Ap 1,9-11a. 12-13. 17-19
Gv 20,19-31
I discepoli sono chiusi in casa, per paura dei giudei. In tale paura, più che una minaccia dell’ambiente esterno, bisogna scorgere una loro fragilità, dovuta alla mancanza di fede che li fa guardare il mondo con sospetto ed esitazione, anziché guardarlo come il destinatario di quell’amore infinito per cui Dio ha dato suo Figlio (Gv 3,16).
È poi scesa nuovamente la notte, ed anche in loro non si è ancora accesa la luce della fede nella risurrezione. In questo contesto si dà l’evento decisivo del venire di Gesù e del suo fermarsi in mezzo. C
osì Gesù viene come Signore e si pone come centro della comunità, del mondo, della storia intera. M
ostra allora le mani e il costato, i segni della sua passione, ad indicare non soltanto la sua identità, ma piuttosto l’unità del mistero pasquale: la croce porta alla risurrezione, la risurrezione alla croce (così anche noi: completo in me quello che manca alla passione di Cristo, completo in me quello che manca alla risurrezione; dobbiamo essere sacrificio a Dio, e dobbiamo essere liberazione, risurrezione).
I discepoli provarono una gioia incontenibile. Si avvera quanto disse nell’Ultima Cena “vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia”.
Il Risorto viene comunicando il dono della pace, che è dono divino per eccellenza, capace di scacciare ogni turbamento e paura: paura di sé, paura degli altri, paura della vita, e paura della morte.
E Gesù dice loro due volte “pace a voi”. Questo è il saluto abituale degli ebrei, ma sulla bocca del Risorto acquista un significato molto più importante e profondo.
Gesù porta realmente la pace, perché ci ha riconciliato con il Padre; le forze ostili all’uomo: il demonio, il peccato, la morte sono state annientate, e così egli può portarci la pace. San Paolo dice “Cristo è la nostra pace” (Ef 3,14).
San Paolo godeva tale pace: godere dell’amore di Cristo era il cumine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Il godere dell’amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene (san Giovanni Crisostomo).
Chi crede al Risorto acquista una garanzia assoluta su ogni turbamento che la vita presente ci può offrire. Forte del messaggio di Pasqua il cristiano riesce a sperare anche nell’ora della tribolazione. La pace, dice san Tommaso, è la pienezza della gioia, e la pace di Gesù è la pienezza dei beni messianici; e Gesù manda i suoi apostoli come Lui era stato inviato dal Padre, perché l’infinità dei beni divini raggiunga l’umanità intera sulla faccia della terra.
Poi Gesù alitò su di loro e disse “ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
Gesù inaugura uno stato perenne di risurrezione, per il cristiano deve essere una cosa familiare il sempre risorgere. È certo che per Giovanni la Chiesa è per eccellenza il luogo in cui si attua la piena liberazione dal male e la costituzione della nuova umanità creata dal ‘soffio’ del Cristo (Gianfranco Ravasi).
Gesù istituisce il sacramento della confessione.
Paolo VI dice che la Pasqua ci presenta il quadro della misericordia di Dio e il quadro della nostra povertà; viene a proposito il Salmo “De profundis clamavi ad te Domine”.
La domenica “in albis” è ufficialmente riconosciuta come la domenica della Divina Misericordia: “questa festa è uscita dalle viscere della mia misericordia ed è confermata nell’abisso delle mie grazie, ogni anima che crede e ha fiducia nella mia misericordia la otterrà” (a suor Faustina Kowalska 1905-38).
Alla stessa santa Gesù disse “ogni volta che senti l’orologio battere le tre, ricordati di immergerti tutta nella mia misericordia, adorandola ed esaltandola; invoca la sua onnipotenza per il mondo intero e specialmente per i poveri peccatori, poiché fu in quell’ora che venne spalancata per ogni anima. È un’ora di grande misericordia per il mondo intero”.
L’evangelista annota che Tommaso non si trovava con gli altri discepoli al momento della venuta di Gesù. La precisazione è necessaria per comprendere l’episodio dell’apparizione a Tommaso, episodio che vuole introdurre il lettore nella pienezza della fede pasquale, quella su cui sarà pronunziata la promessa di beatitudine “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.
I suoi compagni gli dicono “abbiamo visto il Signore”, ma egli sa bene che il suo maestro è morto, dopo aver sofferto, dopo essere stato abbandonato anche da lui: ora quanto gli dicono gli altri discepoli gli sembra una derisione di tanta sofferenza, per questo gli vien da dire “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi...”.
Gesù sa che Tommaso più che mettere le mani nelle sue ferite, aspira con tutto se stesso a capire come quella morte sia sensata. Gesù conosce il cuore di Tommaso, e per questo nel suo amore lo prende in parola, vuole intro84 durre il discepolo alla più profonda comprensione della fede. Otto giorni dopo Gesù appare di nuovo e con tenerezza chiama a sé Tommaso perché entrasse nella felicità del credere. Tommaso come folgorato pronuncia quel sublime e completo atto di fede “Signor mio e Dio mio”. Tommaso riconosce non soltanto la vittoria di Gesù risorto, ma anche la sua divinità (in questo egli è ispirato).
Solo in Gesù si può riconoscere ciò che è Dio: in Gesù Dio si fa vicino, accessibile all’uomo, si fa uno di noi, è mio, mio Dio.
San Giovanni ha scritto il Vangelo per suscitare e alimentare la fede, e al termine del suo Vangelo porta questa espressione di fede. Gesù ribatte proclamando l’ultima beatitudine del Vangelo, la sola che si legge in Giovanni “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.
La fede non è solo il credere puro ma richiede un terreno dove posare i piedi, come Tommaso che voleva toccare con le proprie mani – ecco che questo terreno è la testimonianza, la testimonianza è il motivo ordinario della nostra fede (gran nugolo di testimoni - Eb 12,1).
C’è il gruppo dei testimoni oculari, e le generazioni successive. I primi hanno goduto del privilegio di vedere, gli altri hanno un vantaggio particolarissimo, cioè quello di potersi avvalere della guida autorevole efficace e sicura del Libro (Gv 20,30).
Se la fede dei primi discepoli nasce dall’aver visto il Signore, la fede futura dipenderà dall’ascolto, per la parola dei testimoni.
L’atto di fede dice: mio Dio perché sei verità infallibile credo tutto quello che tu hai rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere...
Santa Teresa d’Avila: per qualunque verità che la Chiesa insegna sarei disposta a dare la vita mille volte; vedessi anche con i miei occhi i cieli aperti non mi scosterei di un sol punto da quanto mi insegna la Chiesa.