1 Cor 10,1-6. 10-12
Lc 13,1-9
Oggi la liturgia ci parla della misericordia di Dio e della nostra conversione, insistendo soprattutto su questo secondo tema.
Il biblista dice che l’evangelista in questa pagina ci restituisce la fragranza delle parole tipiche di Gesù; inoltre dice l’arte pedagogica di Gesù che da fatti di cronaca quotidiana parte per raggiungere il cuore degli uomini, perché Gesù parlava con chiarezza e a cuore aperto.
Riferirono a Gesù che Ponzio Pilato aveva fatto uccidere dei galilei nel Tempio di Gerusalemme per domare una loro rivolta. Deve essere capitato nel periodo pasquale quando tanti arrivano a Gerusalemme ed offrono i loro sacrifici nel Tempio, difatti dice che ha mescolato il sangue di quei galilei con il sangue dei loro sacrifici.
Allora si pensava che le disgrazie erano una punizione divina per i propri peccati commessi. Gesù smentisce decisamente questa credenza popolare, non vuole allinearsi con quelli che amano vedere nelle disgrazie il dito di Dio giudice, ma prende spunto dal fatto capitato per invitare tutti alla conversione; sceglie come sua risposta l’annunzio del Regno di Dio; Dio sa parlare anche attraverso le azioni malvage degli uomini.
Poi Gesù di rincalzo cita in proprio un altro fatto di cronaca: era crollata la torre di Siloe, forse mentre si stava costruendo l’acquedotto di Gerusalemme, ed aveva fatto diciotto vittime. Anche qui, per sottolineare e rendere ancor più chiaro ciò che aveva affermato nella precedente risposta, Gesù riafferma la necessità della conversione.
Ecco che Luca sottolinea uno dei motivi dominanti del suo Vangelo, e cioè l’importanza della conversione. Questo è uno dei temi principali della predicazione del Battista (Lc 3,3), dello stesso Gesù (Lc 5,32), e della predicazione della Chiesa delle origini (At 2,38).
Per ben due volte infatti, dopo aver respinto la credenza popolare, afferma solennemente: “...ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Gesù afferma l’urgenza della conversione che questi fatti suscitano e devono provocare in tutti. Gesù invita a cogliere una lezione da questi avvenimenti; vanno letti come un richiamo alla conversione.
È per amore che Gesù insiste sulla necessità della conversione, egli è preoccupato del nostro bene, della nostra felicità. Dio è pieno di misericordia ma noi dobbiamo corrispondere ad essa con un sincero sforzo di conversione, chiedendogli di farci capire in quali punti in particolare dobbiamo convertirci.
Invita alla ‘libertà’, attraverso la conversione del cuore, verificata sulle cose e sui fatti di ogni giorno. È in questo modo che l’invito alla conversione è continuo, perché emerge dalle cose stesse in cui siamo quotidianamente coinvolti. Questo, mi sembra il primo e il più attuale insegnamento del Vangelo odierno (Settimio Cipriani).
Non è né facile né comodo essere ‘liberi’, perciò tutti siamo tentati di renderci ‘schiavi’ (F. Dostoevskij).
Un detto orientale: il creato tende alla libertà, ma gli uomini amano le loro catene.
La legge del cristiano è una legge di libertà, perché è una legge di amore, e l’amore esiste solo dove c’è libertà (Albert Vanhoye).
Nel “Benedictus” diciamo: “...di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto per tutti i nostri giorni”.
La conversione richiede di liberarsi dal veleno del serpente per sempre più aderire alla volontà di Dio.
Col termine ‘polvere’ (Gn 3,19) il testo sacro vuol rappresentarci la fragilità della natura umana in conseguenza del peccato originale.
Il santo è l’uomo che più ha l’esperienza di tale fragilità nativa e la coscienza del peccato.
Quando san Carlo Borromeo nelle sue peregrinazioni si portava appresso il suo confessore per immergersi tutti i giorni nel sacramento della penitenza, non esagerava un bigottismo, viveva la verità della sua persona.
Santa Teresa d’Avila: “disprezzando a dovere il nostro nulla, anzi il nostro meno di nulla, si acquista adesso un buon grado di umiltà, sicché i fiori tornano a sbocciare”.
Dalla stessa santa si può rilevare la definizione della conversione quando dice: “finché viviamo abbiamo sempre bisogno di crescere di grado nell’amore del Signore e di essere sempre più forti nella virtù”.
La vita cristiana è fatta di successive e progressive conversioni, a partire dalla prima che coincide con il battesimo.
Il cardinal Newmann “per l’uomo vivere è cambiare, ed essere perfetti è aver cambiato spesso”.
Giovanni Paolo II al mercoledì delle Ceneri “adoperando i mezzi che il Signore ci offre per il tramite della sua Chiesa, al fine di guarire dalle nostre infermità e riacquistare la dignità perduta; perché l’immagine di Dio che nonostante il peccato è rimasta in noi, possa riacquistare il suo splendore e la nostra esistenza possa quindi tornare ad essere conforme al sapientissimo piano originario del Creatore”.
“Quindi possiamo riconquistarci noi stessi nella misura che Cristo si impadronisce più totalmente della nostra persona” (Jean Galot).
“Egli ci dà la forza di rinnovare più spesso il nostro contatto con il Padre, sempre vicino, sempre presente come fonte del valore della nostra vita” (Jean Galot).
L’urgenza della conversione è sottolineata da Gesù con la parabola del fico. Il nucleo di questo branetto, piuttosto originale nella rielaborazione lucana (Mc 11,12; Mt 21,18) è nel dialogo tra il padrone della vigna e il vignaiolo: il padrone vorrebbe tagliarlo perché è da tre anni che vi cerca i frutti ma invano; ma il vignaiolo dice al padrone “padrone lascialo ancora quest’anno” chiede pazienza, suggerisce ancora lavoro, nell’attesa dei frutti.
Da una parte dice che la conversione è un dono della pazienza di Dio, c’è una inattesa misericordia e pazienza verso questo fico sterile. La parabola ci fa toccare con mano la speranza divina, che è davvero ‘una speranza contro ogni speranza’. Dio continua a credere nel peccatore, anche quando umanamente tutte le opportunità sembrano esaurite.
Per la nostra salvezza Dio fa il novantanove per cento a noi tocca mettere l’uno; difatti sant’Agostino dice: “Dio che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te”. La parabola ci consegna anche un commovente tratto, Cristo il vignaiolo che intercede in favore nostro presso Dio (Rm 8,34).
Noi possiamo contare sulla misericordia di Dio nel senso di accrescere la nostra preoccupazione di corrispondere a tale misericordia con il nostro amore filiale (Albert Vanhoye).