“Mio Signore e mio Dio.. Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno”. Gv.20,19-31
Durante i 50 giorni che vanno dalla Pasqua alla Pentecoste, la Chiesa ci conduce attraverso una specie di altopiano, nella gioia continuamente alimentata dalla certezza che il Signore è vivo.
In questo periodo, la Parola di Dio che viene proposta, si sofferma a lungo sulla maturazione dei discepoli, che passano dalla sequela fisica di Gesù al riconoscimento della sua presenza nuova, invisibile e spirituale, nella comunità dei credenti e nel cuore di tutti coloro che ricevono il messaggio della predicazione. Così anche noi siamo esortati a conoscere Cristo secondo lo Spirito e non alla maniera umana “secondo la carne”.
/ L’evangelista Giovanni vuole presentare alla Chiesa, Gesù nella nuova condizione di “Risorto”, come Colui al quale “è stato dato ogni potere in cielo e in terra”(Mt.28,18), e che ora trasmette alla Chiesa questi poteri, tra cui quello di rimettere i peccati. Ma quello che la Parola di Dio oggi sottolinea è di presentarci il “Cristo della fede”, la fede pasquale in Gesù.
Pertanto che cosa è e che cosa fa Gesù Cristo per noi? Gesù ci salva. In Lui solo c’è salvezza. Gesù è presente ed è vivo; non era più per i suoi seguaci, il ricordo di un personaggio famoso ormai morto, ma una presenza viva, è il “Vivente”. Ora, per esprimere questa certezza nella presenza di Gesù, i primi discepoli usavano dire: “Gesù è il Signore”, come professione di fede. Gesù è il “Salvatore”,e l’unico “Signore”che con la sua risurrezione continua la sua presenza in mezzo a noi.
> Quando si parla di “risurrezione”di Gesù”, bisognerebbe abbandonare l’infelice espressione di “apparizione”. L’apparizione fa pensare ad uno spettro o qualcosa di simile. In realtà l’apparizione (in greco oftè), nel linguaggio del NT. è un “farsi vedere”, e il farsi vedere è un “incontro”, il mostrarsi in modo tale che si stabilisca un dialogo. Giovanni, che non fa uso del verbo “apparire”, ama parlare del “venire” di Gesù. Il Risorto è soprattutto uno che “viene”, viene e “sta” in mezzo ai suoi. In tal modo gli incontri di Gesù non sono più soltanto degli episodi avvenuti in un certo tempo e destinati ai primi testimoni soltanto, ma dicono la verità di ciò che sempre può accadere e accade: Gesù viene, visita i suoi e dona loro la pace. Fin dall’inizio il Battista vede Gesù come “colui che viene”(Gv.1,29) e al termine del Vangelo Gesù parla del suo venire futuro: “finchè io venga”(Gv.21,23). Gesù viene a “porte chiuse”, non perché voglia presentarsi come uno che ha poteri straordinari, ma per indicare che Egli è sempre in grado di visitare il nostro tempo e il nostro spazio, aprendoli alla dimensione dell’eternità.
> Il Risorto è lo stesso Gesù che abbiamo visto morire sulla Croce. E infatti Egli mostra agli apostoli le sue piaghe, indici del dolore e trofei di vittoria, segni anche esterni dell’amore che Gesù ha portato all’umanità. Ma ora sono piaghe di gloria la cui visione colma di gioia il cuore.
Agli apostoli Gesù trasmette la pace e la gioia del Padre. Su di essi effonde lo Spirito, per il quale la Chiesa potrà comunicare la Grazia del perdono.
> La sera di Pasqua, la venuta di Gesù ha due momenti: dapprima Egli viene e si rivela ai discepoli come il Signore Crocifisso: la carne glorificata di Cristo, porta 5 piaghe: segni della Passione.
Poi il Risorto dona loro lo Spirito e li invia in missione: è la consegna missionaria alla Chiesa.
> Le “apparizioni-incontro” di Gesù, sono sempre accompagnate da qualcosa di impressionante e contraddittorio: questa gente che conosceva Gesù molto bene, che è vissuta per anni con Gesù, ora che il Cristo è nella gloria, non riesce a riconoscerlo subito. Maria di Magdala lo scambia per il custode del cimitero, o l’ortolano. Perché bisogna passare al di là dell’impressione immediata per vederlo, per ascoltare la sua voce? Perché bisogna usare un canale di comunicazione diverso? Perché il Cristo glorioso, anche se ha dei segni che mostrano la continuità con quella persona che i discepoli hanno incontrato prima della morte – mangia, mostra il suo corpo( cioè la sua personalità) – ora che è nella gloria è totalmente diverso.
> La scena del Vangelo odierno è la “Pentecoste di Giovanni”, non è una semplice apparizione, ma è una grande e solenne cristofania. La cosa che ci incuriosisce è che avviene la sera di Pasqua.
Per Giovanni tutto avviene nel giro di poche ore. La morte è già la “glorificazione”, e subito dopo c’è la Chiesa, e poi il dono dello Spirito. Non c’è bisogno di aspettare 50 giorni! Inoltre Gesù fa davanti ai discepoli un’azione simbolica: “alitò su di loro”. Questo gesto di Gesù significa, dunque, donare lo Spirito, donare se stesso, la propria forza interiore. Il gesto si ricollega anche alla grande visione di Ezechiele, dove lo Spirito plana sulla valle piena di scheletri e li porta alla vita.
Gesù vuole che i suoi discepoli, ripieni del suo Spirito, siano con Lui principio della nuova creazione, che si attua non creando materialmente, ma “ricreando”, facendo ridiventare gli uomini ancora innocenti, creature nuove.
> “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi”. Per Giovanni, il Risorto lo si incontra là dove si dà il perdono: là dove un cuore si converte e si pente, là dove un peccato è perdonato: è presente Gesù risorto col dono dello Spirito, che parla e opera attraverso la sua Chiesa e i suoi discepoli: là è presente Dio. E’ una realtà, questa, di grande suggestione. Cristo risorto entra nell’eterno, ma come tale può ancora essere presente nello spazio e nel tempo attraverso la sua Chiesa che dona lo Spirito Santo. Anche se Cristo non è più presente ora in maniera fisica, prende i lineamenti dei volti degli uomini. E’ questo il testamento dato agli apostoli; essere coloro che perdonano, coloro che continuano a far risplendere i lineamenti gioiosi del Cristo risorto.
> Inoltre noi non siamo meno beati degli apostoli: lo ha proclamato Gesù: ”Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. Noi siamo nel numero di costoro nella misura della nostra fede.
La fede è un rischio: non si tratta di vedere e di toccare, ma di accogliere un annuncio che ci viene dato. A Tommaso, assente e incredulo al momento del primo incontro del Risorto, il Signore gli dà una lezione significativa anche per noi. Dal Cristo storico, bisogna passare al Cristo della fede: da una fede ereditaria ad una fede personale e coinvolgente.
> “Quando si esige un miracolo per credere, vuol dire che non si è capaci di credere”(E. Zola).
Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente.
> Gandhi disse: “Non credo alla gente che parla agli altri della propria fede: la fede non ammette di essere raccontata; deve essere vissuta. Allora si diffonde da sé”.
Credere è difficile, e vivere e dimostrare la propria fede è molto più difficile. Ma è proprio questo l’impegno a cui Cristo ci chiama.
/ “Il cristianesimo non può contentarsi di cristiani mediocri, non può essere vissuto in maniera qualunque; o lo si vive in pienezza, o lo si tradisce!”(Paolo VI).
> La Chiesa è comunione: e questa si realizza in senso verticale, nel contatto personale di ogni credente con Cristo e con Dio; e in senso orizzontale, nell’unione dei fratelli tra loro, unione che si radica nell’unica fede, speranza e carità che lega ciascuno a Dio, e che si esprime nel culto liturgico, nella cooperazione fraterna e solidarietà. Spesso c’è il pericolo che questa comunione sia solo “spirituale e impersonale”. Si va a Messa, si ascolta la Parola di Dio, ma conclusa la celebrazione eucaristica, ognuno torna per la “sua strada”, ai propri affari, improntati talvolta all’esclusivo interesse personale, se non addirittura allo sfruttamento degli altri e del loro lavoro. Noi che chiamiamo Dio nostro Padre, siamo spesso ben lontani dal creare l’uguaglianza effettiva di tutti coloro che sono in realtà nostri fratelli. Talvolta gli “idoli” della proprietà privata, della corsa al posto migliore, della superiorità sugli altri, diventano causa di disunioni e di scandalo.
> Preghiamo affinché viviamo in prima persona il senso della comunità cristiana; perché i gesti che compiamo in Chiesa: la pace, la preghiera, i Sacramenti.., siano segni autentici e impegno per la nostra vita cristiana.
Giovanni, nella finale del suo Vangelo, si preoccupa di ricordarci che tutto quello che è stato raccontato, non è una pagina di storia antica e neppure una favola: è una realtà che si deve riprodurre continuamente davanti ai nostri occhi. Per questo, allora, il Vangelo di Giovanni è stato scritto,”perché voi crediate”. Quel “voi” è indirizzato alla comunità dei credenti. Attorno alla figura di Cristo risorto, glorioso, con il suo Spirito presente in mezzo a noi, c’è anche la comunità di tutti i lettori del Vangelo di Giovanni. E quindi ci siamo anche tutti noi!..