Attorno alla Parola - II Domenica di Pasqua

Pubblicato in Domenica Missionaria
{mosimage}La liturgia pasquale è caratterizzata dalle apparizioni e dalle testimonianze del Risorto. Racconti gustosissimi ed a volte umoristici. Un Gesù familiare, straordinariamente euforico che sorprende i discepoli impauriti, sfiduciati ed increduli: nell’orto all’aperto o nel cenacolo sprangato, all’osteria o sulla spiaggia.

Giovanni, che ci è di guida, continua la sua linea catechetico – teologica iniziata nel venerdì di passione. L’ora della glorificazione si perfeziona: l’ascesi trionfale della croce al Padre raggiunge il culmine in questi cinquanta giorni di fuoco.

Due le apparizioni del vangelo di oggi. Sono due apparizioni destinate all’intero collegio apostolico, riunito nel cenacolo, che pongono il sigillo di autenticità alle singole apparizioni alle donne e ai discepoli. Siamo di fronte a due atti. Il primo si consuma la sera di quello stesso giorno, al tramonto di quella sconvolgente giornata ed ha al centro la cosiddetta “pentecoste giovannea”: il dono della pace e dello Spirito santo. Il secondo atto si compie otto giorni dopo.


Significativa l’ambientazione cronologica: il primo giorno, l’ottavo giorno. Inizia una nuova epoca, segnata dal “giorno del Signore”, dies Domini. E come nel cenacolo, nella domenica primo giorno della settimana, l’assemblea accoglie il signore risorto, contempla le sue piaghe e pronuncia l’atto di fede: Mio signore e mio Dio. E riceve il dono dello Spirito santo e della pace.

La seconda apparizione, destinata a Tommaso, il gemello, è forse la più gustosa. Forse meno pauroso dei colleghi sbarrati in casa, se ne era andato a prendere una boccata d’aria in città. Al rientro viene frastornato dalle grida di gioia: abbiamo visto il Signore. Rimasto male, forse contrariato perché il signore non l’aveva aspettato, colui, non volle credere. Voi mi dite che l’avete visto? Ebbene io vi dico che se non metto le mani nel foro dei chiodi e non affondo le mani nella ferita del costato, non credo un bel niente a tutte le vostre versioni.

L’atteggiamento di Tommaso va compreso come un gesto pienamente ragionevole di un uomo adulto che vuole verificare personalmente, senza andare dietro a facili illusioni o a ciance di donne. Già altre volte Tommaso era intervenuto.

Del resto anche gli altri discepoli avevano considerato vaneggiamenti la testimonianza delle donne, né avevano prestato maggior credito alla testimonianza dello stesso Pietro e dei due di Emmaus. Tanto che Marco afferma: Gesù rimproverò i discepoli per la loro incredulità.

Tommaso si intestardì. Ma quel genere di personaggio positivista ad oltranza, non credulone, ci piace. Un Tomaso prevenuto, dubbioso, che vuole vedere, vuole toccare, ci conforta, ci aiuta ad aver fede. San Gregorio commenta: “Ci ha più giovato l’incredulità di Tommaso che la pronta fede delle donne ed anche degli apostoli”.

Tommaso incredulo e cocciuto, riflette il dramma di molti uomini. Tommaso ha parlato per noi, per noi ha chiesto una prova tangibile della identità di Gesù risorto con Gesù crocifisso. Se non vedo, se non tocco quelle piaghe… E Gesù, il Risorto, gli concede una prova concreta, palpabile.

Spavalda l’incredulità di Tommaso, pretenziosa, ma anche carica di interesse e di amore per Gesù, desideroso di non essere trascurato. E Gesù gli risponde con parole di profonda tenerezza e compassione: Su, Tommaso, vieni qua, non essere puntiglioso, cocciuto; accetta con semplicità il segno che ti do. Metti e dita e mani nelle mie ferite; metti pure la tua mano nel mio costato. Ricordati però di essere più maturo nella tua fede.

E Tommaso, sradicato dalla sua meschina carnalità, liberato dal peso della sua angoscia, non pensa nemmeno più a toccare, ma subito grida: Mio signore e mio Dio.

Due parole aramaiche, Jahveh ed Eloim, che nella bibbia stanno ad indicare la pienezza della divinità. Parole dunque cariche di significato, che costituiscono una brevissima, completa professione di fede, massima ed ultima di tutte le professioni di fede sparse nei vangeli. Forse per questo Giovanni nella simbologia numerica del suo vangelo cita Tommaso sette volte, il numero della perfezione.

Beati coloro che, senza aver visto, hanno creduto. Così il vangelo si conclude con la proclamazione della beatitudine della fede. E la beatitudine della fede è la prima beatitudine che il vangelo di Luca ci annuncia. È la beatitudine di Maria santissima: Beata tu che hai creduto alla parola di Dio.

Mostrò loro le mani e il costato ed a Tommaso disse: Stendi la tua mano e mettile nel mio costato”. L’esperienza fisica era necessaria per gli apostoli per poter essere testimoni credibili del Risorto. Ora non è più il tempo di chiedere visioni e segni tangibili. Ora dobbiamo credere alle testimonianze scritte, storicamente provate, consolidate da millenni di tradizione e magistero. Come Tommaso non pretendiamo più di toccare ma ripetiamo il tradizionale atto di fede: Mio Signore e mio Dio.
Ultima modifica il Sabato, 07 Febbraio 2015 21:54

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