DOMENICA XII DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria
Zc 12,10-11
Gal 3,26-29
Lc 9,18-24


L’episodio evangelico di oggi è inquadrato dalla preghiera di Gesù: “mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare...”. Gesù lo si trova sempre in preghiera nei momenti più importanti della sua vita. Quindi qui siamo davanti ad una pagina decisiva e significativa per comprendere il mistero di Gesù (un autore dice che l’avvenimento di oggi spicca come un picco luminoso su una catena di montagne). Gesù si apparta a pregare prima di manifestare ai suoi discepoli il suo cammino pasquale: patire, morire e risorgere; e rivelare la sua vera identità e le esigenze radicali della sua sequela; in particolare si può pensare che Gesù prega il Padre di concedere il dono di una rivelazione a Pietro per farlo emergere sulla folla e sui discepoli in previsione del compito che gli sarà riservato nel futuro della Chiesa.

Gesù incomincia a rivelare la sua identità chiedendo ai suoi apostoli: “chi sono io secondo la gente?”. “Per alcuni Giovanni Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Tutte stime di grande importanza, ma la gente è ancora tanto lontana dal capire chi era Gesù. Egli è colui che i profeti avevano annunziato.
Parte dalla domanda: “Chi sono io secondo la gente?”; per poi giungere: “ma voi chi dite chi io sia?”, non è un sondaggio ma una domanda in cui li trovava coinvolti: una domanda che Matteo situa a Cesarea di Filippo (Mt 16,13).
Pietro a nome di tutti dà la risposta a Gesù: “il Cristo di Dio”. Questa risposta non è frutto della sua capacità o dei sentimenti personali, ma la sua lingua è stata mossa da una speciale rivelazione del Padre di Gesù, non altrimenti avrebbe potuto dichiarare il mistero del Figlio. Pietro proclama una fede su Gesù, che non è quella della folla, e della cui profondità, sul momento, neppure lui e gli undici si rendevano conto del tutto.
“Tu sei il Cristo di Dio”, nella prospettiva teologica del terzo Vangelo fa riferimento alla filiazione divina di Cristo (già Lc 1,32 e 4,41). Lo stesso titolo è usato dai nemici di Gesù sul Calvario: “ha salvato gli altri, salvi ora se stesso se è il Cristo di Dio, il suo eletto” (Lc 23,35).
“Il Cristo di Dio” cioè il Messia, l’Unto, Colui che Dio ha consacrato per una missione di salvezza (Enrico Masseroni); è dunque un momento fatidico quello in cui, per la prima volta, qualcuno riconosce che Gesù, il Figlio del carpentiere di Nazareth, è proprio Lui il Messia atteso da secoli (Raniero Cantalamessa); il Cristo di Dio, cioè il consacrato nello Spirito che si presenta come la presenza e la parola perfetta e definitiva di Dio. Egli è il Salvatore, la forza liberatrice che Dio stesso immette come lievito nella massa della nostra umanità (Gianfranco Ravasi).
Gesù impone ai suoi di far silenzio circa la verità che Lui è il Cristo; sia perché Pietro, sebbene abbia giustamente risposto, tuttavia era ancora ben lontano dal sapere quale sarebbe stata la sua storia; e sia perché allora si aspettava un Messia pieno di gloria, restauratore del popolo di Israele, liberandolo dal potere dei romani, vincitore dei suoi nemici; Gesù non voleva essere confuso con queste figure messianiche di forma politico-militare.

Ma per Gesù sembra che il punto di partenza per conoscere Lui e il suo messaggio di salvezza sia appunto questo: “il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scri bi ed essere messo a morte e risorgere il terzo giorno”. Questa è la sorte del Messia: una sorte dolorosa, ma per ottenere poi una vittoria più bella di quella sognata dagli ebrei. Gesù sa di dover vincere il male e la morte per mezzo di una sofferenza e di una umiliazione accettate per amore, e di giungere così alla vittoria della risurrezione (Albert Vanhoye).
Un Salvatore, certo, ma Salvatore non attraverso un trionfo imperiale ma attraveso la donazione della vita per le persone amate da salvare (Gianfranco Ravasi).
Egli si definisce “il Figlio dell’Uomo”, si identifica con quel personaggio misterioso di cui parla il profeta Daniele (7,14). Ama essere chiamato con questo titolo perché non risveglia le attese nazionalistiche del popolo, esprime solidarietà con l’umanità sofferente, e richiama un futuro eterno di gloria.
“Risorgere il terzo giorno”: i tre giorni alludono, da una parte, a Es 19,11 e 16 dove viene annunciata per il terzo giorno la manifestazione della gloria divina, e, dall’altra, a Os 6,2 dove “il terzo giorno” viene annunciato come quello dell’azione definitiva di Dio: “il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza”. Inoltre nella cultura ebraica si pensava che la morte definitiva si verificasse soltanto il quarto giorno, quando iniziava la decomposizione; risuscitare il terzo giorno significa quindi che la vita non si è interrotta ma ha sconfitto la morte.

“Poi, a tutti diceva...”: la sequela non è solo per i privilegiati ma è per ogni discepolo del Cristo che è invitato ad essere perfetto come il Padre.
La via tracciata da Dio al Figlio dell’uomo determina anche la via del discepolo, di colui che aderisce a Gesù e si pone alla sua sequela (K. Gutbrod).
La figura del discepolo si caratterizza per uno sforzo di conformità alle scelte, agli atteggiamenti, allo stile di vita del maestro. Non ci sono due strade. L’unica strada è quella percorsa dal Figlio dell’uomo. Al cristiano non è consentito di inventarne un’altra. La vicenda del Figlio dell’uomo, in un certo senso, deve prolungarsi nell’esistenza di tutti coloro che si impegnano a vivere le esigenze del Vangelo (Alessandro Pronzato).
In questo modo gli apostoli vengono educati a riconoscere la vera identità del Messia, che ha conseguenza sul modo di essere discepoli di Cristo. Perciò Egli dice: “se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”; così si diventa discepoli di Gesù non sognando vittorie ottenute con la forza ma cercando vittorie sul male, sul peccato e sull’egoismo. Queste sono le vere vittorie che danno un valore immenso alla vita. Afferma Gesù: “chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”. Da queste parole noi riceviamo una grande luce e veniamo liberati dalle nostre illusioni. La via da seguire per trovare la vera felicità è la via dell’amore, e questo significa lottare contro l’egoismo. Tutti gli uomini parlano con piacere di amore, ma pochi sono realisti e sanno che l’amore si manifesta realmente nella lotta contro l’egoismo (Albert Vanhoye).

Dobbiamo avvicinarci a Gesù che solo affranca l’uomo dalla schiavitù del male per renderlo come Lui una creatura nuova in attesa dell’eternità beata (Papa Giovanni XXXIII).
Poi il nostro battesimo ci mette in questa condizione di portare la croce: san Leone Magno dice che nel battesimo, mentre si depone la forma terrena e si prende l’immagine celeste si opera in noi una morte e risurrezione, le membra del rigenerato diventano carne del Crocifisso.
San Fulgenzio: “il cristiano con il battesimo diventa ostia a Dio”. Anche la Messa, ci ricorda la teologia, è il sacrificio del Cristo totale, cioè di Lui e noi.
San Pietro proclama: “Tu sei il Cristo di Dio”, come se dicesse: noi ti accettiamo per quello che sei e per quello che vuoi da noi; noi ti amiamo sopra ogni cosa.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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