XVI Domenica del tempo ordinario (Anno A). Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura

XVI Domenica del tempo ordinario (Anno A). Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura Foto di Frauke Riether da Pixabay
Pubblicato in Domenica Missionaria

Sap 12,13.16-19;
Sal 85;
Rm 8,26-27;
Mt 13,24-43.

La liturgia di questa domenica ci invita a scoprire un Dio paziente e misericordioso, la cui preoccupazione non è quella di emarginare i peccatori ma di integrarli nella comunità del "Regno". Mentre nel Vangelo, Gesù ci dà un insegnamento di pazienza e di speranza, il libro della Sapienza ci parla di un Dio che, nonostante la sua potenza e onnipotenza, è indulgente e misericordioso verso gli uomini. Per entrare in questa logica di Dio dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito Santo. Infatti, San Paolo ai Romani afferma che lo Spirito Santo –dono di Dio– viene in aiuto alla nostra fragilità, guidandoci sul cammino della vita piena.

Ti rende indulgente con tutti.

Il brano del libro della Sapienza ci indica l'amore paziente e misericordioso di Dio “che giudica con mitezza”: “la tua forza infatti è il principio della giustizia”, afferma l’autore della Sapienza. Dio agisce con estrema moderazione e ha manifestato, nella storia del suo popolo, la sua bontà, la sua misericordia, la sua giustizia. Dio non ha dovuto dimostrare nulla a nessuno, perché nessuno poteva chiedergli conto; se ha agito in questo modo equilibrato e moderato, è perché è un Dio giusto. Nell'Antico Testamento, la “giustizia” non è la rigida applicazione della legge, ma è soprattutto la fedeltà alla propria essenza. L'essenza di Dio è amore, bontà e misericordia; quindi, per Dio, essere giusto equivale a mostrare amore, bontà e gentilezza nel suo atteggiamento verso gli uomini. Dio potrebbe intervenire in molte occasione, perché è onnipotente; ma proprio in quanto è onnipotente, non lo fa. Dio è paziente, non ha fretta d’intervenire nella libertà dell’uomo: “tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere”. 

Dio permette anche che sbagliamo, che andiamo in direzioni che sono vicoli ciechi. Perché tutto questo? Perché così egli mostra la sua indulgenza, per spingerci a convertirci, per farci realizzare quella bella vittoria del bene che è la conversione, invece di quella vittoria facile che si ottiene con un intervento divino che schiaccia la libertà dell’uomo.

Come Dio, dobbiamo amare tutti gli uomini, anche i malvagi. Tutti sono degni di amore, perché sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio, hanno una capacità, talora anche molto nascosta, di bene. Il giusto deve amare gli uomini, augurare loro il bene; e quando si tratta di malvagi, deve augurare loro la conversione e il ritorno alla piena dignità umana. Infatti, il Sapiente afferma che “Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento”.

Per tale, come dicevamo, abbiamo bisogno dello Spirito Santo. Ogni giorno lo Spirito ci offre la vita di Dio, ci conduce all'incontro con Dio, fa sì che la nostra voce raggiunga il cuore di Dio. Dobbiamo però essere pronti ad accoglierlo e a prestare attenzione ai segni con cui ci conduce all'incontro con Dio. Accogliere lo Spirito significa uscire dall'egoismo, dall'orgoglio, dall'autosufficienza e cercare di scoprire, con umiltà e semplicità, le vie di Dio, le sfide di Dio.

Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme

Il Vangelo di questa domenica ci presenta un altro blocco di tre immagini o paragoni ("parabole") che hanno lo scopo di rivelare ai discepoli e alle folle intorno a Gesù la realtà del "Regno". Mentre la prima parabola parlando della zizzania, ci invita ad avere la pazienza divina, la seconda e la terza ci parlano del granellino di senapa e del lievito, invitandoci ad avere la speranza umana. Quella del senapa, più piccolo di tutti i semi, ma in realtà questa piccolezza iniziale prepara uno sviluppo straordinario. Perciò dobbiamo sempre sperare che gli inizi modesti della vita possano produrre una messe meravigliosa e che il regno di Dio possa svilupparsi in maniera nascosta come il lievito che scompare nelle tre misure di farina, che non cerca di manifestarsi all’esterno, ma rimane all’interno e ci dà un cibo molto nutriente e saporito.

La prima parabola a cui voglio dedicare la meditazione ci viene presentata è quella del grano e della zizzania. È un'immagine della vita quotidiana: c'è un "padrone" che semina il buon seme nel suo campo, un "nemico" che semina la zizzania (nome di un'erba che cresce tra il grano e lo danneggia) e dei "servi" impegnati che sono preoccupati per il futuro del raccolto. Tutto sembra normale; ciò che è anormale è la reazione del "padrone" alla "crisi". Mentre i servi chiedono “"Vuoi che andiamo a raccoglierla?"”, il padrone ordina loro di lasciare che il grano e la zizzania crescano uno accanto all'altra e che solo al momento del raccolto si faccia la cernita dei buoni e dei cattivi, di ciò che deve essere bruciato e di ciò che deve essere conservato nei granai. Il "padrone" della parabola è questo Dio paziente, che dà all'uomo ogni opportunità, che non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva. I "servi" troppo zelanti sono i credenti rigidi e intolleranti (che lavorano nel campo del "padrone"), incapaci di guardare al mondo e al cuore degli uomini con la gentilezza, la serenità e la pazienza di Dio.

Dio preferisce che non s’intervenga subito, per non recare danno al grano buono. Dio è paziente, non interviene in maniera eccezionale in ogni momento. Lascia a ciascuno possibilità reali di decisione in un senso o nell’altro. Rispetta la libertà umana. Noi troviamo difficile accettare questo modo di fare di Dio; ma dobbiamo capire che la motivazione di questo agire è molto positiva: quando si tratta di uomini che crescono, c’è sempre la possibilità di una conversione, di un cambiamento radicale di orientamento e di vita. Il malvagio può diventare buono. Dio dà la possibilità della conversione.

Il discepolo missionario è, secondo Papa Francesco, colui che ha lo sguardo del padrone e cioè lo sguardo di Dio. Ai servi sta a cuore un campo senza erbacce, al padrone il buon grano. Il Signore ci invita ad assumere il suo stesso sguardo, quello che si fissa sul buon grano, che sa custodirlo anche tra le erbacce. Non collabora bene con Dio chi si mette a caccia dei limiti e dei difetti degli altri, ma piuttosto chi sa riconoscere il bene che cresce silenziosamente nel campo della Chiesa e della storia, coltivandolo fino alla maturazione. E allora sarà Dio, e solo Lui, a premiare i buoni e punire i malvagi.

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