Se la prima lettura, 2000 anni prima di Cristo, denuncia una ingiusta situazione sociale della Palestina e il vangelo, dopo 2000 anni, riconferma la denuncia, passati altri 2000 ecco la Chiesa costretta a denunciare gli stessi mali nella nostra società, frutto di una ricchezza disonesta e iniqua che provoca pericolosi squilibri tra ricchi e poveri, tra società opulente e popoli sottosviluppati.
Avete fatto attenzione alla prima lettura? È stata scritta dal profeta Amos 3000 anni fa circa. “Sono un pecoraio” - diceva il profeta - “coltivatori di sicomori”. E Dio ha scelto proprio lui e lo ha inviato a smascherare le ingiustizie e gli strozzinaggi di una società che si vantava di essere il popolo di Dio: il florido regno di Samaria in Palestina.
Era un tempo di benessere e non mancavano profittatori, abusi di potere e di denaro. Prevaleva l’economia del profitto, il commercio senza regole, la corruzione nella pubblica amministrazione. Si allargava il divario tra latifondisti a scapito di una massa impoverita. Tagliente la parola del profeta: Voi che calpestate il povero…, usate bilance false, smerciate prodotti avariati, strozzate l’indigente con l’usura. E ancor più forte è il resto dell’arringa che la liturgia continuerà domenica prossima.
Dopo le irose parole del rude profeta, il vangelo ci riporta la parola di Gesù serena, incisiva, popolare: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore indagato per truffa…”.
La parabola è il ritratto dettagliato di un costume sociale allora –solo allora?- in voga: la frode. Uno scandalo amministrativo di grosso taglio: falsificazione in bilancio, manovra di copertura nell’ordine di svariate migliaia di euro: tra le varie tangenti, una sola operazione ammontava al valore di 660 giornate lavorative, un ammanco di 18 ettolitri di olio 55 quintali di grano.
Precisa è la definizione data da Gesù: l’amministratore agisce iniquamente perché dilapida il patrimonio che gli è stato affidato. Precisa è anche la condanna: questa ricchezza è disonesta, ingiusta, frutto di frode e di avidità.
Di fronte a questi mali il vangelo evidenzia un duplice atteggiamento:
- quello dei figli delle tenebre, che agiscono con spregiudicata scaltrezza, giochi finanziari, frodi fiscali, sfruttamento, strozzinaggio;
- quello dei figli della luce che accolgono la ricchezza come un dono di Dio, un deposito temporaneo da condividere con generosità; opere di solidarietà, commercio equo, volontariato.
E noi, pensando alla nostra povertà, potremmo chiedere come Pietro: Gesù, questo lo dici per i ricchi o anche per noi?
Ben osservava il cardinal Lercaro: occorre, come insegnano i santi Padri, considerare non solo i beni materiali, ma anche quelli intellettuali, fisici, soprannaturali e il loro uso egoistico o caritatevole.
Inoltre bisogna distinguere parabola e realtà significata. Il fattore è un figlio di questo secolo che condursi con accortezza e tempestività: ecco il piano parabolico. I figli della luce hanno un diverso ordine di beni e una diversa concezione: ed anche ad essi si esige accortezza e tempestività. Qui sta la somiglianza. L’accortezza dei figli del secolo è egoistica ed infrange ogni legalità. L’accortezza dei figli della luce è virtù, generosità, solidarietà, sacrificio.
La parabola infatti nella sua conclusione mette a fuoco un altro principio per l’uso dei beni ricevuti: l’efficacia salvifica della carità… “affinché vi introducano nelle tende eterne”.
Amara l’osservazione finale di Luca: “I farisei che ascoltavano Gesù lo deridevano perché erano attaccati al denaro”. E Gesù commentò: “Davanti agli uomini voi fate la figura di persone giuste, ma Dio conosce bene i vostri cuori”.