Gn 18,20- 21. 23-32
Col 2,12-14
Lc 11,1-13
È risaputo da tutti che Luca ha un intersse particolare per il tema della preghiera. La figura di Gesù in preghiera è tipica del Vangelo di Luca: ad essa sono associati eventi di rivelazione o iniziative molto importanti del Maestro. Anche il suo pregare di oggi ci suggerisce che l’insegnamento che il Maestro di Nazareth sta per dare è della massima importanza.
Luca ci racconta come nacque la preghiera del “Padre nostro”. Questa preghiera Luca la fa nascere come dal vivo dell’esperienza di preghiera di Gesù stesso: “un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli.
Più che una formula di preghiera l’anonimo discepolo deve aver richiesto a Gesù, che aveva visto immerso nel suo dialogo con Dio, di spiegare loro lo spirito, il senso e anche il contenuto della preghiera, attingendo proprio al segreto della sua esperienza. Di fatto Gesù darà anche una formula di preghiera, il “Padre nostro”, e mediante la formula Egli intende creare delle disposizioni d’animo che permettano all’orante di mettersi davanti a Dio come uno che ha più bisogno di essere da lui richiesto e interpellato, che di chiedergli qualcosa (Settimio Cipriani).
Certamente Gesù più che una formula vuole darci un nuovo stile di preghiera, un modello di incontro con Dio. L’invocazione “abbà”, cioè: caro padre, papà (con questo termine il fanciullo ebreo si rivolge con tenerezza al proprio genitore), questa invocazione posta all’inizio è la vera novità di questa preghiera che Egli consegnò agli apostoli.
Nei primi tempi della Chiesa vollero conservarla come uscì dalla bocca di Gesù, in lingua aramaica. “Abbà” è l’eco precisa di una parola storica di Gesù come ha dimostrato lo studioso tedesco J. Jeremias, ma anche la voce coraggiosa della Chiesa che scopre Dio vicinissimo ed ‘umano’ in un rapporto assolutamente nuovo ed inedito. Qui vediamo chi era veramente il Gesù storico: l’uomo che aveva il potere di rivolgersi a Dio come “abbà” e che rendeva partecipi del Regno peccatori e pubblicani, autorizzandoli a ripetere quest’unica parola “abbà”, caro padre (J. Jeremias).
In questo modo Gesù ci insegna ad avere non solo un atteggiamento filiale nei riguardi di Dio ma addirittura ‘infantile’ cioè pieno di fiducia, di abbandono, di docilità, di amore. Diventare come bambini (Mt 18,3) per poter entrare nel Regno dei cieli.
Gesù ci ha insegnato così a chiamare Dio per nome, e il suo nome è “Padre” – per cui pregare diventa un colloquio familiare tra padre e figlio – (Giovanni Benedetti).
Questo che oggi sembra una cosa scontata, in origine fu ritenuta dalla Chiesa una novità sconvolgente-misteriosa. Anticamente il “Padre nostro” faceva parte delle cose segrete della fede cristiana, protette dalla legge dell’arcano. Veniva consegnato ai catecumeni al termine della loro preparazione, la vigilia del battesimo insieme alla spiegazione dell’Eucaristia. Chi lo riceveva, ne conservava le parole come reliquie, e aspettava con ansia il momento in cui uscendo dal lavacro del battesimo, circondato dai fratelli e presentato dalla madre Chiesa, alzando le braccia al cielo avrebbe esclamato per la prima volta: Padre! Facendosi riconoscere da tutti come nuovo figlio di Dio (Tertulliano).
Dobbiamo scoprire il senso del mistero tremendo nascosto in queste parole uscite dalla bocca di Dio e rivolte all’orecchio di Dio. Il “Padre nostro” è il Vangelo abbreviato, il Vangelo in preghiera, un fiotto vivo di Vangelo uscito dalla bocca di colui che è il Vangelo in persona.
L’idea di questo Padre propostaci da Gesù è l’idea di un Dio che si rivela come Padre di Gesù e Padre di noi uomini, che Egli ha voluto reintegrare nella sua casa come figli, a tale scopo ha inviato il suo proprio Figlio. Avendo Egli assunto la nostra stessa natura e avendoci resi fratelli suoi, ci ha dato la possibilità di rivolgerci a Dio invocandolo come nostro Padre, sia pure in maniera diversa: “avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: ‘abbà, Padre’” (Rm 8,15).
Gesù ci invita a pregare con perseveranza, per rafforzare la nostra relazione filiale con il Padre celeste. Egli possiede questa relazione in modo perfetto, ma vuole che anche noi entriamo in una relazione sempre più fiduciosa, affettuosa con il Padre celeste (Albert Vanhoye).
In questa preghiera le prime domande riguardano il Padre celeste stesso: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno. Gesù ci insegna a preoccuparci della gloria di Dio e del regno di Dio. In realtà, per noi non c’è niente di più importante di queste due cose. Dobbiamo desiderare intensamente che il nome di Dio sia conosciuto, venerato e amato da tutti gli uomini, così che il mondo possa essere trasformato. Infatti, non c’è nulla di più valido per trasformare il mondo, dell’amore verso Dio (Albert Vanhoye).
La seconda parte del “Padre nostro” riguarda le nostre necessità. Tutti i giorni abbiamo bisogno del pane e del perdono (San Cipriano ci dice che il nostro pane quotidiano più essenziale è l’eucaristia). Dobbiamo allora desiderare che tutti i cristiani si nutrano spesso di questo pane, anche ogni giorno, per essere trasformati da Cristo, per ricevere tutta la luce e la forza della sua grazia (Albert Vanhoye).
E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male: “... per non cadere in balia di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni” (2 Cor 2,11).
L’autorevolezza del “Padre nostro” fu indiscussa tanto che Tertulliano poté affermare categoricamente “l’orazione domenicale è veramente la sintesi di tutto il Vangelo”. E ancora Tertulliano dice : dopo che il Signore ci ebbe trasmesso questa forma di preghiera aggiunse ‘chiedete e vi sarà dato’ (Lc 11,9). Ognuno può dunque innalzare al cielo preghiere diverse secondo i propri bisogni, però incominciando sempre con la preghiera del Signore, la quale resta la preghiera fondamenteale”.
Dopo quasi diciotto secoli J. Jeremias gli fa eco: “il ‘Padre nostro’ è il più chiaro e nonostante la sua concisione il più completo riepilogo del messaggio di Gesù che noi conosciamo”.
Nessuno può pretendere di parlare a Dio meglio di quanto abbia insegnato suo Figlio che essendo al centro del mistero di Dio e di quello dell’uomo, solo conosce il Padre con assoluta verità (Mt 11,17) e solo scandaglia l’abisso del cuore umano e intuisce ciò di cui necessita.
Gesù non ci dà soltanto le parole della nostra preghiera filiale, ci dà al tempo stesso lo Spirito, per mezzo del quale quelle parole diventano in noi ‘spirito e vita’ (Gv 6,63).
Nel Padre nostro Gesù ci fa rivolgere la nostra domanda al Padre mettendo i verbi al plurale, vuol dire che egli non ci insegna la preghiera individuale ma comunitaria. Così anche nella preghiera Gesù ci fa praticare il comandamento dell’amore verso il prossimo. Noi ci uniamo al nostro prossimo per rivolgere le nostre domande al Padre. In particolare possiamo pensare alle persone che non pregano mai, che non hanno la gioia di pregare, alle persone a cui manca una cosa essenziale per una vita piena: la relazione filiale con Dio.