Distintosi tra gli apostoli per la sua abilità scritturale di impiegato possiamo anche ritenere che fu il primo testimone oculare che mise a verbale i detti e i fatti di Gesù e proprio nella lingua semitica cara a Gesù, l’aramaico, parlato dal popolo. Anche se il primo posto cronologico non è stato confermato dalla critica, a Matteo rimane il primato dell’indice di gradimento: nei commentari è stato il più studiato e detiene tuttora il primo posto nelle composizioni tipografiche. Ma è soprattutto il primato liturgico che lo onora: nella liturgia domenicale Matteo ricorre venti volte, Luca diciassette, Giovanni undici e tre Marco. Un vangelo missionario che si apre con la stella che convoca i gentili al presepe e si chiude con l’invio degli apostoli a tutte le genti.
Il vangelo di Matteo è occupato per tre quinti da una abbondante raccolta di “detti”, sentenza, oracoli del Signore che supera tutti gli altri evangelisti. Tale raccolta fu sempre apprezzata e valorizzata per il suo ordinamento letterario, ma soprattutto per la sua catechesi accurata ed esauriente, e costituì la base dell’insegnamento ecclesiale.
Il messaggio evangelico riguarda il regno dei cieli ed è strutturato attorno a cinque discorsi didattici: il discorso della montagna (cc. 5-7), che si potrebbe definire lo statuto del regno; il discorso missionario che contiene le istruzioni per i ministri del suo regno (c. 10); il discordo delle parabole (c. 13), che presenta i misteri del regno; il discorso ecclesiale (c. 18), che delinea un regno marcato da una vita fortemente comunitaria; il discorso escatologico riguardante il perfezionamento del regno negli ultimi tempi (cc. 23-25).
Il tema del regno è quindi un punto focale su cui Matteo ritorna per ben 51 volte, mentre in Luca è nominato 34 volte, in Marco 14, in Giovanni una volta. È un regno legato insieme dall’amore fraterno, vivificato dall’amore sovrabbondante del Padre che è nei cieli.
Come Gesù che si affianca ai due pellegrini di Emmaus e spiega loro i passi della bibbia che lo riguardavano, cominciando da Mosè fino agli scritti di tutti i profeti, così Matteo si affianca alla sua comunità giudeo-cristiana per spiegare il significato delle profezie riguardanti il Messia e risponde alla domanda dei suoi lettori: Gesù di Nazareth è veramente il Messia e realizza veramente le promesse dei profeti? È per questo che tra le 70 citazioni o allusioni all’Antico Testamento fatte da Matteo, ben undici sono concluse con una formula significativa: “Tutto ciò accadde perché si compisse quanto fu annunziato dai profeti…”. Per tutto il mondo giudaico e per tutti i discepoli del Cristo, Matteo mette in evidenza che vi è continuità tra il vecchio e il nuovo Testamento. L’Antico Testamento trova il suo sbocco e tutta l’attesa del popolo d’Israele la sua fioritura. Matteo mostra più di ogni altro evangelista che la storia d’Israele sfocia nell’opera di Gesù e che Gesù di Nazaret è veramente il Messia aspettato, e pone sulle labbra di Pietro la grande professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
In quest’anno seguiamo quindi con attenzione e devozione i detti ed i fatti del signore che Matteo ci presenterà di domenica in domenica, come Maria, la Madre di Gesù, osserviamo “detti e fatti” riflettendo nel nostro cuore su tutte queste cose.
Ed allora anche noi potremo affermare come i discepoli di Emmaus: “non ardeva come un fuoco il nostro cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la bibbia?”. E come a loro anche a noi si apriranno gli occhi, riconosceremo il Signore allo spezzare del pane e con gusto reciteremo la bella preghiera che Matteo ci ha regalato: Padre nostro, che sei nei cieli.