Fil 2,6-11
Lc 22,14-23, 56
Gesù percorre in fretta e con decisione l’ultimo tratto del suo cammino fino al Calvario. La sua regalità e messianicità si realizzerà nella umiliazione e nella sofferenza: proprio in questa sua capacità di donarsi per gli altri fino alla morte rifulge il massimo della sua gloria e del suo splendore.
Le prime due letture altrettanto celebri, sono ripetute ogni anno e aiutano a introdursi nella lettura della passione del Signore. Quest’anno siamo guidati dall’evangelista Luca che racconta la passione con molta venerazione e ammirazione per il suo Signore.
Ambedue ci parlano del Servo del Signore che salva soffrendo e donandosi agli altri. È il Servo docile, che ha una docilità filiale perché si lascia condurre dal Padre celeste alla manifestazione del più grande amore; certo della vittoria per la vicinanza di Dio.
Ha preso la forma di servo, si è umiliato e così ha convertito la nostra natura; in sé ha fatto un cammino a ritroso e così ha risollevato la nostra natura che era decaduta.
Dobbiamo pensare a questo cammino compiuto da Gesù per valutare la nostra liberazione, per attingere i motivi della nostra riconoscenza, per capire il senso del peccato.
In questa contemplazione del suo Signore sofferente come l’ultimo degli uomini e risplendente della luce del Padre nella risurrezione, il credente riesce a decifrare il senso della sua storia e l’anima della speranza che deve fecondare il suo dolore e le sue miserie (Gianfranco Ravasi).
La stessa lettura della passione nella sua limpidità ed immediatezza è già un canto di fede ed una proposta di vita. Cristo, benché sapesse eternamente di semplice scienza che cosa sia l’obbedienza, volle tuttavia impararla con l’esperienza, con le pene che soffrì (Eb 5,8).
“Infatti non abbiamo un Sommo Sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, ecluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,15).
Ha provato perfino l’abbandono da parte del Padre. “Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì eloì, lema sabactani? che significa: Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; Mt 27,46).
Come mai il Padre lo ha abbandonato ora che è in croce? Ce lo rivela Gesù: l’amore del Padre è totalmente gratuito. Ama dando, senza ricevere nulla in contraccambio da noi (come il sole che sempre illumina e riscalda - Maurizio Blondel “è l’amore che fa esistere”). Il Figlio che è della stessa natura del Padre, doveva darci con la sua morte il modello perfetto di questo amore del Padre. E la sua morte in croce ce l’ha offerto in modo esemplare, amando e perdonando tutti sebbene da tutti abbandonato, anche dal Padre.
È un modello che ogni discepolo deve imitare; deve amare anche i nemici, amare a fondo perduto. L’evangelista Luca racconta la passione attraverso la contemplazione della persona di Gesù nel suo atteggiamento di paziente misericordia.
La misericordia di Gesù non conosce limiti: è pazienza con i discepoli nel Getzemani, è invito al ravvedimento per Giuda, è sguardo di compassione per Pietro, è promessa di salvezza per il buon ladrone. Ma soprattutto la parola più vertiginosa della misericordia viene dalla croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. È la misura senza misura della misericordia di Dio.
In Lui appare il volto misericordioso di Dio.
Origene “che senso ha dunque questa passione che per noi Gesù ha sofferto? È la passione della carità”. Egli rispondeva, e proseguiva affermando che in tal modo Gesù dava un volto umano all’amore del Padre verso gli uomini; cioè, per dirci in qual modo - in quale misura il Padre ci ama, Gesù ha scelto quel modo di soffrire e di morire. La ‘gloria del Padre’, rivelataci da Gesù, è appunto il suo sconfinato amore per i peccatori.
Dio non può soffrire, Dio non può morire. Cristo soffrendo e morendo si rivela autenticamente nostro fratello sino alla frontiera ultima; ma egli essendo anche Figlio di Dio pone nel nostro limite e nella nostra morte un germe pasquale di eternità (Gianfranco Ravasi).
Tutto il racconto della passione viene illuminato dal primo episodio: l’Ultima Cena. Qui vediamo come Gesù affronti tutta la sua passione con desiderio ardente; dice infatti “ho desiderato ardentemente di mangia74 re questa Pasqua con voi prima della mia passione”. In questo momento Egli prende in anticipo tutta la sua passione e la trasforma nell’espressione del più grande amore. Gesù prese il pane dicendo “questo è il mio corpo che è dato per voi” - allo stesso modo prese il calice dicendo: “questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi”.
Quel pane e vino della cena posti lì davanti a tutti come ‘segno’ della sua donazione alla morte e come ‘segno’ della fondazione della nuova alleanza.
Gesù manifesta il senso che Egli dà alla sua passione anche quando dice agli apostoli “io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Gv 22,27).
Egli si è fatto servitore di Dio e servitore nostro. Si è messo al nostro servizio e ha preso la nostra sorte, anzi la sorte dei più miserabili e infelici tra di noi, trasformandola dal di dentro con la sua grazia e il suo amore.
Così ci ha servito. La sua morte è il più alto punto del ‘servizio’ a tutti gli uomini.
Luca insiste sulla completa innocenza di Gesù. Egli è l’innocente che soffre per riscattare i peccatori; è colui che per puro amore accetta la sorte dei condannati a morte, e così mette la sua grazia in tutte le circostanze, anche le più tragiche, della vita umana (Albert Vanhoye).
Gesù Cristo, afferma Pascal, è in agonia fino alla fine del mondo.
Il Concilio di Trento (sess. XXII, cap. I): nell’Ultima Cena nella notte in cui fu tradito per lasciare alla sua diletta sposa la Chiesa il sacrificio per mezzo del quale fosse rappresentato e ricordato fino alla fine dei secoli il sacrificio della croce che stava per compiere, istituì la nuova Pasqua dove Egli stesso sotto i segni sensibili del pane e del vino viene immolato dalla Chiesa per mano dei sacerdoti.
Nella messa come sulla croce l’amore è lo stesso e i meriti ugualmente infiniti.