L’episodio si svolge nel grande atrio esterno del meraviglioso tempio di Gerusalemme, restaurato da Erode. Come il restaurato tempi o di San Pietro in Roma è il cuore del cristianesimo, così era ed è per il popolo ebreo Gerusalemme e il suo tempio.
Il grande atrio, denominato cortile dei pagani, caratterizzato da un grandioso colonnato che percorreva tutto il muro perimetrale, può richiamare l’aspetto e l’animazione del piazzale del Vaticano o di un nostro santuario, meta di pellegrinaggi.
Gli ebrei che si recavano al tempio dovevano pagare la tassa in moneta che non portasse figure profane ed allora i cambiavalute. Nel tempio i sacerdoti sacrificavano a migliaia gli animali offerti e il sangue scorreva a fiume, raccolto in una vasca. Nell’atrio si poteva trovare tutto ciò che serviva per offerte e sacrifici. L’atrio quindi sembrava una stalla appestata dal fetore degli animali in cui si udiva il muggito dei buoi, il belare degli agnelli e il pigolare dei colombi. Si aggiungevano le grida dei venditori e l’assordante vociare della folla. Tutto un commercio in vista del culto e quindi perfettamente legale e fonte di cospicuo guadagno per il tempio e i sacerdoti.
La reazione di Gesù scoppia improvvisa ed imprevedibile. Sferzate, devastazione e cacciata. Un Cristo insolito; indignato e violento per l’ignobile mercato e scempio. Autoritaria l’invettiva che Gesù pronuncia: “non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”; e Marco precisa meglio: “di una casa di preghiera, voi ne avete fatto una spelonca di ladroni”.
“Casa di mio Padre”. Per le autorità religiose era un’affermazione scandalosa perché era come se Gesù dicesse: Io sono il figlio del Padre che sta nei cieli e che è presente in questo vostro tempio. E Gesù continua nelle sue affermazioni scandalose: “buttate via queste cose”, che era come dire: presto, tutti questi vostri sacrifici saranno sostituiti dall’unico e irrepetibile sacrificio della croce. Un sacrificio che si rinnova misticamente nella santa Messa.
E ancor più sacrilega l’ultima affermazione che diventerà il capo d’imputazione al processo davanti a Caifa: “distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Un tempio che era l’orgoglio del popolo ebreo. La sua ricostruzione era durata ben 46 anni, con l’impiego di ben 18.000 operai specializzati. Ridicola, presuntuosa, anzi assurda la pretesa di Gesù di ricostruirlo in 72 ore.
Ma, osserva l’evangelista, egli parlava del tempio del suo corpo. Infatti Gesù non disse lo ricostruirò, ma lo farò risorgere ed in tre giorni per alludere alla durata della sua sepoltura.
Amara la costatazione finale di Gesù: “non di fidava di loro perché sapeva quel che c’è in ogni uomo”. Una affermazione che ancora una volta dimostra la sua divinità, perché solo Dio conosce il segreto dei cuori.
La liturgia di oggi è quindi un invito ad un atto di fede in Gesù che si dichiara Figlio di Dio vero, votato al sacrificio della propria vita per noi, come afferma Paolo nella seconda lettura. È anche un invito a fare del nostro corpo un tempio di Dio, che non dobbiamo profanare calpestando i dieci comandamenti di Dio propostici da Lui stesso sul Sinai e confermati da Gesù sul monte delle beatitudini.
Tre sono le conseguenze che ci suggerisce la riflessione liturgica di oggi.
Primo, Cristo crocifisso, stoltezza per il mondo, dice Paolo, è il vero tempio della divinità ed è salvezza per tutti noi. Quale incidenza ha Gesù nella mia vita? Ho fiducia in Lui, cerco di imitarlo?
Secondo, la Chiesa è ora il vero tempio di Dio ove nell’assemblea liturgica si compie il vero sacrificio gradito a Dio. Vengo in chiesa solo per interesse, quasi a mercanteggiare con il Signore? Ti prego a patto che mi faccia star bene…
Terzo, non sapete, dice Paolo, che il vostro corpo è diventato tempio dello Spirito santo, cercate di rispettare la presenza di Dio in voi e non profanatelo con atti indecenti e contro i comandamenti di Dio.
Maria santissima, primo tempio della presenza di Cristo, Figlio di Dio, su questa terra, unitamente a Giuseppe ci aiuti a vivere con fede queste belle realtà e a fare, come disse Giovanni Paolo II a Nazareth, delle nostre famiglie un vero tempio ove lavorare, pregare e accettare la volontà di Dio, anche nelle contrarietà e nel buio della sofferenza.