V Domenica di Quaresima (anno A). Io sono la risurrezione e la vita

Resurrezione di Lazzaro. Giotto, Capella degli Scrovegni. Padova Resurrezione di Lazzaro. Giotto, Capella degli Scrovegni. Padova
Pubblicato in Domenica Missionaria

Ez 37, 12-14;
Sal 129;
Rm 8, 8-11;
Gv 11, 1-45.

Le tre letture sono attraversate da un tema unificante: la risurrezione e la vita, dove Dio è presentato come la causa e la fonte. Però, è il vangelo della risurrezione di Lazzaro che stabilisce concetto unitario della Messa della quinta domenica di Quaresima. 

“Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe”, così dice il Signore nella pericope scelta per la prima lettura di questa domenica. Il brano liturgico fa parte integrante della grande visione delle ossa aride che ebbe Ezechiele. In esso, Ezechiele fu trasportato dallo spirito e “sotto i suoi occhi entrano in azione due realtà in forte contrasto fra di loro: da una parte, troviamo le ossa inaridite e calcificate (simbolo della morte) e dall’altra vento o spirito, soffio animatore, simbolo della vita. Così abbiamo ossa e spirito, morte e vita che è il perno centrale della visione delle ossa aride”. Il profeta Ezechiele, scrivendo dall’esilio di Babilonia vuole ridestare il popolo alla fiducia e far riemergere l’orizzonte della liberazione, della fine della deportazione dove gli israeliti uscirebbero dal loro sepolcro babilonese, dal paese della morte, per stabilirsi nel paese della vita. Gli abitanti del popolo d'Israele tornerebbero a esistere come esseri vivi, tornerebbero a essere persone libere, in libere relazioni fra loro e con Dio. Dobbiamo riconoscere che Dio vivificante, colui che ha salvato un Israele storicamente morto, è il Signore della vita ed è colui che ha stabilito la vittoria della vita sulla morte (viene così anticipato il messaggio pasquale).

 Lazzaro infermo e poi morto:

Il racconto della narrazione giovannea della risurrezione di Lazzaro inizia con una bellissima descrizione identificatrice e personificante: “C'era un infermo, Lazzaro, di Betania...”. Siamo davanti una novità in Giovanni dove un infermo possiede un nome proprio “Lazzaro”. Lazzaro è un nome promettente: Il suo significato è "Dio aiuta".  Lazzaro era di Betania, è amico di Gesù ossia “colui cui vuoi bene”, era del villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Cosi, Giovanni caratterizzava e contestualizzava un gruppo di Gesù che era una comunità di fratelli e amici in cui vigono relazioni di affetto. Lazzaro è un infermo, poi un morto, che riassume in sé tutte l'infermità e la morte presente nella condizione umana; le sue sorelle descrivono la reazione: dolore, paura, speranza, fiducia, smarrimento. Gesù davanti all'infermità e la morte di Lazzaro  presenta un comportamento paradossale e sconcertante: in un primo momento dice che “l'infermità di Lazzaro non è per la morte, ma per la gloria di Dio” cioè questa infermità, trattandosi di uno che ha dato la sua adesione a Gesù, che vive nella comunità di Gesù, non ha come termine la morte perché l'incontro con Gesù cambia la situazione e il futuro dell'uomo e in un secondo momento dice che “Lazzaro è morto, e mi rallegro per voi di non essere stato li...”. Cosi, Gesù mostra che la morte non è definitiva, come aveva mostrato con la metafora del sonno “Lazzaro si è addormentato, ma vado a destarlo” (v.11); il paradosso morte-gioia annuncia la vittoria della vita; davanti a tale evidenza, i discepoli giungeranno a credere. Infine Gesù decide di andare “su, andiamo da lui” (v.15). Gesù parla di Lazzaro come se fosse vivo (su, andiamo da lui). Non si propone di andare a consolare le sorelle, ma di andare a incontrarsi con Lazzaro stesso (BARRETO).

Per rendere ancora più evidente e clamoroso il miracolo, Gesù attende di proposito che l’amico Lazzaro muoia, che passino quattro giorni dalla morte, prima di incamminarsi verso Betania. “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”: Marta ha cominciato a rimproverare a Gesù su la sua assenza, la sua limitata potenza ed efficacia, perché non sapeva ancora quale energia provenga da Gesù e alla fine lei ha fatto un atto di fede parallela a quella di Pietro

Davanti alla reazione di Marta Gesù si rivela e si presenta come il segno della speranza e il dominatore del futuro, come il solo capace di garantire la vita e l'eternità. Però, Marta immaginava una risurrezione lontana: “So bene che risusciterà nella risurrezione dell'ultimo giorno”, così credevano i farisei. Gesù invece la ridona speranza, indicandole che egli è la causa della risurrezione “Io sono la risurrezione e la vita”. Gesù non viene a prolungare la vita fisica che l'uomo possiede; non è un medico; viene a comunicare la vita che egli stesso possiede e della quale dispone (5,26). Questa vita, che è la sua e che egli dà, annulla la morte nell'uomo che riceve. Nella frase di Gesù “Io sono la risurrezione e la vita”, il primo termine, la risurrezione, dipende dal secondo, la vita. È la risurrezione perché è la vita (14,6).

“Lazzaro, vieni fuori!”: La voce possente di Gesù grida “Lazzaro, vieni fuori” infatti Lazzaro era colui che da “quattro giorni” giaceva nel sepolcro. “Lazzaro, vieni fuori” è la voce di colui che è il Signore della vita, e vuole che tutti "l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10). Il miracolo è così grande per manifestare tutta la potenza di Gesù e lo scopo della sua venuta tra noi: Gesù è venuto per dare la vita, per vincere ogni morte, per offrire all'uomo la possibilità di una continua risurrezione. Dunque ora non c'è più alcuna ragione per dubitare di lui, del suo amore, dell'interesse che ha verso questa creatura così grande e così misera: l'uomo. “Lazzaro, vieni fuori!”: Un morto in stato di avanzata decomposizione, come tutti ebbero modo di costatare dal fetore che uscì dal sepolcro fatto aprire, ritornava in vita. La putredine era diventata un corpo sano: Lazzaro era risuscitato. Qui c'è il messaggio: in Gesù si esprime la forza di Dio che vince anche la morte. La comunità può contare su Colui che è la via della vita. Basta affidarsi al Dio di Gesù per superare le forze della morte. Infatti appena il Signore disse “Lazzaro, vieni fuori”, quegli usci subito dal sepolcro: la morte non poteva trattenere colui che veniva chiamato dalla vita... La morte non attese di sentirsi ripetere il comando dalla voce del Salvatore, perché essa non era in grado di resistere alla potenza della vita... 

 “Amico, vieni fuori”: siamo invitati a “venire fuori”, a liberarsi dai nostri peccati, a camminare verso la terra della libertà  a partire dal nostro cuore che è sempre imprigionato da una rete di idoli Questo è il cammino vero della conversione che dobbiamo fare: uscir fuori dalla tomba dei nostri peccati affinché possiamo camminare, spezzando le bende dei nostri difetti, delle nostre cattive tendenze, dei nostri vizi. “Amico, vieni fuori” :La nostra risurrezione comincia quando, ubbidendo a quel comando divino, decidiamo di cominciare una vita nuova, abbandonando la vita del peccato.

 

Ogni discepolo missionario si lascia interpellare dell’invito di Gesù: «Vieni fuori!», come ha detto Papa Francesco. Quest’è “un bell’invito alla vera libertà, a lasciarci afferrare da queste parole di Gesù che oggi ripete a ciascuno di noi. Un invito a lasciarci liberare dalle “bende”, dalle bende dell’orgoglio. Perché l’orgoglio ci fa schiavi, schiavi di noi stessi, schiavi di tanti idoli, di tante cose. La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le maschere –tante volte noi siamo mascherati dal peccato, le maschere devono cadere!– e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio”.

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