DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria

10leb

La fede diventa 

rendimento di grazie

 

2 Re 5,14-17

2 Tim 2,8-13

Lc 17,11-19



Gesù è in viaggio muovendosi lungo il confine tra la Galilea e la Samaria, verso est, per imboccare poi la valle del Giordano fino a Gerico. Egli entra in un villaggio dove incontra un gruppo di dieci lebbrosi. La sciagura e la miseria avevano accomunato un lebbroso samaritano agli altri nove che erano giudei. A quei tempi i giudei erano i nemici dei samaritani, ma nulla come il dolore e la sventura elimina radicalmente le distanze.

I lebbrosi dovevano vivere lontano dall’abitato, la loro presenza doveva essere segnalata a distanza; l’Antico Testamento prescrive loro di gridare quando si avvicina una persona “immondo, immondo!” (Lv 13,45). La loro sorte è veramente miserabile. Questi dieci lebbrosi hanno saputo del passaggio del Rabbi di Nazareth, e gli vanno incontro. Fermatisi a distanza, alzano la voce dicendo: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi”.

Tutti e dieci invocano a gran voce la pietà di Gesù. Essi gli si rivolgono chiamandolo per nome (come il buon ladrone sul Calvario) e lo riconoscono maestro, quasi a dimostrare la loro disponibilità verso il suo messaggio che essi riconoscono come il messaggio di liberazione. Gesù nell’incontrarli non si tira indietro come facevano tutti: Egli è differente dagli altri uomini, non ha paura della morte essendo egli la stessa vita.

Ascolta il loro grido e risponde con misericordia: “andate a mostrarvi ai sacerdoti”. Toccava ai sacerdoti veri ficare l’avvenuta sanazione e dare il permesso di ritornare nell’abitato con gli altri. Tutti obbediscono all’ordine di recarsi dai sacerdoti e di conseguenza credono implicitamente nella possibilità di una guarigione, cosa che effettivamente avviene. Difatti mentre se ne vanno tutti e dieci nello stesso istante sono guariti: le piaghe si rimarginano, il sangue torna a scorrere con maggior forza nelle loro vene, Gesù ha ridato loro la salute e la vita.



Una volta guariti, solo il samaritano sente il cuore troppo contento e torna indietro per dar gloria a Dio (e il suo cuore continuò ad esultare ogni giorno: “sia benedetto Gesù fino alla fine dei tempi”).

La fede del samaritano consiste nell’aver compreso in profondità che Dio opera efficacemente in Gesù, che la salvezza di Dio giunge agli uomini attraverso Gesù. Perciò egli torna indietro e si getta ai piedi di Lui.

I nove giudei guariti danno la precedenza all’osservanza della legge e di essa si ritengono paghi. Non tornano a ringraziare, forse per il fatto di essere giudei pensano che tutto è loro dovuto, pensano di avere dei privilegi davanti a Dio, non sanno cogliere la novità di Dio.

Gesù rimane sorpreso che la gente del suo popolo, pur abituata a leggere le sacre scritture ed educata dai profeti, sia stata preceduta da un samaritano nel riconoscimento del Messia di Dio.

Tutti e dieci furono sanati, ma solo il samaritano fu salvato in modo totale come dice Gesù: “alzati e va, la tua fede ti ha salvato!”. Invece la mancanza di fede e di gratitudine fa allontanare gli altri guariti ancora sulla strada verso la legge, a godere di una grazia soltanto terrena, fuori dalla relazione con la sua Persona, che vale assai più della purificazione del corpo. Luca dice che gli eretici, i pagani, i peccatori sono stati i primi a riconoscere in Gesù il mediatore della salvezza di Dio.

Luca specifica il momento del miracolo: “durante il viaggio verso Gerusalemme”, nota che Gesù è proteso per l’opera salvifica, va a purificare i cuori dal peccato, di cui si è fatto carico sin dall’inizio della vita terrena (Mt 8,17 - Is 53,4).

In particolare il miracolo quale azione di potenza di Dio, è un segno che anticipa nell’oggi ciò che Dio realizzerà per tutti gli uomini nella pienezza dei tempi. In altre parole, il miracolo, che accompagna le storia biblica e in particolare la vita di Gesù e la storia della Chiesa, è un segno efficace con il quale Dio mostra che il bene prevarrà sul male (Giovanni Marchesi).



I dieci lebbrosi vengono curati lungo la strada: “e mentre essi andavano furono sanati”. Nel Nuovo Testamento la vita cristiana è paragonata ad un itinerario, a un viaggio lungo e faticoso. La guarigione dalle ‘lebbre’ che ci fanno sentire lontani da Dio, rifiutati dai fratelli e disprezzati dalla nostra stessa coscienza (lo sappiamo e lo verifichiamo ogni giorno) non avviene di colpo, è progressiva, richiede una intera vita. È questo il cammino che Gesù invita a percorrere con pazienza, serenità, ottimismo, guidati in ogni passo dalla sua parola. Lungo la strada chi ha fede verificherà il prodigio, gradualmente vedrà: “...e la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto: egli era guarito”, come è accaduto a Naaman Siro (2 Re 5,14) (Fernando Armellini).



“Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero?”. Gesù osserva che il suo miracolo non ha ottenuto il risultato che doveva ottenere. Gesù infatti vive per la gloria del Padre, fa i suoi miracoli per glorificare il Padre; adesso vede che nove dei dieci lebbrosi non hanno reso gloria al Padre.

In realtà la guarigione operata da Gesù aveva due scopi: quello di far glorificare Dio e quello di procurare la salvezza completa della persona grazie alla relazione personale con il Salvatore, e, tramite lui, con Dio Padre (Albert Vanhoye).

Proprio per questo la fede diventa anche una esplosione di gratitudine verso Dio che, in Cristo, ci si è fatto vicino e ci ha garantito per sempre il suo amore (Settimio Cipriani).

Il ringraziamento è fonte di salvezza perché stabilisce una relazione molto positiva tra il Signore e la persona che ringrazia; una relazione di amore che produce la gioia, la pace e rende feconda tutta l’esistenza (Albert Vanhoye).

Il cristiano deve essere una persona che ringrazia continuamnte Dio perché continuamente riceve grazie da Lui; non si tratterà sempre di grazie eccezionali, ma di grazie quotidiane che rendono bella la vita.

Paolo diceva ai Tessalonicesi, poco dopo la loro conversione: “in ogni circostanza rendete grazie” (1 Ts 5,18).

‘In ogni circostanza’, cioè anche nelle circostanze dolorose perché anche in esse viene la grazia di Dio. E talvolta in esse vengon grazie più preziose di quelle che vengono nelle circostanze gioiose.

Il ringraziamento al Padre inonda l’anima umana di Gesù, di tutto Egli si riconosce debitore al Padre (Gv 8,28). I sinottici sono d’accordo nel mettere l’accento su un rendimento di grazie particolare della vita di Gesù, quello che l’ha conclusa: “prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: questo è il mio corpo” - dovette essere così intenso, così commovente e forse così sofferto che si impresse in maniera indelebile nella memoria dei presenti. La Chiesa raccogliendo questa eredità chiamò quel rito e la sua memoria ‘eucaristia’, cioè azione di grazia, quasi per dire che ogni ringraziamento a Dio è contenuto in quel ringraziamento e prende senso da esso.

S. Margherita Maria Alacoque nella seconda grande apparizione del Sacro Cuore dice: “mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini, dai quali poi non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenze; questo, mi disse, mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia passione”.

Il ringraziamento ci porta a ringraziare Dio che ci ha creati e a ringraziare il fratello perché esiste.


 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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