IV Domenica di Pasqua - Anno B: “Io sono il pastore bello”

Pubblicato in Domenica Missionaria

Buon Pastore

At 4,8-12;
Sal 117
1Gv 3,1-2;
Gv 10,11-18

La liturgia del tempo pasquale propone i racconti dei molteplici e inattesi incontri del Risorto con i suoi amici. Da essi, nasce la ferma convinzione di ciò che i discepoli annunciano, quella che è la fede della prima comunità cristiana, come ci è stata  tramandata dagli Atti degli Apostoli: Gesù Cristo il Nazareno è stato crocifisso, Dio lo ha risuscitato dai morti. Egli appare ai suoi come Pastore delle pecore smarrite e sconsolate. Egli “è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo”. Infatti, Pietro conclude con una dichiarazione di fede: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”. È stato nel nome di Gesù che è avvenuta la guarigione dello storpio. Questo è dunque solo il segno di una salvezza che Gesù ha attuato con la Sua morte e risurrezione e che Lui soltanto può donare a tutta l’umanità. Lui è il pastore bello.

Gesù è il pastore bello

Il brano proposto per la quarta domenica dopo Pasqua fa parte del lungo discorso sul buon pastore, che si trova nel cap. 10 del Vangelo di Giovanni. Tale discorso nasce dalla controversia suscitata dalla guarigione che Gesù opera su un uomo cieco dalla nascita (cf. Gv 9,40-10,21). In tale circostanza, Gesù dichiara: “Io sono il buon pastore”. In questo paragone di sé con il pastore, Egli usa l’aggettivo kalòs, che significa “bello”. La traduzione letterale sarebbe dunque “io sono il pastore bello”. Come vedremo, non si tratta di una qualificazione estetica, ma  vuol dire che Gesù è il vero pastore: autentico, buono perché guida le pecore sulla via buona, retta e giusta. È un pastore affascinante che vale la pena di seguire. Ed è impressionante che la qualifica “pastore bello” venga preceduta dall’affermazione IO SONO che ricorre, nel Vangelo di Giovanni, quasi come un ritornello, sette volte (numero biblico della completezza). Con essa Gesù attesta la sua identità, la sua missione, la sua opera, il motivo per cui il Padre lo ha mandato: IO SONO il pastore buono/bello. Vi possiamo anche cogliere un’eco biblica del libro dell’Esodo, quando Dio si rivela a Mosè con le parole “Io sono colui che sono” frase che rivela la sua divinità. Questa divinità è anche sottolineata dell’immagine del buon pastore che è l’immagine stessa di Dio che ama le sue creature e le porta al pascolo (cf Sal 23).

Il pastore bello offre la vita per le pecore: Gesù afferma che il pastore non solo si prende cura delle pecore, ma  offre la sua vita, spende la sua vita per esse. Egli non spende una parte della sua vita per esse; non dedica una parte del suo tempo per esse, ma egli offre tutta la sua vita e la  spende quotidianamente con le sue pecore, coinvolgendosi personalmente con ciascuna di essa perché le ha a cuore. Egli offre  la sua vita per dare alle pecore la possibilità di avere la sua vita divina, la vita dei figli di Dio. Il suo amore è caratterizzato dunque  dalla totalità, tutta la sua vita,  e dalla gratuità. Infatti, al  pastore bello si contrappone il mercenario, il quale, svolgendo il suo compito solo per ottenere un salario, di fronte al pericolo fugge e abbandona le pecore. Egli invece si dedica affinché le pecore abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, spende la sua vita “fino alla fine”.

Il pastore bello instaura un rapporto d’amore con le sue pecore. Gesù afferma che “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.”  Il verbo “conoscere”, è usato non soltanto a livello intellettuale o visivo, ma indica l’amore di Gesù per i suoi discepoli. Rivela quella comunione di pensieri e di condivisione. A questo punto tra il pastore e le pecore c’è un rapporto di conoscenza reciproca, di comunione, di condivisione. Quest’amore ha come fondamento e modello l’amore reciproco tra Lui e il Padre. In altre parole Gesù non intende semplicemente spiegare il rapporto che lo lega a coloro che credono in Lui, ma presentando il Suo rapporto con il Padre, ne indica anche l’origine. Infine Gesù ribadisce: “io do la mia vita per le pecore”.

Il pastore bello sa che la sua missione è di condurre tutte le pecore, anche quelle che non sono di quest’ovile, per far ascoltare loro  la sua voce, cioè i suoi pensieri, il suo amore affinché siano tutte “un solo gregge”.

Il discepolo missionario è colui che segue il pastore bello. Infatti, Papa Francesco afferma che “occorre anche seguire il Buon Pastore. In particolare, quanti hanno la missione di guide nella Chiesa – sacerdoti, Vescovi, Papi – sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del servo, a imitazione di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia….”

 

Ultima modifica il Martedì, 27 Aprile 2021 09:36

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