DOMENICA I DI QUARESIMA

Pubblicato in Domenica Missionaria


Nel deserto per quaranta giorni
fu tentato dal diavolo
Dt 26,4-10
Rm 10,8-13
Lc 4,1- 13

La Quaresima è un tempo in cui la Chiesa attraversa il deserto per raggiungere la terra promessa della risurrezione di Gesù. Per questo il Vangelo di oggi ci parla del deserto dove Gesù fu tentato dal diavolo per quaranta giorni.
 Il Vangelo ci riferisce che Gesù, dopo il suo battesimo, è condotto dallo Spirito Santo nel deserto per un necesssario confronto con il diavolo.
 Il suo essere proclamato ‘Figlio prediletto’ non lo separa dalla condizione umana, bensì egli resta solidale con l’umanità, accettando su di sé anche la prova, che caratterizza inevitabilmente l’esistenza umana.
 Satana sospetta in Gesù una presenza divina straordinaria, l’individuo misterioso che poteva strappargli l’immenso potere esercitato dai primordi dell’umanità sui figli dell’odiato Dio. Egli è il Separatore, l’avversario del piano di Dio sull’uomo.
 Il buon Dio che all’inizio è stato giocato da quella perversa creatura, sembra anch’egli prendere gusto ora a imbrogliargli le carte; gli concede l’iniziativa con Gesù, con quell’uomo qualunque che a Nazareth esercitava il mestiere di artigiano ed era invece il suo Figlio Eterno.
 Fino a quel momento Dio aveva operato, dice sant’Agostino, ‘praesentissimae, ma, secretissimae’.
 Il diavolo intelligente sospetta l’uomo di Nazareth che ha tutto lasciato per incominciare la sua vita pubblica, e Giovanni Battista un giorno aveva puntato il dito su quell’oscuro galileo gridando “ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,29) e lo aveva battezzato in modo singolare; punta su Gesù. Ora Gesù non si preoccupa di nascondersi, esce all’aperto.
 Lo Spirito lo conduce nel deserto dove per quaranta giorni fu tentato dal diavolo. Luca riprende il motivo del numero quaranta che caratterizza i periodi decisivi del popolo di Dio e dei servi del Signore: il popolo eletto rimase quarant’anni nella traversata del deserto, Mosè rimase quaranta giorni sul monte Sinai (Es 24,18), Elia camminò quaranta giorni e quaranta notti per arrivare al monte Oreb (1 Re 19,8); anche questa cifra di quaranta chiarisce al lettore che il tempo delle tentazioni di Gesù resta sotto il manto della misericordia e grazia divina.
 Non c’è situazione umana che possa essere considerata sottratta alla signoria divina, e anche il tempo della prova non è un tempo disgraziato, bensì ricolmo di grazia. Certo ciò non si disvela immediatamente, ma chiede di perseverare nell’atteggiamento di fede, di preghiera.
 Anche per Gesù questi quaranta giorni hanno significato un periodo forte di crescita e di maturazione nella sua missione di Messia e di Redentore; in questa solitudine egli cerca soltanto la compagnia del Padre e vive nel suo Spirito; prega, contempla il divino mistero a lui destinato: annunziare il Vangelo di Dio e dare la propria vita per intero al Padre per tutti gli uomini.

 Dopo aver digiunato per quaranta giorni, Gesù ha fame. Il diavolo si presenta a lui con la prima tentazione, cominciando con parole lusinghiere “se tu sei Figlio di Dio...”. Nel battesimo Gesù era stato proclamato ‘Figlio di Dio’ e il diavolo riprende questo titolo come base per la sua tentazione.
 “Se tu sei Figlio di Dio di’ a questa pietra che diventi pane” il diavolo vuole indurre Gesù ad adoperare i propri poteri per il proprio vantaggio. Quando nell’Orto degli Ulivi verranno ad arrestarlo, non chiederà al Padre di intervenire con un esercito di angeli; dichiara a Pietro: “pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?” (Mt 26,53).
 Gesù è tentato di rendersi indipendente da Dio, ma in lui c’è la piena consegna di sé al Padre, il suo cibo sarà compiere la volontà del Padre.
 Il commentatore dice che nella tentazione del pane è possibile riconoscere le attese che la gente riverserà su di Lui: quelle di essere guariti, saziati, liberati dal potere del nemico. Ebbene in queste richieste c’è il pericolo di strumentalizzare Dio: si richiede a Dio che si mostri Padre proprio perché soddisfa i nostri bisogni – e soprattutto si ignora il mistero di cui siamo portatori, e cioè che l’uomo non di solo pane vive, ma aspira ad un bene ancora più grande, ossia a quella parola che, unica, può dare senso alla sua vita. Gesù gli rispose “sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo”.

 Poi il diavolo in una visione fantastica fa balenare a Gesù la vista di tutti i regni della terra con la loro potenza e gloria; ha la presunzione di dire che è roba sua e la dona a chi crede. È la suggestione della potenza e della gloria, non riconoscendo più la signoria di Dio, ma vince concependo la filiolanza come adorazione: salirà sulla croce come uno che si offre al Padre fino al dono estremo di sé, dove la sua luce divina si nasconde, “solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, Lui solo adorerai”, c’è nella risposta di Gesù una illimitata fiducia in Dio e una piena obbedienza verso di Lui.
 La tentazione del potere sarà particolarmente minacciosa nella vita di Gesù. Nel Vangelo c’è che persino durante l’ultima cena gli apostoli discuteranno su chi sia tra loro il più importante. Gesù darà loro una lezione di umiltà concludendo “eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27).
 Santa Teresa de los Andes scrive: “quanto mi costa farmi l’ultima in tutto; Gesù mi ha detto che egli stava sempre all’ultimo posto”.
 L’ultima tentazione è la più forte perché il diavolo si serve della stessa parola di Dio per tentare Gesù citando il Salmo 91 pieno di affermazioni di fiducia e di abbandono alla volontà di Dio. Il diavolo tenta Gesù ad iniziare la sua missione con un gesto clamoroso: buttarsi giù dal pinnacolo del Tempio con la certezza che Dio manderà i suoi angeli perché non subisca alcun danno.
 Il diavolo suggerisce a Gesù di tentare Dio, cioè di cercare di imporgli la propria volontà. Gesù non accetta questa proposta, e così di nuovo si rivela realmente Figlio di Dio. Egli è il Figlio perfettamente docile al Padre, che non cerca di imporre al Padre la propria volontà, ma si preoccupa di fare esattamente la volontà del Padre, sapendo che questa è il bene più grande (Albert Vanhoye). Gesù respinge anche questa tentazione citando un passo della scrittura: “è stato detto: non tenterai il Signore Dio tuo”.
 Alla fiducia del Cristo nella parola di Dio sulla quale sono costruite tutte le sue risposte a Satana si unisce la fede della Chiesa che riconosce in Gesù non un Messia taumaturgico e politico, ma un Messia salvatore e liberatore (Gianfranco Ravasi).
 Gesù non ha voluto il pane con facilità, né gli onori, né i beni della terra, ma ha seguito la via ordinaria del lavoro, umiltà e sofferenza. Da noi ha preso le tentazioni, da Lui la forza di vincerle.
 “Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18).
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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