il profeta Eliseo che lo mandò a lavarsi nelle acque del Giordano (2 Re 5), così il figliol prodigo si alzò e ritornò da suo padre.

Quindi il Vangelo ci dice di riconoscerci peccatori, confessare i nostri peccati, chiedere a Gesù di guarirci e
di purificarci.

La società moderna tende a distogliere dalla conoscenza del peccato e dall’uso della confessione, invece alla luce della rivelazione si deve riscoprire la coscienza del peccato e la richiesta del perdono. L’uomo forte, consapevole, onesto, sa di essere peccatore e di aver bisogno di essere perdonato.

Quando san Carlo Borromeo nelle sue peregrinazioni si portava appresso il suo confessore per immergersi tutti i giorni nel sacramento della Penitenza, non esagerava un bigottismo, viveva la verità della sua persona.

San Leopoldo Mandic “oh quanto è debole la natura umana! Il peccato originale l’ha ferita tremendamente.

Quanto abbiamo bisogno della misericordia infinita del padrone Iddio! La misericordia di Dio è superiore ad ogni aspettativa – voglio usare tanta misericordia e bontà con le anime dei peccatori. Se il Signore mi rimproverasse di troppa larghezza, potrei dirgli: paron benedetto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità”.

Guarito all’istante il lebbroso, Gesù lo rimandò ammonendolo di non dirlo a nessuno. Per ora, Gesù cerca di salvaguardare il suo mistero di Messia e Figlio di Dio, camminando nella via dell’umiltà e tenendosi a distanza dalla folla portata a entusiasmi facili e devianti. Egli invece è il Salvatore, ma ciò lo si può intuire pienamente solo alla croce, perché solo lì si può capire fin dove giunge la disponibilità della sua umanità per dispensarci ogni bene. Gesù si ritira in luoghi nascosti e deserti perché non si poteva ridurre la presenza di Gesù a quella di un semplice guaritore. Gesù che guarisce è il Gesù che insegna una dottrina con autorità, è il Gesù che prega, che perdona i peccati.

Il lebbroso guarito è invitato al silenzio, ma la salvezza del Signore ricolma di gioia e non può che esultare chi è circondato dalla sua grazia.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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