II Domenica di Pasqua / Anno A

Sinassi dei dodici apostoli, Costantinopoli, XIII sec. Sinassi dei dodici apostoli, Costantinopoli, XIII sec.
Pubblicato in Domenica Missionaria

Gv.20,19-31.
 "I fratelli erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli…".

Quanta agitazione nella prima Domenica della storia!.. Le corse di buon mattino al sepolcro; l’improvvisa apparizione del Risorto a Maria di Magdala nell’orto; l’incontro con il Risorto sulla strada di Emmaus; Gesù che entra a porte chiuse nel Cenacolo.. Che inizio sconvolgente di settimana! Gli apostoli non l’hanno più dimenticato quel primo giorno dopo il sabato, ed è nata così la Domenica, la celebrazione settimanale della Pasqua, il giorno che vuole essere memoria e garanzia dell’amore di Dio e della sua fedeltà alle promesse.

In queste Domeniche dopo Pasqua, la Chiesa vuole aiutarci a vivere di una fede matura in Cristo risorto, facendoci assistere alla nascita della fede pasquale nelle prime comunità cristiane.

Il Signore risorto si manifesta di nuovo ai suoi “otto giorni dopo”, presente anche Tommaso, che avrebbe voluto vedere e toccare le “reliquie” del Corpo di Cristo. L’ottavo giorno è quello della pienezza, è il primo dopo il settimo che concluse la creazione. E’ il giorno “nuovo” in cui l’assemblea si riunisce per la liturgia domenicale, nella quale il Risorto si fa presente. Egli viene incontro alla sua comunità pasquale per confermarla nella fede, per sanare le ferite della incredulità e per proclamare su di noi la beatitudine di coloro che credono senza vedere.

S. Agostino diceva: ”La fede consiste nel credere ciò che non si vede”.

E S. Pietro(II lettura): “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in Lui”. E questo ci fa capire che “la fede è l’ossatura dell’amore”! Ricordiamoci:”per chi non crede, nessun miracolo è possibile. Per chi crede, nessun miracolo è necessario”. “Quando si esige un miracolo per credere, vuol dire che non si è capaci di credere”(Emile Zola). “Credere in Dio non è un dovere, è un dono, una grazia. Non credere in Dio è solo una disgrazia”(Walter Schubart).

Oggi è diventato difficile credere, si dubita di tutto e di tutti, per cui è più facile e più comodo non credere che credere.

Quella prima assemblea di discepoli otto giorni dopo la Pasqua, nella quale si rese presente il Risorto, diede ai suoi la pace e confermò ad essi la sua risurrezione, non è mai cessata in questi venti secoli di vita della Chiesa. Essa continua nell’assemblea domenicale che noi stiamo celebrando e che la Chiesa celebra in tutta la terra nel giorno anniversario della risurrezione di Gesù. Ogni Domenica è quell’”ottavo giorno dopo la Pasqua”. Naturalmente, questo ci obbliga ad approfondire il confronto tra le nostre assemblee domenicali e quella prima assemblea.

Il quadro esterno è fondamentalmente lo stesso. Anche noi siamo qui riuniti, “il primo giorno dopo il sabato(domenica = giorno del Signore), per ascoltare l’insegnamento degli apostoli(la Parola di Dio); siamo riuniti nella frazione del pane(Eucaristia),nella preghiera comune, e nell’amore fraterno. Anche noi ascolteremo il saluto del Risorto che dice “Pace a voi”. Non vedremo Lui in persona, non metteremo il dito nel suo costato, come fece Tommaso; Egli si farà presente attraverso la sua Parola e il suo Sacramento dell’Eucaristia. Ma ha detto Egli stesso che “credere in Lui così, senza vederlo materialmente, è meglio per noi, perché così siamo “beati”.

S. Cirillo di Gerusalemme ha detto: “Tommaso mise la mano nel suo costato e le dita nelle ferite dei chiodi. Fu per noi che egli toccò il Signore sensibilmente. Quello che avresti desiderato di fare tu, che allora non ti trovavi presente, lo fece lui di presenza per provvidenziale disposizione”.

Possiamo allora dire che le nostre assemblee non si distinguono in nulla da quelle del tempo degli apostoli? Purtroppo no! C’è qualcosa in quelle assemblee che oggi noi non realizziamo più!.

In quelle assemblee c’erano l’amore fraterno e la gioia di trovarsi insieme nella comunione fraterna; era un’assemblea viva in cui ci si riconosceva reciprocamente come discepoli dello stesso Signore e come fratelli. Da essa si usciva tonificati e pronti a riprendere la fatica quotidiana. L’impressione che suscitavano nei pagani, uscendo dalle loro riunioni, è stata raccolta da Tertulliano:”Guardate – dicevano- come si amano!”.

Cosa manca, che senso diamo alle nostre assemblee domenicali per realizzare tutto questo? Parte della colpa è forse nel modo stesso in cui sono organizzate queste nostre assemblee eucaristiche: anonime, poco spontanee e creative, c’è molto individualismo e rispetto umano, non ci sentiamo “un cuor solo e un’anima sola” da sentirci solidali e fratelli tra di noi. Si ha paura in chiesa perfino di aprire bene la bocca e alzare la voce per pregare insieme dicendo il “Padre nostro, e con il tuo spirito, amen”. Non parliamo poi della poca partecipazione a nutrirci del Corpo di Cristo. Nel darci il segno della pace, stendiamo bene la mano, intendendo abbracciare nel nostro gesto di accoglienza, non solo quello che ci sta occasionalmente accanto, ma anche tutti gli altri che sono con noi in chiesa, quelli che abbiamo lasciato a casa o che incontreremo domani nel lavoro e nella vita quotidiana: quelli cui tante volte anzichè la mano tesa, mostriamo il pugno chiuso. Certo si aspetta che “altri” facciano e organizzino, e ci si rifugia tra gli anonimi spettatori che osservano in fondo alla chiesa, magari in piedi, mentre ci sono banchi vuoti! Spesso le nostre assemblee sono prive di mordente e di vita, monotone, dominate dalla noia e dal desiderio che finiscano presto! Sembrano più assemblee di “precettati” che di “volontari” riuniti per un bisogno profondo di un incontro spirituale. Dovremmo sentire il senso della famiglia che si riunisce a pregare il Padre comune per le necessità nostre e del mondo intero.

Viviamo in una società sempre più bisognosa di comunicazione e sempre più afflitta dall’incapacità di comunicazione! Si è scritto che “solo l’amore è credibile”: forse sarebbe più esatto, oggi, dire che”solo la comunità che testimonia l’amore è credibile”; un amore fraterno che si fa comunità, dà veramente testimonianza a Cristo risorto.

 E’ significativo che il Risorto si presenti ai suoi mostrando il segno dei chiodi sulle mani e la ferita del costato, quasi fosse la sua carta d’identità. La sua nuova situazione di corpo glorificato non è affatto separata da tutto ciò che ha preceduto la sua morte.

Il filosofo cristiano Pascal ha scritto: “E’ dai segni delle sue sofferenze che Cristo ha voluto farsi riconoscere dai suoi discepoli; ed è per mezzo delle sofferenze che Cristo riconosce coloro che sono i suoi discepoli”. Anche per il cristiano la carta d’identità che gli permette di essere riconosciuto come seguace di Cristo ed erede della sua stessa sorte gloriosa, è il segno dei chiodi, cioè il sacrificio, la capacità di amare, il dono di sé.

Il primo messaggio che il Risorto rivolge ai suoi discepoli è una missione di riconciliazione. Nella prima Domenica della storia, Gesù risorto dai morti affida alla sua Chiesa, a ciascuno di noi, la missione di proclamare la forza del perdono, la vittoria dell’amore sull’odio, della grazia sul peccato, della luce sulle tenebre, della vita sulla morte.

Chi morì sulla croce? Sulla croce, fu il Cristo che morì o fu la morte che morì in Lui? Oh, che morte, che uccise la morte!.

Anche adesso, nella nostra assemblea, Gesù viene, sta in mezzo a noi e ci dà la sua pace dicendo: “Pace a voi”. Questo saluto di “pace” è frutto della sua Passione, Morte e Risurrezione. Pace alla sua nascita e pace alla sua morte e risurrezione.

Preghiamo Cristo risorto, che faccia di noi una vera comunità riunita nel suo nome, per far memoria della sua risurrezione, intorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia; comunità-famiglia, nella quale possiamo confessare come Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”.
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