II DOMENICA DI QUARESIMA

Pubblicato in Domenica Missionaria

volto

La soglia del mistero

Gn 12,1-4a

2 Tm 1,8b-10

Mt 17,1-9

 

Il fatto della Trasfigurazione è collocato dopo l’annuncio della passione di Gesù (Mt 16,21). Gesù lascia la regione del monte Ermon nell’estremo nord del paese per ritornare nella sua Galilea – sei giorni dopo sale sul monte Tabor con la compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni. Mentre pregava il volto di Gesù prese un altro aspetto “brillò come il sole e le sue vesti divennero bianche come la luce” Gesù si trasfigura davanti a loro, vuol dire che Gesù manifesta apertamente ai suoi discepoli la sua identità, la sua gloria, cioè la sua unità col Padre. La luce, simbolo della presenza divina investe sia il volto sia le vesti, cioè tutta la realtà di Gesù dentro e fuori; il colore bianco simboleggia come sempre nella Bibbia l’appartenenza al mondo divino.

Così i tre apostoli sono confermati nella loro fede in Gesù, come il Messia promesso ad Israele. Con Lui infatti i discepoli vedono conversare Mosè ed Elia, Mosè dalla parte della legge, Elia dalla parte dei profeti; la legge e i profeti dell’Antico Testamento trovano il loro compimento in Gesù. Secondo il racconto di Luca i due uomini dell’Antico Testamento, rappresentanti della legge e della profezia, cioè dell’antica economia della salvezza “parlavano della dipartita che Gesù doveva compiere a Gerusalemme”,

cioè degli eventi conclusivi della vita del Messia: morte e gloria insieme; i due testimoniano che la storia è giunta alla sua grande svolta, perché è arrivato il tempo promesso e da tanto atteso, il tempo del Messia.

 

Pietro, Giacomo e Giovanni sono gli stessi che accompagneranno Gesù nell’orto degli ulivi, dove Egli affronterà e supererà l’angoscia della morte con l’abbandono fiducioso e filiale alla volontà del Padre. Ora sul monte della Trasfigurazione questi tre testimoni privilegiati hanno la gioia di poter contemplare con cuore colmo di stupore la gloria del Signore. Questo episodio prepara gli apostoli ad affrontare la passione di Gesù, a superarne gli aspetti tremendi, penosi e umilianti. Allora gli apostoli sapranno che colui che soffre è il Figlio prediletto di Dio e interpreteranno la passione come un mistero che è allo stesso tempo oscuro e luminoso, luminoso perché rivela l’amore infinito di Dio. Pietro ha il coraggio di rompere l’incanto della trasfigurazione con una delle sue tipiche uscite: egli infatti propone di drizzare tre tende, per i tre nella gloria.

 

Marco, eco della voce di Pietro, sottolinea che l’apostolo non sapeva quel che diceva in preda allo spavento per la straordinaria visione. Come Pietro anche noi vorremmo che certi momenti non avessero mai fine. Santa Teresa d’Avila dice che si può vedere Gesù con gli occhi del corpo o solo con gli occhi dell’anima, o vederlo né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, ma in questo caso è la visione più vera di Gesù. Poi parla dell’immensa bellezza dell’umanità di Gesù, di cui non si può dire senza sentirsi disfare: il ricordo della immensa belleza dell’umanità di Gesù aiuta a dissipare le pericolose attrattive; inoltre dice che noi non possiamo piacere a Dio e Dio non vuole accordarci le sue grazie se non attraverso la sacrosanta umanità di Gesù Cristo, in cui,

come dice il Vangelo odierno, Egli pone le sue compiacenze; ancora dice di imparare ad innamorarsi profondamente della sua sacra umanità, e a portarla sempre con sé, a parlare con Lui, a chiedergli aiuto per le proprie necessità, a lamentarsi con Lui dei propri travagli, a rallegrarsi con Lui nei momenti di gioia. Finché viviamo e siamo uomini è molto importante avere davanti il Signore come uomo altrimenti si fa camminare l’anima nell’aria senza appoggio.

 

Pietro non aveva ancora finito di parlare che una nube luminosa coprì lui e i figli di Zebedeo, atterriti a contatto di un mistero. La nuvola luminosa è la forma sensibile con la quale Dio si rivela; ammessi all’esperienza divina perché avvolti dalla nube, sono ora in grado di intendere la voce divina “questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. C’è un nesso intimo tra il vedere e l’ascoltare: il vedere sembra dover precedere l’ascolto, ma c’è un vedere che segue l’ascolto e che realizza una unione veramente intima: è quanto avviene propriamente nel rapporto con Dio, mediante l’accoglienza della fede Dio stesso, infatti, fin d’ora si fa presente nell’intimo dell’uomo. Santa Teresa de los Andes “è vero che non possiamo vederlo con gli occhi del corpo, ma Dio ci si rende visibile per la fede. Non lo tocchiamo con le nostre mani, ma lo tocchiamo in ognuna delle sue opere”.

“Ascoltatelo” come per gli apostoli le parole sull’ascolto che permane dopo la rapida visione, sono anch’esse per noi. L’invito ad ascoltare Gesù che Pietro Giacomo e Giovanni sentono sul monte della Trasfigurazione è esplicitamente motivato dal fatto che Gesù è il Figlio di Dio, la sua Parola fattasi carne “questi è il Figlio mio prediletto” – ascoltare Gesù che è la parola di Dio, mettersi in rapporto con Lui, significa ascoltare Dio, accoglierlo nella propria vita, avere rapporto con Lui. Sono chiamati a riprendere il cammino, anche se duro, per stare insieme a quel Gesù che ora hanno contemplato per un attimo nel fulgore della sua divinità e soprattutto nella sua intima relazione con il Padre. Il centro del brano sta nelle parole del Padre che svela Gesù allo sguardo degli uomini “questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. Si noti: questi e non un altro – quel Gesù che ha iniziato il cammino verso la passione, è Lui il Figlio di Dio (il Figlio di Dio è colui che ha scelto di stare in mezzo agli uomini come uno di loro, è colui che assume su di sé la debolezza, è colui che si fa obbediente fino alla morte e alla morte di croce).

 

Dopo la Trasfigurazione Gesù dà ai tre discepoli un ordine che può sembrare sorprendente “e mentre discendevano dal monte Gesù ordinò loro: non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”. Gli apostoli non devono parlare a nessuno di questo episodio prima della passione e della risurrezione, per evitare interpretazioni illusorie o false della gloria di Gesù; Egli invece sapeva di dover andare verso la croce, quindi non voleva ostacolare il suo cammino con una rivelazione che sarebbe venuta in maniera prematura. Ma dopo la passione la Trasfigurazione aiuta a capire bene anche la risurrezione: esce dal sepolcro non un fantasma, ma un personaggio concreto rifulgente della gloria della divinità che aveva da sempre.

 

Gesù parla che deve patire e morire, dice ai suoi discepoli di seguirlo portando la croce, e in questa atmosfera di patire e croce si trasfigura per dirci che attraverso il patire si entra nella gloria, per dirci che c’è un mondo e una realtà di ordine diverso da quelli della nostra esperienza. L’esistenza cristiana è una attesa della gloria.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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