Paolo ha 60/70 anni, si è fatto vecchio, più maturo, più quieto; sente ormai vicina la sua fine. Prigioniero, chiuso tra quattro mura, è come bloccato, paralizzato nel suo slancio missionario. Eppure nella sofferenza fisica e morale egli innalza un lirico cantico di gratitudine al piano di riconciliazione del Signore.
Maria, Madre, ha cantato il magnificat e noi lo comprendiamo; Zaccaria, padre, ha intonato il suo benedictus e noi lo comprendiamo. Ma in Paolo prigioniero non sembra esserci posto per un inno, bensì per il nuc dimittis.
Anche noi dovremmo avere un po’ di questa gioia piena di fede e di speranza che dovrebbe fare della nostra vita quotidiana, anche se stigmatizzata dal dolore e dalla solitudine, la testimonianza che il nostro cristianesimo è veramente una buona novella.
Una lettera della Chiesa, non degli Efesini. È gemella con quella diretta ai Colossesi per ubicazione e per contenuti. Una circolare ecclesiale, destinata alla Chiesa tutta, credenti in Cristo e santi per lo Spirito Santo. Roma, caput mundi, universale, risveglia in Paolo la visione dell’opera di riunificazione di tutto il creato attorno a Cristo.
Benedetto sia il dio e Padre del signore nostro Gesù Cristo. L’inno di benedizione che fa da prologo alla lettera ecclesiale svolge poeticamente il progetto salvifico di Dio, quello che Paolo chiama “il mistero”. Elezione, predestinazione, redenzione, rivelazione, eredità, dono dello Spirito Santo. È un lungo rendimento di grazie, nato dall’eucaristia paolina, che fa da sfondo a tutte le nostre celebrazioni eucaristiche. La liturgia ce lo propone ai vespri di ogni lunedì e nella festa della Consolata.
Un inno di lode alla cooperazione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, che stimola una risposta trinitaria di fede, speranza e carità.
Dopo l’eresia ariana la Chiesa evidenzia l’eguaglianza delle tre Persone con una nuova professione di fede: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito santo. Ma Paolo, più che le definizioni teologiche, ci tiene ad evidenziare la posizione, il ruolo delle tre Persone, l’opus tripartitum nell’opera di unificazione: Gloria sia al Padre attraverso il Figlio nello spirito Santo. Espressione ripresa nel finale solenne delle orazioni e nella preghiera eucaristica.
Eminente funzione del Padre in otto densissimi versetti (3-10); inscindibile e centrale in sei di questi versetti; l’opera di Cristo unico mediatore e salvatore, essenziale il sigillo dello Spirito Santo che è dono.
Benedetto il dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Non il dio dei filosofi, lontano e freddo, dice Pascal, ma il dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, che si china sulla millenaria storia del popolo eletto. E non solo. Per Paolo, ebreo, v’è un di più: è il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Che nome nuovo per Dio! C’è qui il cuore della teologia paolina, la quintessenza del cristianesimo. Cristo è il “nostro” Signore, ci appartiene e in lui, Figlio diletto, Dio ci è Padre. In lui, fratello primogenito, Egli, il Padre, ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale cioè nello Spirito Santo.
“In cielo”, un’espressione fortissima del pensiero paolino; non è un di più, è l’ubicazione della nostra eredità: la partecipazione alla gloria di Cristo. Per questo, predestinati da tutta l’eternità, caritate perpetua, ricorda il Fondatore, siamo eletti e in forza del suo sangue redenti, riconciliati, riuniti.
Dobbiamo imparare a pensare con estrema serietà al sangue di Cristo, come Maria, Giovanni, le pie donne, che sotto la croce sono sconvolte dal gocciolare martellante di quel sangue. Oculis intentis in sanguine, dice il Fondatore. Non per nulla anche l’eucaristia ripetutamente richiama la presenza del sangue preziosissimo.
A lode e gloria della sua grazia. Elisabetta della Ss. Trinità ne ha fatto un programma di vita. Ogni grazia ricevuta tende a render gloria a Dio. Homo vivens gloria Dei. L’uomo vivente, santificato, è la gloria di Dio.
E così nella pienezza dei tempi si compie il grande mistero della volontà di dio: ricapitolare tutto in Cristo. Tutto ciò che è in cielo e sulla terra, espressione biblica per indicare l’universo intero. Come il foglio di pergamena si arrotola attorno all’asta, così tutto il nostro piccolo mondo, i frammenti di vita, di amore e di cultura, di spirito si raduna attorno a Cristo Gesù.
L’inno si conclude con il sigillo dello Spirito Santo, promesso, dono, caparra, ospite non statico ma dinamico che ci contrassegna come proprietà divina.
Mysterium fidei: l’acclamazione non riguarda tanto la presenza eucaristica, ma abbraccia la totalità del mistero della salvezza che ci è stato rivelato.
Come Paolo, costretti agli arresti domiciliari, sempre più stigmatizzati dal dolore e sempre meno utilizzati, partecipiamo alla gioia dell’apostolo pieno di riconoscenza per il mistero nascosto da secoli e svelato da Cristo Gesù per la nostra salvezza.
Propongo volentieri come sintesi fioretto un pensiero di Victor Hugo.
Canta l’uccellino, anche se il ramo su cui poggia si flette e sembra spezzarsi per il suo peso. Canta l’uccellino perché sa di poter contare su due ali che in ogni evenienza lo sostengono nell’alto del cielo. Così anche il cristiano, pur nelle mille fragilità della vita, canta perché può contare sulle ali della fede e della speranza, che, aperte a croce, gli assicurano di continuare a volare nel regno dei cieli.
Un volo a cui la Madonna del Carmine, a detta del Fondatore, con il privilegio sabbatino, garantisce sicurezza per tutti i suoi devoti.