IV Domenica di Pasqua

Pubblicato in Domenica Missionaria
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Il pastore offre la vita,
conosce le sue pecore,
guida il gregge riunificato



At 4,8-12;

1 Gv 3,1-2;
Gv 10,11-18

Oggi si ricorda la dolce figura del Buon Pastore. Nella terra di Gesù ci sono molti pastori, pastori di greggi di pecore. Di notte le pecore si trovano nell’ovile, al mattino presto il pastore apre loro la porta. Le pecore escono, il pastore le guarda, le conosce tutte, poi quando sono uscite dall’ovile il pastore le raduna insieme e mettendosi a capo le conduce ai pascoli ubertosi. Le pecore seguono il pastore e conoscono la sua voce.

Gli Israeliti già da allora e ancora oggi si dedicano alla pastorizia.

Già dall’Antico Testamento il popolo ebreo aspettava il Buon Pastore. Il profeta Ezechiele aveva profetato: “susciterò per loro un Pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore” (Ez 34,23).

Gesù fu mandato dal Padre perché fosse il Buon Pastore di tutti gli uomini “percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità.

Vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli “la messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!” (Mt 9,35).

Un giorno Gesù si fermò presso il Tempio di Gerusalemme, una grande folla lo vide e lo sentì e Gesù disse: “io sono il Buon Pastore, e offro la vita per le pecore” (Gv 10,11). Queste parole erano di grande importanza per gli Ebrei e li stupirono altamente, con queste parole Gesù richiede tutta la fede in Lui, richiede che gli uomini vengano a Lui, dice che è Lui solo colui che guida gli uomini, Lui solo è disceso dal cielo, per dare la vita al mondo, per questo bisogna seguire Lui e ascoltare la sua voce, perché Egli è la via, la verità, la vita (Gv 14,6).

Definendosi il “Buon Pastore” in assoluto, Gesù riconosce alla sua persona un titolo che l’Antico Testamento aveva riservato a Dio, vero pastore di Israele. La formula “Io sono” rivela non solo la sua persona ma anche la sua attività: Gesù è il Buon Pastore perché costantemente svolge questa missione di donazione e di salvezza per il suo gregge. Annunziandosi agli uomini come il Buon Pastore non ha avanzato una pretesa di dominio sul gregge, ma solo una proposta di amore e di servizio che arriva fino al dono della vita: ha acquistato il diritto di essere capo del gregge perché è morto per il gregge; è diventato pastore perché prima si è fatto l’Agnello di Dio che porta su di sé i peccati del mondo: l’Agnello ha redento il gregge, Cristo innocente ha riconciliato col Padre gli uomini peccatori.

Il pastore conosce le pecore e le pecore conoscono il pastore: quel conoscere indica comunione di pensieri e di vita, una intimità profonda, un mutuo rapporto di amore. Questa relazione reciproca è una partecipazione alla relazione reciproca che c’è fra Gesù e il Padre: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre”.

La relazione che Gesù ha con noi è come un prolungamento della sua vita nella Santissima Trinità. A causa di questa relazione profonda, personale, piena di amore, il Buon Pastore offre la sua vita per le sue pecore. Con questo paragone Gesù ci vuol far capire tutta la sua generosità fondata sull’amore. 

Afferma Gesù: “per questo il Padre mi ama: perché io
offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo” – così vengono espressi i due aspetti del mistero pasquale: il primo è quello di offrire la vita accettando la morte, il secondo è quello di riprendere la vita vincendo la morte. Il verbo greco più che “offrire” dice “deporre”. Questo ci fa pensare al gesto che Gesù ha fatto nell’Ultima Cena quando ha lavato i piedi agli apostoli. In quella occasione Egli ha ‘deposto’ la sua veste di Signore e Maestro, per farsi servo dei suoi discepoli, poi ha ripreso la sua veste (Gv 13,4).

In questo modo Gesù si riferisce al suo mistero pasquale: la rinuncia radicale che egli ha fatto dell’onore a cui aveva diritto viene espresso con l’immagine di deporre la veste; la risurrezione viene espressa con l’immagine del riprendere la veste: ha trasformato la sofferenza e la morte in maniera positiva per mezzo dell’amore, così che esse producano un frutto di vita nuova; la risurrezione è la vita nuova che Gesù ha ottenuto per mezzo della sua passione; Egli l’ha ottenuta per noi, ed essa ci viene comunicata tramite il battesimo, che ci rende igli di Dio (Albert Vanhoye).

Gesù è morto per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione: è morto per i peccatori, ed è risorto per comunicare loro la vita divina, la vita filiale.

Il Vangelo ci parla di pienezza - di essere ricolmi; mostra la pienezza di grazia che riceviamo dal Signore risorto che è veramente per noi la rivelazione di Dio, la rivelazione dell’amore di Dio, la nostra ricchezza incommensurabile. Un articolo di Von Balthasar ripreso anche da Albert Vanhoye sull’attitudine cristiana, che è di sapersi nella pienezza.

Nelle cose umane si progredisce un po’ alla volta, ma nella vita spirituale non succede così; la vita spirituale
consiste nell’unirsi a Cristo e perciò già dal battesimo l’anima ha a disposizione una pienezza di ricchezze, e il suo primo dovere è di riconoscerlo.

Evidentemente il battesimo non conduce immediatamente alla perfezione spirituale, ma ci comunica la ricchezza di Cristo. La fede ci è donata fin dall’inizio ed è una pienezza di luce e di conoscenza, perché è la comunicazione della luce di Dio nel Cristo risorto.

La stessa cosa è per le altre virtù teologali, che ci sono date in Cristo risorto in tutta la loro pienezza (abbiamo a nostra disposizione il cuore di Cristo, che è in noi); il nostro primo sforzo deve quindi essere quello di prendere coscienza del dono immenso di Dio, non di acquistarlo: ci è dato.
 
La nostra anima deve essere piena di riconoscenza, di fiducia, di slancio verso Dio, che ci ha donato senza misura. Avere la certezza di essere stati ricolmati da Dio in pienezza è davvero fondamentale e dobbiamo sforzarci di capire bene la differanza tra questa vita soprannaturale che è un dono di Dio meravigliosamente generoso, e tutta la vita naturale, che si sviluppa piuttosto lentamente, faticosamente in un progresso sempre messo in questione. Il Signore ci dona tutta la luce, ci dona tutto il suo amore – il nostro dovere è di accoglierli, aprirci ad essi, togliere ogni impedimento al loro diffondersi.

Accanto alle pecore che provengono dal recinto del giudaismo, il pastore ne ha altre. Il tema dell’universalità e dell’unità del gregge di Cristo è parte integrante della redazione giovannea, perché uno degli effetti della morte di Cristo è proprio la riunione dei dispersi, l’unità dei credenti “e ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche queste io devo condurre...”. L’unità di tutti nell’amore di Dio è l’opera realizzata da Gesù per mezzo della sua passione e della sua risurrezione: opera realizzata in unione strettissima con il Padre, sorgente di ogni amore.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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