San Luca, perfetto storico, narrando l’ascesa di Gesù nell’alto dei cieli alla destra di Dio Padre, lo fa in modo semplice, laconico, scultoreo, dando a quel fatto trascendente una base sicura, attendibile. E a garantire l’autenticità dello straordinario fatto, indugia in una descrizione precisa e dettagliata: indica tempi, luogo, gesti, testimoni oculari. Non si tratta di favole! Ci sono prove tangibili e visibili.
Gesù si mostrò vivente in mezzo a loro, dando molte prove della sua reale risurrezione. Per quaranta giorni, dice il vangelo, rimase in mezzo ai discepoli e con loro prendeva i pasti e il pesce arrostito.
Gesù condusse i discepoli verso Betania, alle pendici orientali del Monte degli Ulivi, sulla strada del deserto verso Gerusalemme.
Gesù, alzate le mani, benedisse i discepoli, si staccò da loro, salì verso il cielo sotto i loro occhi i discepoli lo contemplavano.
A Betania era iniziato il doloroso cammino della passione; a Betania iniziò la dolorosa separazione definitiva dai discepoli.
Si staccò: un verbo che sta ad indicare uno strappo, una separazione traumatica.
Eppure, incredibile, quello stacco non provoca disperazione, angoscia. Scrive Luca che i discepoli, dopo essersi prostrati in adorazione, se ne tornarono a Gerusalemme con grande gioia. Un atteggiamento che può lasciarci perplessi. Certo è avvenuto qualcosa di misterioso: gli apostoli devono in quel momento aver intuito una realtà che imprimeva ai loro passi un’andatura diversa da chi torna dopo un funerale, dopo il commiato definitivo da una persona cara.
Perché essi tornano con grande gioia? Pieni di gioia perché sono ormai sicuri che Gesù è ora nei cieli assiso alla destra del Padre, fattosi loro avvocato e mediatore. Lo confermerà Santo Stefano in punto di morte: Vedo i cieli aperti e Gesù alla destra di Dio Padre. Pieni di gioia perché Gesù può ora attuare le sue ripetute promesse: Se me ne vado al Padre, vi manderò lo Spirito santo che vi consolerà.
Per cinquanta giorni la liturgia non ha fatto altro che richiamarci questa grande devozione verso il Padre. Una devozione che purtroppo rimane marginale nella devozione della maggior parte della pietà cristiana. Ora sembra quasi che Gesù voglia farcela toccare con mano, voglia dirci: se mi cercate, mi troverete presso il Padre, sono lì alla sua destra. E se volete qualcosa, è al Padre che dovete rivolgervi, a cui dovete chiedere il pane quotidiano. E credete voi che il Padre mio vi darà un sasso o uno scorpione? No, vi manderà lo Spirito santo. È per questo che io prego il Padre.
Lo Spirito santo, il grande promesso, il paraclito, il consolatore. Anche questa devozione è per lo più ignorata, superflua. Eppure è una persona misteriosa sì, ma reale, misteriosa sì, ma che ci sta vicino, ci dà vita, ci dà forza, ci dà coraggio.
… E un giorno, mentre Gesù era a tavola… Familiare e ricco di significato questo stare di Gesù come commensale. È nella realtà del pasto eucaristico che noi riceviamo lo Spirito santo. Così invoca la preghiera eucaristica: a noi che ci nutriamo del corpo e sangue di Cristo, dona, o Padre, la pienezza dello Spirito santo, perché diventiamo un solo corpo e un solo spirito. E gli apostoli, che Gesù si era scelti nello Spirito santo, ora radunati nella stanza superiore, erano tutti concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù.
Quando i tre pastorelli di Fatima, il 13 maggio del 1917, videro la splendente signora, ricevettero dalla Madonna una promessa: “Sì, andrete in cielo, ma dovete molto soffrire e recitare il rosario tutti i giorni”. Poi la bianca Signora cominciò ad elevarsi lentamente, fino a scomparire nell’immensità dello spazio, circondata da una vivida luce. Con profonda nostalgia e vivo desiderio i tre pastorelli esclamarono: “Oh il Cielo era così bello”.
Concludiamo con l’augurio di Paolo che abbiamo appena ascoltato: “Possa davvero il Signore illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di grazia vi ha preparato, a quale straordinaria ricchezza vi ha destinati”.