Attorno alla Parola - V Domenica di Pasqua

Pubblicato in Domenica Missionaria
{mosimage}E Giuda uscì dal cenacolo. Era notte. Non più trattenuta dalla presenza del traditore, l’anima di Gesù sembra quasi esplodere in una piena effusione di amore e con tenere parole così si rivolge ai discepoli: “Figliolini miei… questi ultimi colloqui di Gesù, osserva il Ricotti, sono una eruzione impetuosa di sentimenti che scaturiscono da un vulcano d’amore; la parola di Gesù, come lava incandescente, avanza ora pienamente, ora a sbalzi con progressi e retroversioni. Tutto travolge, tutto trasforma in un lago infiammato dall’amore del Padre e dei discepoli”.

All’udire tutto ciò, i poveri apostoli smarriti, brancolano tra quei concetti e le domande si susseguono.

Domanda Simon Pietro, chiede Filippo, interpella Tommaso, osserva Giuda Taddeo. E Gesù risponde, chiarifica. Occorrerebbe penetrare a poco a poco in tutta la ricchezza, capire il significato che ogni versetto, ogni risposta racchiude in sé.


Il vangelo di oggi è inserito in quella stupenda trilogia che si sviluppa nel quadro dell’ultima cena. È il discorso di addio che va dal tredicesimo al diciassettesimo capitolo del vangelo di Giovanni e si articola in tre parti: il testamento di Gesù, la comunità dei credenti, la preghiera sacerdotale. Vi domina l’amore con il Padre e l’amore per i discepoli. Il Padre a cui tra poche ore ritornerà tragicamente; i discepoli che tra poche ore dovrà lasciare soli e terrorizzati.

Il brano di oggi inserito nel capitolo quattordici, si può ritenere il cuore del testamento di Gesù, sigillato dal richiamo al Padre e allo Spirito santo. Questo capitolo porta un titolo che ci è caro e impegnativo: è detto il capitolo della consolazione. Si apre e si chiude con espressioni che invitano alla serenità e ala gioia: “Non sia turbato il vostro cuore. Non vi lascerò orfani. Non abbiate paura. Il Padre manderà il consolatore”.

Il dialogo avviene nelle ore del tradimento annunciato e della imminente passione. I discepoli sono piombati in uno stato di amarezza indicibile e di disorientamento. Ecco perché Gesù, con finezza psicologica, si sforza di ridare fiducia e di rianimare speranza: “Io vado a preparavi un posto”. È il paradiso offerto sulla croce al ladrone, dal Cafasso sul patibolo, dal Fondatore ai suoi missionari. Chi non porta in fondo al cuore la nostalgia di una casa, oasi di pace e di riposo?

A dare coraggio e serenità, Gesù aggiunge due inviti: abbiate fede in Dio e abbiate fede in me; il Padre mio vi ama e faremo dimora presso voi; preparerò un posto per voi e vi prenderò con me. Due promesse e due inviti in cui il Padre e il Figlio si dimostrano attenti e pieni di amore verso di noi: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”.

“E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”. Il discorso di Gesù si snoda tra mille difficoltà per quei poveri discepoli ed anche per noi. “Signore, come possiamo conoscere la via?”, domanda Tommaso, desideroso di localizzare la via, identificare il luogo, su una qualsiasi carta geografica.

Ardita l’affermazione di Gesù: “Io sono la via, la verità, la vita. Chi vede me, vede il Padre mio”. Cristo è l’unico uomo della storia che si è identificato con Dio. I giudei hanno capito la forza dell’affermazione: ha bestemmiato! E lo condannano a morte.

Io sono la verità che rivela il Padre, io sono il pane di vita che il Padre dona, io sono la porta. Per questo io sono la via. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Ed è nella liturgia che Gesù si fa per noi via. Nella liturgia della Parola Gesù è verità; nella liturgia eucaristica, memoriale della croce, Gesù si fa pane di vita e, unificati dallo Spirito, ci gettiamo in braccio al Padre che sta nei cieli, pieni di speranza nella venuta di Gesù.

“Signore, mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù, deluso e sorpreso, risponde: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai ancora conosciuto”. Proprio Filippo che aveva aiutato i greci a vedere Gesù… “Filippo chi vede me, vede il Padre mio”. Quale fortuna, quale mistero vedere Gesù, osservava Paolo VI di fronte alla santa sindone. Vedere, il ricorrente verbo di Giovanni, di fronte al mistero del Padre, all’incomprensione dei discepoli. Per questo l’invocazione finale del testamento di Gesù: “Io pregherò il Padre ed Egli vi manderà un altro Consolatore, lo Spirito santo che vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà quanto vi ho detto”.

“Abbiate fede. Il Padre mio vi ama”. Per ben diciotto volte in questo capitolo della consolazione ricorre l’appellativo Padre. Accattoli, vaticanista del Corriere della sera, scriveva: “Non per nulla il Padre per rivelarci il suo amore invia il suo proprio figlio. E il Figlio ci insegnò la giusta intenzione di ogni preghiera: quando pregherete, pregherete così: Padre nostro…”.

La paternità di Dio, la nostra familiarità con Lui è autorizzata e avvalorata da Gesù stesso che invita ad invocarlo come lui faceva: Abbà, babbo, padre nostro. Ecco il cuore della fede: credo in Dio Padre. Ecco il vertice della preghiera: Padre nostro. Ecco il messaggio centrale che, nel nuovo testamento, caratterizza il rapporto con Dio: la grande devozione di Gesù verso il Padre, il grande amore del Padre verso il Figlio Gesù. Devozione e amore che Gesù vuol condividere con noi.

Bella la confessione dello scrittore Silone nel suo libro “Uscita di sicurezza”. Parlando del suo passato scrisse: “Ormai ho lasciato tutto dei valori cristiani, l’unica parola che mi è rimasta è: Padre nostro”. Quest’uomo così aperto alla fraternità universale, aveva scoperto la fonte della fraternità in un piccolo frammento del vangelo, capace, come un cristallo, di raccogliere tutta la luce della buona novella.
Ultima modifica il Sabato, 07 Febbraio 2015 21:54

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