IV DOMENICA DOPO PASQUA

Pubblicato in Domenica Missionaria

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L'unica porta

At 2,14a.36-41

1Pt 2,20b-25

Gv 10,1-10

 

La liturgia odierna è dominata dalla figura del Buon Pastore. Il popolo eletto ha sempre conosciuto l’arte pastorizia, anche al tempo di Gesù era abituale incontrare pastori, essendo una professione molto diffusa; sempre a contatto con il proprio gregge, faceva sì che il pastore si sentisse più padre che guardiano delle sue pecore. Perciò Israele è ricorso spontaneamente a questa immagine per descrivere la delicatezza dell’amore del suo Dio verso di lui.

Il filosofo H. Bergson venne a dire “le centinaia di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e conforto quanto i versi del Salmo 22: il Signore è il mio pastore non manco di nulla; anche se dovessi passare in una valle oscura non temerei alcun male perché Tu sei con me”. Anche durante lo sbarco alleato in Normandia, il 6 giugno 1944, un canadese per calmare la tensione dei suoi compagni si mise a leggere ad alta voce questo Salmo 22. Accanto all’amore è presente anche l’idea della forza e del coraggio “il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”.

Anche Gesù più di una volta si è presentato sotto l’immagine del pastore, equiparandosi in tal modo a Dio stesso, che costantemente viene descritto come il “Pastore di Israele” – appropriandosi questo titolo, Gesù esprime una palese “rivendicazione” messianica.

 

La scena pastorale che fa da sfondo al discorso di Gesù sul Buon Pastore era familiare ai palestinesi del suo tempo. Le pecore appartenenti a vari greggi venivano riunite fuori dell’abitato in un recinto quadrangolare delimitato da muretti a secco, coperti di frasche e di spine. Ogni mattina, i pastori si presentavano sulla porta del recinto, custodito durante la notte da un guardiano; le pecore riconoscevano ormai dalla voce il proprio pastore, e perciò non appena egli entrava e le chiamava, una per una gli andavano dietro; le altre, invece, restavano nell’ovile in attesa che venisse il loro padrone. Dopo aver radunato il gregge a lui affidato, ogni pastore si metteva in testa e guidava le pecore al pascolo, traendosele dietro.

Partendo dall’ovile palestinese del tempo di Gesù, si capisce bene sia la funzione della porta per cui deve passare necessariamente il pastore a differenza del ladro, sia il servizio di amore e di donazione di ogni pastore – Gesù è nello stesso tempo il pastore e la porta dell’ovile.

 

Con tutto il peso della sua divina autorità, di cui è indice la tipica formula “in verità in verità vi dico” (in Giovanni, tale formula introduce una rivelazione e lascia subito intendere che quanto Gesù si accinge a dire, appartiene al mondo delle realtà che l’uomo non può capire o scoprire da solo) Gesù dichiara solennemente di essere Lui e Lui soltanto il Pastore degno di questo nome ed ufficio, in quanto investito di una missione di salvezza ricevuta dal Padre (ha acquistato il diritto di essere capo del gregge perché è morto per il gregge – è diventato Pastore perché prima si è fatto l’Agnello di Dio che porta su di sé i peccati del mondo).

Il rapporto tra pastore e pecore è fatto di mutua intesa: lui cammina avanti conoscendo il sentiero che porta ai pascoli, e le pecore stanno dietro, con atteggiamento di umile e pronta sequela. L’espressione “conoscono la mia voce” conferma l’esistenza di tale intesa, perché il verbo conoscere esprime un profondo legame, fino a portare nelle regioni sconfinate dell’amore, addirittura dell’intimità con Dio (Gv 17,3).

 

Gesù dichiara senza mezzi termini due volte di essere Lui la porta, la sola porta per la quale si entra nell’ovile sicuro. Mentre parla, Gesù forse guarda gli Ebrei che attraversano la “Porta delle pecore” ed entrano nel cortile del Tempio per incontrare il Signore nella preghiera (nell’Anno Santo del 2000 papa Giovanni Paolo II stava alle volte a guardare dalla finestra le lunghe file di pellegrini in attesa di varcare la Porta Santa).

Allora Gesù disse a loro di nuovo “in verità in verità vi dico: io sono la Porta delle pecore” (“Io sono” rievoca il “Io sono colui che sono” di Dio (Es 3,14), quindi una grande autoproclamazione di divinità) – “io sono la Porta delle pecore” porta a questo immedesimarsi nei suoi pensieri ed affetti.

“E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) si è fatto nostra porta e nostro tempio in cui si entra pienamente in comunione con Dio. La Chiesa passa sempre per questa porta perché conclude ogni sua preghiera dicendo “per Gesù Cristo tuo Figlio, nostro Signore”; tutte le preghiere della Chiesa passano attraverso Cristo per raggiungere il Padre, sono offerte a Cristo perché Egli le presenti al Padre.

Egli è la porta perché è il mediatore tra Dio e gli uomini – non c’è altro luogo che l’umanità di Gesù dove il cielo si apra alla terra e dove all’uomo sia possibile incontrarsi con il cielo.

“Io sono la Porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” – “io sono ve110 nuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” dice che la vita divina non è un dono statico di cui semplicemente appropriarsi ma un bene dinamico che si apre all’infinita perfezione di Dio – con la vita divina l’uomo inizia un itinerario che si apre a possibilità sempre più vaste di bene e di carità.

Gesù è la porta per mezzo della quale si offre a Dio tutte le nostre azioni: tutto quello che fate in parole e in opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù (Ef 3,17).

Le mamme pensino al Signore che sta nella loro chiesa per offrirgli le faccende di casa e le preoccupazioni per l’educazione dei figli; i lavoratori pensino al Signore che sta nella loro chiesa in modo che il lavoro procuri loro pane e paradiso; gli studenti ricordino il Maestro divino che sta nella loro chiesa in modo che lo studio procuri loro scienza e sapienza (è Lui, nel mistero eucaristico, il pane di tutta la vita, è Lui che dà ossigeno all’anima, è Lui la sorgente di tutte le grazie).

Santa Teresa d’Avila “noi non possiamo piacere a Dio e Dio non ci vuole accordare le sue grazie se non attraverso la sacrosanta umanità di Gesù Cristo in cui, come Egli un giorno disse, pone le sue compiacenze. Ne ho fatto l’esperienza moltissime volte, anzi me lo ha detto il Signore stesso. Ho visto chiaramente che dobbiamo passare per quest’unica porta se vogliamo che la Divina Maestà ci scopra i suoi grandi segreti. Perciò, Signore, non vogliate cercare altra strada anche se vi trovaste all’apice della contemplazione. In questa strada si cammina con sicurezza. Questo dolce nostro Signore è il canale per cui ci vengono tutti i beni. Egli stesso si degnerà di istruirci – studiate la sua vita, non troverete un modello più perfetto”.

Vediamo la porta della nostra Chiesa come un simbolo di Gesù “Porta delle pecore” porta che conduce a immedesimarsi nei suoi pensieri ed affetti.

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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