VI Domenica di Pasqua

Pubblicato in Domenica Missionaria
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L’amicizia di Gesù
e l’amore fraterno


At 10,25-27. 34-35. 44-48;
1 Gv 4,7-10;
Gv 15,9-17

La prima Lettura descrive come la Pentecoste dei pagani. Il fatto accadde a Cesarea Marittima, la splendida capitale fondata da Erode il Grande. In questa città risiedeva il procuratore romano e si stazionava una forte guarnigione militare. Uno dei comandanti del presidio si chiamava Cornelio, un centurione che come il suo collega di Cafarnao Lc 7,1 coltivava un profondo rispetto per la religione di Israele. Cornelio e Pietro hanno entrambi una visione celeste – entrambi sono mossi da una istanza superiore sia per cercare la salvezza (da parte di Cornelio), sia per annunziarla presente e operante in Gesù Cristo (ed è quanto fa Pietro).

La conversione di Cornelio è l’inizio dell’apertura del Vangelo a tutti i popoli; anche Pietro, dopo resistenze interne, deve arrendersi al nuovo piano di Dio.

Cornelio un giorno verso le tre del pomeriggio vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo “Cornelio”. Egli lo guardò e preso da timore disse “che c’è Signore” – gli rispose “le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio. E ora manda degli uomini a Jaffa e fa venire un certo Simone detto anche Pietro. Egli è ospite presso un tal Simone conciatore, la cui casa è sulla riva del mare”; mandò due suoi servitori e un pio soldato.

Il giorno dopo mentre essi erano per via Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare. Gli venne fame e volle prendere cibo, ma mentre glielo preparavano fu rapito in estasi. Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. In essa c’erano ogni sorta di cibi, ma Pietro voleva rifiutare quei cibi ritenuti profani e immondi. Intanto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, l’apostolo comprende che bisognava proclamare Gesù Cristo senza preoccuparsi dell’osservanza delle prescrizioni giudaiche. È quanto Pietro manifesta pubblicamente in casa del centurione romano “in verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto”.

L’universalità della salvezza di Dio, di cui Pietro ha appena preso coscienza, ha la conferma più efficace con la discesa prodigiosa dello Spirito Santo anche sui pagani convenuti in casa di Cornelio. E i fedeli circoncisi che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito: li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Lo Spirito Santo, il dono proprio di Gesù, morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini, si mostra visibilmente in azione anche nei gentili.

L’amore di Dio è rivolto a tutti gli uomini, non c’è più nessuna limitazione. Fin dalla sua origine la Chiesa nasce “cattolica” e cresce nella sua dimensione universale. Allora l’apostolo ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo tutti coloro che in casa di Cornelio erano stati appena “battezzati” nello Spirito Santo.

San Giovanni ha scritto “Dio è amore” (1 Gv 4,8). Anche se san Giovanni non avesse scritto altro che queste tre parole, sarebbe il più grande dei veggenti. Nella loro folgorante semplicità queste parole squarciano le nubi che ricoprono la terra e illuminano tutto il mistero della storia.

Ecco la Bibbia ci rivela che Dio è amore: Egli è generosità assoluta, benevolenza infinita.

L’amore viene dal Padre celeste e passa attraverso il cuore di Gesù, come ci dice Egli stesso “come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”. “Siamo stati assunti all’interno di un’unica affezione” (san Tommaso).

Nemmeno Gesù pretende di essere la sorgente dell’amore. Egli è consapevole di ricevere l’amore dal Padre e di essere soltanto il mediatore di questo amore, colui che ce lo deve trasmettere.

Anche noi, come Gesù e in lui, dobbiamo accogliere con gratitudine l’amore che viene dal Padre e rimanere in esso, secondo il comando di Gesù “rimanete nel mio amore”. Dobbiamo rimanere nell’amore che Gesù ci trasmette. Rimanere in questo amore, e non uscirne con l’egoismo e con il peccato è un programma di vita meraviglioso, molto positivo, vuol dire vivere continuamente nell’amore.

Gesù ci fa capire che il nostro amore non deve essere soltanto un amore superficiale ma un amore effettivo. Gesù ci chiede di osservare i suoi comandamenti, che si riassumono in uno solo “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”. “Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: ama il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5,14).

Noi siamo amati da Gesù e abbiamo il dovere di amare come Lui ci ama. Per amare come Gesù ci ama, dobbiamo accogliere in noi il suo cuore. L’Eucaristia ha lo scopo di mettere in noi il cuore di Gesù, in modo che esso sia veramente efficace nella nostra vita e tutta la nostra vita sia guidata dai suoi sentimenti generosi (Albert Vanhoye). C’è il detto “cor Pauli cor Christi” – dal nostro cuore al cuore nuovo, al cuore di Gesù.

“In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Iddio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come strumento di perdono per i nostri peccati” (1 Gv 4,10). Qui Giovanni insiste nel dire che l’iniziativa dell’amore appartiene a Dio, la sorgente dell’amore è in Lui. Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha tolto il grande ostacolo all’amore che si trova in noi, il peccato. “Dio ha mandato suo Figlio come strumento di perdono per i nostri peccati” rendendoci così possibile una unione di amore con Lui (Albert Vanhoye).

“Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” se non ci avvesse amati per primo non saremmo neppure qui. San Paolo dice che in Dio viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (At 17,28). “È l’amore che fa esistere” (M. Blondel).

Sant’Agostino dice che ci ha amati perché noi potessimo amarlo, amandoci ci ha resi suoi amanti.

L’amore di Dio crea amicizia intorno a sé e trasforma le persone in amici (a nessuno si può comandare di essere amico: lo si diventa perché ci si sente amati, compresi). Gesù ci dice che la sua amicizia si manifesta con la confidenza, con la comunicazione dei pensieri e dei sentimenti di Dio, con la rivelazione divina “...ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre lo fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).

La vita cristiana è una vita di confidenza con Gesù, e anche questo è una cosa meravigliosa.

“Intuivo che pur essendo Dio era anche uomo: un uomo che non si meraviglia delle debolezze umane, che comprende il nostro miserabile impasto, soggetto a molte cadute derivanti dal primo peccato che Egli è venuto a riparare. Posso trattare con Lui come con un amico, benché sia il Signore (santa Teresa d’Avila).

Il Signore ci affida la sua gioia “voglio che la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). La gioia non si può trovarla così da sola, ma scaturisce dall’amore e dall’amicizia. Il gigantesco segreto della vita cristiana è la gioia (Chesterton).
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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