Scrive Angelo Salesio, detto il cherubino pellegrino: “Anche se il Cristo nascesse mille volte, ma non nasce almeno una volta nel tuo cuore, a nulla ti gioverà”. Francesco d’Assisi affermava che il Natale è la più bella delle feste, perché è dopo la nascita del Salvatore che è cominciata la nostra salvezza. Sulla porta del convento di Greccio c’è una scritta: questo è il giorno della povertà. E là, nel 1223, Francesco, il poverello d’Assisi, tre anni prima di morire, ebbe una felice intuizione: rivivere il presepio nella sua autentica cornice di povertà. “Voglio ritrarre al vivo la nascita di Gesù nella stalla, così che tutti possano vedere realmente con gli occhi del corpo i disagi e le privazioni del natale di Gesù”. Personaggi vivi lo animano: veri pastori e le pecorelle, acuto e caldo l’odore di stalla, autentici il bue e l’asinello, vivi Maria e Giuseppe ed il bambinello. Tutto come il natale di duemila anni fa. Francesco era lì estatico di fronte al presepe vivente, lo spirito vibrante di commozione e di gioia.
Non è grazioso, non è pittoresco il vero Natale. Secoli di rappresentazione artistica, deliziose statuine, laghetti e ruscelli, cieli stellati hanno finito per sovrapporsi all’immagine di spietata durezza di quei giorni erranti, di una nascita di Gesù fuori casa, che gravò l’ansia e la sofferenza umana di Maria e di Giuseppe.
È nella freschezza del presepe di Francesco che rivive la povertà del vero Natale di Gesù e dei suoi genitori. Ed è di fronte alla povertà di questo Natale di duemila anni fa che il cuore del poverello d’Assisi corre verso chi soffre. Scrive il suo biografo: “Vorrei perciò che quel giorno tutti i cristiani esultassero nel Signore e per amore di lui, che donò se stesso, tutti provvedessero largamente ai poveri, affinché in quel giorno tutti avessero dai ricchi ottime e copiose vivande”.
Sì, il Natale deve essere per il nostro cuore segno di amore, che non si limiti ad un fatto episodico ma tracci nella nostra vita un’orma di bontà duratura. Diceva l’Abbé Pierre: “La miseria altrui dobbiamo sentirla sempre nel cuore”.
Capire e vivere il mistero natalizio, diceva Giovanni Paolo II, ci fa diventare un po’ parenti di tutti, come Gesù che si è fatto nostro fratello.
Un bel grazie a Giuseppe e Maria per la loro ansia, la loro angoscia nella ricerca di un posto decente per Gesù che duemila anni fa venne per salvarci. Auguri a tutti per un Natale carico di bontà e un anno nuovo pieno di santità.
Concludo con una bella pagina dei “Promessi sposi”, quella del sarto del villaggio. Notate la generosità, la delicatezza, la riservatezza in questo atto di solidarietà e nell’educare i figlioli ad essere attenti ai poveri. “ E il sarto alla famigliola radunata per il pranzo narra: E poi il cardinale ha fatto proprio vedere che anche coloro che non sono signori, se hanno più del necessario, sono obbligati di farne parte a chi patisce. Si interruppe, stette un momento, poi mise insieme un piatto di vivande che erano sulla tavola, e aggiuntovi del pane, disse alla sua bombetta maggiore: Va qui da Maria vedova, lasciale questa roba e dille che è per stare allegra con i suoi bambini. Le diede nell’altra mano un fiaschetto di vino e soggiunse: Ma con buona maniera vè, che non paia che tu faccia l’elemosina. E non dir niente se incontri qualcuno”.