V Dom. - T. O. - Anno B: Annunziare il Vangelo è una necessità

Pubblicato in Domenica Missionaria

Letture:
Gb 7,1-4.6-7;
Sal 146;
1 Cor 9,16-19.22-23;
Mc 1,29-39

C’è un filo conduttore tra la seconda lettura tratta dalla prima Lettera di San Paolo ai Corinzi e la pagina del Vangelo che la liturgia ci propone: annunziare il Vangelo come un vero missionario itinerante.  Per Gesù, bisogna andare ovunque, nelle città e villaggi, nelle sinagoghe e nelle case, affinché il Vangelo sia annunciato e conosciuto. Per Paolo che procede nel solco del grande Maestro, l’annunzio del Vangelo non è  un vanto o un guadagno, ma una necessità, anzi, guai a lui se non annuncia il Vangelo.

“Andiamocene altrove, nei villaggi vicini…”

La pagina del Vangelo di questa domenica è una descrizione della giornata-tipo di Gesù, da Lui vissuta con i  primi discepoli a Cafarnao. La giornata mostra non solo che Gesù è un vero missionario itinerante e che attua la sua missione con umanità, con ricchezza e con profonda delicatezza; sono descritti i sentimenti umani di Gesù  come l’amicizia, la tenerezza e la compassione. Il Maestro si trova a Cafarnao, una città situata sulla riva nord del lago di Tiberiade in Galilea, dopo aver partecipato alla celebrazione del sabato, nella Sinagoga, entra nella casa di Pietro e si trova davanti ad un’ inferma, la suocera di Pietro. Gesù non rimane indifferente: immediatamente, di sua libera iniziativa “si avvicina e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò”. Gesù compie tre gesti significativi: ascoltare, farsi avanti e risvegliare con il suo toccare. Gesù assume, attraverso l’ascolto, la condizione della suocera. Quant’è importante l’ascolto! Infatti, “E’ solamente dopo aver ascoltato, attraverso l’orecchio di Dio che siamo in grado di dire la parola che il Signore vuol dire e di fare ciò che il Signore vuole che facciamo” (Bonhoeffer). Gesù dopo aver ascoltato, si fa avanti, si avvicina, non basta dunque ascoltare, bisogna avvicinarsi per potere toccare con  mano. Marco poi dice: “la risvegliò avendole preso la mano”. Attraverso il suo toccare,  la risveglia, la rimette in piedi, la restituisce a se stessa. Egli la tocca con la mano, anzi il testo greco si rende come “si impadronisce con la sua mano”. Con la nostra mano trasmettiamo la possibilità che in essa abbiamo di riuscire   a guarire.

È bellissima l'immagine della suocera che, appena la febbre la lascia, si mette subito al servizio degli altri, la febbre le impediva di servire, ma ora può farlo. Marco usa il verbo "servire" che non è il semplice servizio a tavola, ma è sinonimo di “seguire”: la suocera si mette alla sequela di Cristo. Al crepuscolo, Gesù, ancora nella casa di Pietro, accoglie e guarisce i malati e gli indemoniati, la classe emarginata dell'epoca. Li accoglie e li guarisce alla porta di una casa e non nella sinagoga; anzi vuole andare altrove, nei villaggi vicini per continuare la sua missione. Gesù è un vero missionario itinerante. “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”

Con queste parole Gesù rivela che l'unica ragione della sua azione è fare la volontà del Padre e la sua missione principale è l'annuncio della salvezza che è per tutti gli uomini e non prerogativa di alcuni. Anche questa dovrebbe essere la ragione dell’azione del discepolo missionario, come ha ben compreso Paolo l’Apostolo delle genti, il missionario itinerante con i suoi tre grandi viaggi, essere capace di dire: “Guai a me se non annuncio il Vangelo”.

“Guai a me se non annuncio il Vangelo”

Nel capitolo autobiografico di Paolo, 1 Cor 9,1-33, l’autore afferma chiaramente la primazia del suo essere apostolo ed evangelizzatore, ha rinunciato a tutti i diritti degli apostoli, a vantaggio degli altri. Per essi, si è fatto tutto a tutti, come Cristo, per predicare il Vangelo. Predicare il Vangelo, per Paolo e per un cristiano, è un dovere, è una vera e propria necessità. Nel testo originale, l’autore usa il termine greco “anánkç” che indica qualcosa di “ineluttabile, contro il quale è inutile lottare e opporsi”. Per Paolo quella potenza ricevuta lungo la via di Damasco, aveva travolta la sua vita come una “potenza del destino che è caduta su di lui. Ne è stato sequestrato e non è possibile per lui sottrarvisi”.  Paolo non ha scelto il servizio o il compito di portare il Vangelo. Questa sua missione, fa parte della sua stessa natura e non può fare diversamente. Essa è una necessità, così come lo fu per Gesù. È dunque questo dovere ineluttabile di predicare il Vangelo che spinge Paolo ad essere missionario del Vangelo: “Guai a me se non annuncio il Vangelo”.

Questa sua nuova missione è di iniziativa divina, e non umana, come  la sua prima missione, quella di persecutore dei cristiani. Se è di origina e di iniziativa divina non può dunque, di conseguenza, pretendere di avere una ricompensa, un guadagno oppure motivo di vantarsi.  La sua ricompensa consiste piuttosto nell’annunciare il Vangelo gratuitamente, lavorando con le proprie mani per mantenersi. Tale missione è caratterizzata dalla gratuità stessa del suo ministero, “per non recare intralcio al Vangelo di Cristo” (9,12.15).

Per tale missione, si è reso libero sia dagli impegni umani, sia dalle costrizioni culturali o religiose del suo popolo per farsi “tutto per tutti, per guadagnarne il maggior numero”. L’azione dell’apostolo Paolo è solo l’annuncio del Vangelo, una “comunione al Vangelo” (Fil 1,5) tra i destinatari e il mandante: “tutto faccio per il Vangelo, per divenirne compartecipe con loro” (v.23). Nell’annunciare agli altri, in qualunque situazione esistenziale essi si trovino, Paolo annuncia il Vangelo anche a se stesso.

 

Il discepolo missionario è un innamorato di Gesù che si impegna a farlo conoscere. Infatti, Papa Francesco afferma: “Se a noi il Signore Gesù ha cambiato la vita, e ce la cambia ogni volta che andiamo da Lui, come non sentire la passione di farlo conoscere a quanti incontriamo al lavoro, a scuola, nel condominio, in ospedale, nei luoghi di ritrovo? Se ci guardiamo intorno, troviamo persone che sarebbero disponibili a cominciare o a ricominciare un cammino di fede, se incontrassero dei cristiani innamorati di Gesù. Non dovremmo e non potremmo essere noi quei cristiani? Vi lascio la domanda: “Ma io davvero sono innamorato di Gesù? Sono convinto che Gesù mi offre e mi dà la salvezza?”. E, se sono innamorato, devo farlo conoscere”

Ultima modifica il Lunedì, 01 Febbraio 2021 23:13

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