1Re 19,16.19-21;
Sal 15;
Gal 5,1.13-18;
Lc 9,51-62.
In questa domenica, accompagnati dal vangelo di Luca, ci mettiamo a camminare con Gesù che prese la ferma determinazione -letteralmente “indurì il suo volto”- di camminare verso la città di Gerusalemme.
La missione di Gesù a questo punto cambia registro, assume linguaggi ed obbiettivi nuovi, scopre anche obbiezioni e opposizione dure e determinate, implica una maggiore esigenza per coloro che hanno fatto la scelta di seguirlo e questo è il tema centrale della liturgia di questa domenica.
Questa sequela, frutto di una concreta chiamata, esige un distacco radicale, ancora più grande di quello chiesto nell’Antico Testamento da Elia a Eliseo (come vediamo nella prima lettura) e non può cedere nemmeno davanti ai doveri più sacri come quelli che legano la vita delle persone alla rispettive famiglie: “permettimi di andare prima a seppellire mio padre” o “prima lascia che io mi congedi da quelli di casa mia” (Lc 9,60-61).
Invece Gesù invita a lasciare tutto per seguirlo e percorrere un cammino di libertà: si tratta di riconoscere che l’unico tesoro, per il quale vale la pena sacrificare tutto, è mettersi con tutte le energie al servizio del Regno di Dio animati dalla chiamata di Gesù e contando con la forza dello Spirito Santo.
Questa esigenza è messa molto bene in evidenza dal testo della seconda lettura tratto della lettera ai Galati. Nel brano precedente Paolo aveva parlato dell'adesione alla Legge in termini di schiavitù. Cristo invece con il suo sacrificio sulla croce ci rende liberi: ha pagato il prezzo della nostra libertà con il suo stesso sangue.
Paolo poi insiste che in questi termini la libertà non significa fare ciò che più piace, ma piuttosto decidere nella propria vita il cammino più utile per incontrare Cristo e per mezzo suo vincere la schiavitù e la morte e raggiungere la pienezza della vita. Questa pienezza di vita, che è anche la pienezza della legge dell’Antico Testamento, consiste in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Gal 5,14)
La libertà cristiana si esprime dunque in un servizio reciproco reso per amore, non oppressivo. E' una libertà da se stessi, che non ci rende più schiavi del peccato, ma ci mette a servizio gli uni degli altri.
Questa immagine di libertà e di servizio ci riporta al vangelo e ai due atteggiamenti contrapposti che vediamo in quel testo. Il primo è quello aggressivo dei dodici che, rappresentati da Giacomo e Giovanni, arrivano perfino a dire “vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (9,54) quando scoprono il rifiuto dei samaritani che non avevano accolto il gruppo di Gesù diretto a Gerusalemme. Il secondo è quello del discepolo ideale descritto dai tre episodi di chiamata che chiudono il testo: questo discepolo è disposto a seguire Gesù anche se “ il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (9,58); chiamato ad “annunciare il regno di Dio” (9,60) è costante nel suo impegno e non si volge indietro una volta che ha messo mano all’aratro (cf 9,62).
Davanti alla furia dei discepoli Gesù difende quelli che non la pensano come lui perché l'uomo viene prima della fede e conta più delle idee; l'uomo va prima di tutto e non ci sono divisioni legate ad aggettivi come samaritano o giudeo, giusto o ingiusto; il suo obiettivo è l'uomo, ogni uomo. Davanti all’esigenza e alla urgenza del Regno, seguendo il suo stesso esempio che ha preso la ferma decisione di camminare a Gerusalemme, propone senza sconti l’impegno del vero discepolo.