Is 50,4-7;
Fil 2,6-11;
Mc 14,1-15. 47
Oggi celebriamo la regalità di Cristo, rinnovando la memoria del suo ingresso gioioso in Gerusalemme. È Gesù in persona che prepara in certo modo il suo ingresso trionfale a Gerusalemme.
Entra da Betfage, villaggio posto sul versante orientale del monte degli Ulivi a mezz’ora di strada da Gerusalemme. Il profeta Zaccaria aveva predetto la liberazione di Gerusalemme da parte di un re che sarebbe entrato non come guerriero, ma con un trionfo di pace e di mitezza: “esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina”. (Zc 9,9). Questa volta Gesù sembra voler di proposito scatenare l’entusiasmo dei pellegrini accorsi alla celebrazione pasquale, dimostra di compiacersene; i nemici di Gesù volevano far tacere la gente, ma Gesù disse che se tacessero loro, griderebbero le pietre (Lc 19,40).
È salutato Messia “Figlio di Davide... che viene nel nome del Signore” e, per giunta, nella città di Dio e nel suo tempio santo. Sono specialmente i semplici e i bambini che lo acclamano, neppure i discepoli di Gesù capirono ciò che stava accadendo sotto i loro occhi (Gv 12,16) – ma Egli percorre in fretta e con decisione l’ultimo tratto del suo cammino terreno, fino al Calvario; liberamente e volontariamente va alla passione. All’inizio dell’ultima cena dirà “ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua prima della mia passione” (Lc 22,14).
Gesù nel momento dell’ultima cena rende presente in anticipo tutta la sua passione. L’Eucaristia è proprio questo. Fa di questo evento così crudele e così ingiusto l’occasione dell’amore più grande, come dice Giovanni “Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). L’Eucaristia è veramente una trasformazione straordinaria dell’evento della Passione, a cui Gesù dà un orientamento di amore, di alleanza. L’evento di per sé è un evento di rottura, perché Gesù viene respinto, condannato e messo a morte – ma questo evento di rottura viene trasformato in anticipo da Gesù in evento di alleanza.
C’è da rimanere stupiti di fronte a questa trasformazione e alla generosità di cuore che era necessaria per ottenerla! Gesù dichiara: “questo è il mio sangue, sangue dell’alleanza, versato per molti” (Mc 14,24). Qui avviene una trasformazione straordinaria, frutto di un amore generosissimo. Tutto l’evento della passione viene orientato verso l’alleanza, verso l’unione con Dio e l’unione con i fratelli. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia ci dovremmo ricordare che in essa è presente tutta la passione di Gesù, che così viene orientata nel senso dell’amore e dell’alleanza. (San Tommaso dice “la Messa è il sacrificio perfetto della passione di Gesù perché contiene Gesù in stato di immolazione e questo realmente”).
Tutte le cose che vengono raccontate dopo l’ultima cena sono sotto l’influsso di questa trasformazione straordinaria operata da Gesù (Albert Vanhoye).
Già con la prima lettura (Is 50,4) siamo introdotti nel mistero profondo di Cristo, mistero di obbedienza e di accettazione volontaria della sofferenza. Il servo descritto da Isaia, non resta confuso né deluso, sapendo che il Signore gli è a fianco per assisterlo; Gesù berrà sino all’ultima goccia il calice amaro del dolore e della morte, affidandosi totalmente alla volontà del Padre.
Gesù appare sulla scena umana con gli abiti di servo obbediente che si abbassa fino ad accettare la morte e la morte di croce; gli era stata messa davanti la via della gloria, o la via della croce, ed Egli scelse quella della croce (Eb 12,2 - Rm 15,3). Questa è la mentalità a cui si devono abituare le persone che vogliono stare con Gesù per far parte del suo regno – anche san Paolo dice di ritenere tutto come spazzatura al fine di guadagnare Cristo ed essere conforme a Lui (Fil 3,8).
Secondo gran parte degli studiosi, il bellissimo inno a Cristo “Cristo Gesù pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso (kènosi) assumendo la conduzione di servo” (Fil 2,6) esso è anteriore a san Paolo il quale traendolo dalla liturgia delle primitive comunità cristiane, lo avrebbe inserito nella lettera ai Filippesi.
L’inno presenta quindi il ‘cammino’ di Dio verso l’uomo e l’azione della sua salvezza attraverso la croce e la glorificazione del Figlio obbediente. Incarnandosi per opera dello Spirito Santo il Figlio di Dio ha fatto proprio il concreto destino di tutti gli uomini, sottoposto alla ‘maledizione’ del peccato e della morte. La salvezza era l’evento che doveva maturare attraverso la passione dell’autore della vita; lo insegna san Paolo: Egli è l’autore della vita, reso perfetto mediante le sofferenze (Eb 2,10).
Proprio perché il Cristo ha attraversato l’intera vicenda umana, l’uomo può essere recuperato a Dio e riconquistato nella sua totalità. Dio è venuto nella storia dell’uomo per dare ad essa un significato: anche la morte non è più un fallimento - una fine, ma è un momento decisivo, come per Cristo è stato il momento della completa adesione a Dio.
La via della salvezza allora non è la via del disinteresse per questo mondo, della fuga per cercare qualcos’altro, ma la via in cui si vive la storia per il suo vero valore: una storia che Dio ha fatto la sua storia di salvezza.
“Nessun’altra fu la causa della nascita del Figlio di Dio se non quella che potesse essere affisso alla croce” (san Leone Magno). Le due grandi tradizioni patristiche dell’oriente e dell’occidente sono unanimi nell’affermare che l’incarnazione del Cristo è ordinata alla croce. Anzi, il mistero della croce è già presente nell’evento dell’incarnazione e della nascita terrena del Figlio di Dio. In una lettera di santa Margherita Maria Alacoque a Padre Croiset “... dai primi momenti della sua incarnazione, dall’attimo cioè in cui questo cuore fu formato, vi fu piantata la croce...”.
Come i Padri dicono: nell’attuale ordine della salvezza descritto dalla Sacra Scrittura, Dio si è fatto uomo per morire sulla croce e per salvarci attraverso il sacrificio del Figlio, servo sofferente. Ciò significa che centri insopprimibili del mistero di Cristo sono l’incarnazione e la croce.
Si legge la passione secondo Marco. Si ritiene che Marco fu il primo a scrivere il Vangelo come una storia compiuta, che va da Giovanni Battista alla risurrezione. I Vangeli hanno come origine il racconto della passione e solo più tardi arriva il racconto del resto fino a quello della nascita – tanto che i Vangeli sono stati definiti “racconti della passione preceduti da un’ampia introduzione” (M. Kaeler). Gli evangelisti dicono “spirò” “rese lo spirito”: Gesù che era riempito e guidato dallo Spirito Santo, ridà a Dio questo Spirito che lo ha reso un essere vivente e che ha determinato la sua vita “...Egli consuma questo sacrificio col fuoco dell’amore” (Giovanni Paolo II).
Ora il tempo del dileggio è finito e comincia quello del riconoscimento della sua persona e della conferma delle sue parole. Nello squarcio del velo del Tempio si manifesta un altro intervento di Dio e il centurione romano, un pagano, è il primo che riconosce Gesù come Figlio di Dio.