Sap 7,7-11;
Eb 4,12-13;
Mc 10,17-30
Marco racconta un significativo incontro di Gesù che gli offre l’occasione di una catechesi sulla ricchezza.
Un tale, ricco, va da Gesù in atteggiamento di profondo ossequio dato che ha conosciuto la sua bontà, e con grande entusiasmo gli dice “maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? ”.
Buono è solamente Dio, ed è Lui che stabilisce ciò che è buono per gli uomini. Gesù dicendo che Dio solo è buono non è che nega la sua divinità e la sua bontà, ma riferisce tutto al Padre con il quale ha tutto in comune.
Chiede cosa fare per avere la vita eterna, sebbene essa non è concessa come ricompensa-salario per le buone azioni, ma è data gratuitamente: la salvezza è dono di Dio, tutto è dono tutto è grazia. Nonostante possedesse molti beni, andava alla ricerca di un qualcosa di diverso, di un di più che possiamo certo chiamare “vita eterna”.
Con tale termine, generalmente, indichiamo la vita nell’aldilà, ma nei Vangeli questa espressione assume un altro significato: essa indica prima di tutto una vita piena e autentica già sulla terra (Battista Borsato).
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,54) – non dobbiamo attendere la morte per avere la vita eterna, ma la abbiamo già da adesso: questa è la vita di comunione con Dio, la vita nell’amore di Dio e quindi la vita che può vincere la morte e superare tutti gli ostacoli perché ha una forza straordinaria (Albert Vanhoye).
Non è la “vita futura” che ci deve interessare, ma la “vita eterna”. Invece di lanciarci in speculazioni sulla Gerusalemme celeste, Gesù ci insegna a vivere fin da ora una vita terrena che possa durare sempre. Tutto quello che possiamo sapere sul futuro è che sarà fatto di amore. Gesù quindi non ci sospinge verso l’Antico Testamento, né verso un futuro sconosciuto; ci indirizza verso la nostra vita quotidiana per iniziare quei gesti di amore che continueremo nella vita eterna.
Siamo sulla terra per guadagnarci un pezzo di cielo; viviamo nel tempo con tanti fratelli e sorelle per imparare quello che faremo in eterno nel paradiso (Franco Galeone).
Tuttavia bisogna disporsi ad accogliere questo dono amando Dio, difatti Gesù gli dice di osservare i comandamenti (per mezzo dei comandamenti Dio ci ha detto apertamente come vuole essere amato e servito) – e Gesù cita specialmente i comandamenti verso il prossimo “chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20).
Quel tale si attirò lo sguardo di simpatia di Gesù perché osservava tutte quelle cose fin dalla sua giovinezza; e Gesù volendo premiare il desiderio di perfezione di quel giovane: “ti manca una cosa; va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi”. L’accento è posto non tanto sulla povertà volontaria, ma sulla suprema ricchezza di possedere Gesù. A questo può essere accostata la parabola del tesoro nascosto: uno trovò un tesoro nascosto in un campo, andò e vendette tutto quello che aveva per comprare quel campo (Mt 13,44).
Gesù porse a quel giovane la chiamata alla libertà suprema, ad un lieto e disinteressato servizio, a seguire Gesù senza impacci, quasi di volata – cercò di trasformare anche visibilmente quella vita col darle un impulso interiore verso vette altissime. Ma la parola di Gesù non penetrò nell’anima di quel giovane, la tristezza si impadronì di lui, vide l’eccellenza dell’ideale propostogli da Gesù ma non ebbe il coraggio di dare l’addio a tutti i suoi beni – e così nel Vangelo quel giovane scompare nella nebbia della mediocrità (il cuore dell’uomo è fatto per l’amore infinito e fintanto che è schiavo delle cose non può che rimanere deluso e infelice).
Matteo il pubblicano accettò l’invito di Gesù, così sant’Antonio abate quando sentì in chiesa “va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri”.
Gesù voleva che la osservanza dei comandamenti fosse illuminata e vivificata dal primo comandamento “non avrai altro Dio fuori di me” – voleva che lui che osservava già i comandamenti mettesse veramente Dio al primo posto, ma l’adesione ai suoi beni gli impedì di aderire fino in fondo al vero e sommo bene che è Dio.
“Oh Signore manda la sapienza che siede accanto al tuo trono, perché anche se uno fosse il più perfetto tra i figli dell’uomo, senza la sapienza mandata da te è stimato un nulla”. “Non basta svuotare il cuore dall’io, dalle cose e dalle ricchezze, dice lo scrittore francese G. Bernanos, bisogna riempirlo di Dio, della vita, della sapienza, dell’infinito”.
La condizione posta da Gesù all’uomo ricco “una cosa sola ti manca, va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri”, resta la forma più efficace e convincente per proporre il Vangelo anche nel mondo moderno.
Anche il Concilio Vaticano II dice che le opere di misericordia sono un modo per rendere migliore il mondo. Il comandamento della carità si intreccia con questo spirito di povertà che fa sì che la nostra vita da sterile diventi feconda, da chiusa in sé aperta all’amore, da legata alle ricchezze confidente nel tesoro posto nei cieli.
L’amore verso i poveri era l’anima della Chiesa primitiva. Dei primi cristiani si diceva “sono poveri ma arricchiscono molti, mancano di ogni cosa ma trovano tutto in sovrabbondanza”.
Anche il Salmo 33 dice “i ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla”.
Il fior fiore del popolo eletto erano i poveri di Jahvè tra questi primeggiava la Madonna. Nelle sue apparizioni a Banneux si è definita la Vergine dei poveri.
Ciò che manca a quel tale è seguire la persona di Gesù: è il di più della fede cristiana che si aggiunge all’osservanza dei comandamenti. “Ciò che più vale nella vita è Gesù Cristo benedetto, la sua santa Chiesa, il suo Vangelo, la verità e la bontà” (Giovanni XXIII).
Gesù guardò i suoi per voler scolpire in loro le parole che stava per dire “quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!” – ma allora si pensava che le ricchezze erano segno della benevolenza e benedizione divina, la ricompensa per la fedeltà alle leggi, di qui lo stupore degli apostoli, ma Gesù ribatte “figliuoli come è difficile entrare nel Regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. Impossibilià colta bene dai discepoli che “ancora più sbigottiti” dicevano tra loro “e chi mai si può salvare?”. A Gesù interessa una immagine provocatoria, che esprima in modo vistoso l’impossibilità.
Gesù volge uno sguardo che valga anche a sollevarli “impossibile presso gli uomini ma non presso Dio”. Dio vuole che tutti gli uomini si salvino; Dio non vuole condannare nessuno, ma piuttosto liberare l’uomo dalle catene che lo tengono prigioniero. Dio è capace di far passare un cammello per la cruna di un ago perché ha la passione dell’impossibile. La vita eterna è un dono che ha bisogno di mani vuote perché sappiano accoglierlo; le mani piene non possono ricevere più nulla; solo le mani vuote si aprono alla grazia (Luigi Pozzoli).