VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria

amate_i_vostri_nemici

Nel cuore del Vangelo

Lv 19,1-2.17-18

1 Cor 3,16-23

Mt 5,38-48

 

Continuiamo in questa domenica le contrapposizioni fra l’antica “legge” e la “giustizia” superiore che Gesù è venuto ad annunziare e a testimoniare agli uomini.

La legge del taglione c’era già dal secolo diciottesimo avanti Cristo nel codice del re babilonese Hammurabi, e questa legge fu accolta anche dagli ebrei – nonostante la sua crudezza, suggeriva anche una certa giustizia, cioè di non vendicarsi oltre misura.

Invece Gesù propone: “avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico...”. Gesù esprime la sua consapevolezza di potersi mettere al livello del legislatore divino; è una dichiarazione solenne con la quale Gesù si appella ad una sua autorità propria (era simile a noi, ma alle volte il suo dire e il suo operare lo portava infinitamente lontano da noi perché lui oltre che vero uomo era anche vero Figlio di Dio).

Gesù indica il nuovo spirito che deve ispirare il comportamento dei figli del Regno. Dice di non opporsi al malvagio, al violento; con questo nuovo modo di reazione vuol ricuperare il malvagio facendogli comprendere che è nella parte del torto e dell’abuso; poi questo nuovo modo di resistere alla violenza giova a chi è stato offeso, frenando l’egoismo pronto a rivendicare, il più spesso con esagerazione, i propri diritti. Non è che Gesù dice di essere deboli, bensì propone una prova di rara fortezza che esclude l’odio e il rancore; che non si lascia vincere dal male, ma vince il male con il bene, le offese con il perdono, la violenza con la mitezza; è un trionfo sofferto ma che col tempo porta frutti di salvezza, è un atteggiamento disarmato e disarmante.

“Anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra...” con questi modi di dire vuol dire non solo di non rispondere alla violenza ma anzi di passare di là offerendo atteggiamenti di benevolenza e carità. Il discepolo del Signore sa cedere e capovolge l’antica uguaglianza con il perdono che è sempre una consegna di sé, un porgere la guancia, un lasciare il mantello, un rendersi disponibile di là dai limiti del dovuto. Gesù non dice di essere passivo ma di sfidare colui che ti attacca, non accettare di essere trattato come un oggetto di disprezzo, come una stuoia da calpestare – anche Gesù disse quando fu percosso “se ho parlato male dimostrami dov’è il male, ma se ho parlato bene perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Dobbiamo agire per il loro cambiamento, per la loro conversione; dobbiamo prenderci cura di noi stessi, ma anche dei nemici; se amiamo i nemici allora dobbiamo sfidarli in vista della loro e della nostra salvezza.

Gesù mira alla conversione del cuore, dal quale levare l’impulso alla vendicazione, il rigetto dell’altro quando si è offesi. Lo Spirito Santo a tal punto rinnova il cuore che non soltanto i fratelli ma anche i “malvagi” sono amati.

 

Poi Gesù richiede ai suoi discepoli e alla sua Chiesa un di più nell’amore: “avete inteso che fu detto: ‘amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’, ma io vi dico amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori...”.

L’amore evangelico impegna profondamente il cuore, i figli devono imitare il Padre che fa sorgere il sole su tutti. Gesù da Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo ed è diventato l’uomo dei dolori – reagendo col perdono e con la preghiera all’odio violento e persecutore incarna in se stesso la misericordia del Padre perfetto nell’amare e nel perdonare.

Come si può spiegare l’esigenza di amare non soltanto quelli che ci amano ma anche i nostri nemici e di pregare per i nostri persecutori? È chiaro che qui Gesù ci chiede di essere al servizio dell’amore e di rinunciare ai nostri diritti, quando questi si oppongono al progresso dell’amore. Di solito noi limitiamo il nostro amore, perché siamo preoccupati dei nostri diritti. Ma Gesù vuole che ci mettiamo al servizio dell’amore, perciò ci chiede di assumere sempre, in ogni circostanza, un atteggiamento di amore. Bisogna amare i nemici perché essi diventino amici, e questa sarà la vittoria dell’amore. Dobbiamo cercare sempre questa vittoria, anche se richiede da noi sacrifici. Altrimenti viviamo nell’egoismo o, per lo meno, in una situazione di mediocrità spirituale, che non corrisponde al desiderio di Dio.

Dio è amore e vuole infondere nei nostri cuori il suo amore che è generosissimo. Gesù ha offerto la propria vita per noi, ottenendoci così la vittoria dell’amore. La croce ne è lo strumento.

Afferma Gesù “se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”. Essere cristiani vuol dire cercare la vittoria dell’amore, mettersi al servizio dell’amore in ogni circostanza, e tutto questo ci reca la gioia più pura, più profonda. Infatti ci unisce intimamente a Dio, non soltanto con facili preghiere, ma con vittorie veramente belle, splendide, che ci mettono con Gesù (Albert Vanhoye).

Il perdonare ai nemici è lo specifico dei cristiani – per legge di morale naturale è impossibile amare i nemici, questa è la connotazione originale del cristiano.

 

Il segno che distingue il cristiano è l’amore-carità, cioè lo stesso amore col quale si amano le persone della Santissima Trinità. Quell’amore è stato infuso nel cristiano con il battesimo (abbiamo a nostra disposizione il cuore di Cristo, che è in noi) e così il discepolo può amare Dio come Dio si ama, e amare il prossimo come Dio lo ama.

Amare come sa amare Dio ci rende suoi “figli” perché ci fa somiglianti a Lui – amare i nemici è opera divina “voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Dio è così generoso nell’elargire i suoi benefici che ci concede anche a noi di essere degli dei.

San Basilio “l’uomo ha in sé la vocazione a diventare dio”. Sant’Ireneo “... perché in noi c’è questa conformazione a Lui”. Santa Teresa de los Andes “l’amore è la fusione di due anime in una per perfezionarci vicendevolmente. Si potrà mai un’anima unire ad un’altra anima più perfettamente di quel che Dio si unisce con le nostre? L’anima unita a Dio si divinizza in tal modo che arriva a pensare a desiderare e operare conformemente a Cristo...”.

Gesù dice “siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”, precetto che è la sostanza di tutta la rivelazione e di tutta la vita cristiana.

Se non si tenesse presente l’Incarnazione del Figlio di Dio, che ha reso figlio di Dio ciascun battezzato, questa espressione sarebbe una bestemmia (Giovanni Benedetti).

Gesù ci comanda di essere perfetti ma ci pone dinanzi un modello di perfezione infinita, quella del nostro Padre celeste.

“Nessun limite dovrebbe interrompere il progresso della salita verso Dio, perché da una parte la Bellezza non ha limiti e, dall’altra, il progresso del desiderio che tende verso di Lui non potrebbe essere arrestato da alcuna sazietà” (Gregorio Nisseno).

E tuttavia basterebbe raccontare la vita di Gesù cominciando soprattutto dai trent’anni vissuti a Nazareth, per far capire che cosa ci chiede il Padre per diventare perfetti come vuole Lui. È venuto non a predicare una morale a misura d’uomo – Egli è venuto a portare l’uomo alla misura di Dio e non Dio alla misura dell’uomo.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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