“I SEGNI DEI TEMPI IN UN MONDO CHE CAMBIA”

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In questo  mondo  che passa, nel costante fluire della Storia e che scorrendo,  ora fa gioire, ora fa gemere, il cristiano non può conoscere nulla di più grande del Regno. Essere credenti, infatti, significa assunzione delle proprie responsabilità rispetto alla conversione del cuore, al bene condiviso, alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione, al rispetto del creato. Ciò scaturisce dalla possibilità che ci viene offerta dall'incontro con Cristo, nelle periferie, a fianco dei poveri, degli ultimi, nei bassifondi dove sono relegati. A distanza di poco più di un anno dall'elezione di Papa Francesco, ci pare che questa, sia la sintesi più efficace del suo magistero, in riferimento al tema della "Missione", anche e soprattutto alla luce dell'Esortazione Apostolica, Evangelii Gaudium.

La spiritualità missionaria non può prescindere dal contesto in cui viviamo con l'urgenza di tornare ad essere, parafrasando il Vangelo, "sale della terra", "lievito che fa fermentare la massa". Ecco perché è necessario comprendere il mondo, saperlo interpretare,  leggendo  attentamente i "segni  dei tempi". La loro decodificazione è fondamentale per rendere intelligibile il messaggio cristiano in un mondo che cambia. In qualche modo, i segni dei tempi appartengono già alla Rivelazione  perché possono essere identificati con quei germi di vita posti nel mondo e nel cuore di ogni uomo. Davanti ai segni dei tempi, la Chiesa è provocata a svolgere la sua funzione profetica perché è chiamata ad esprimere il giudizio di Dio sul presente. Un giudizio, tuttavia, che è sempre di misericordia. I segni dei tempi, infine, spingono a considerare seriamente l'orizzonte escatologico, ponendo tutti, credenti e non, nell'attesa di un compimento definitivo della storia. Il Concilio sembra quindi aver compiuto, anche per i segni dei tempi, un processo di personalizzazione e attualizzazione che apre la strada ad orizzonti davvero infiniti.

Ma quali sono oggi realmente i segni dei tempi sui quali dovremmo discernere? La lista potrebbe essere molto lunga, ma per brevità mi soffermerò solo su quelli che, dalla mia prospettiva, risultano essere sintomatici di un mondo che sta attraversando una fase, senza precedenti nella storia umana; vere e proprie trasformazioni trasversali, presenti con sfumature diverse, nei cinque continenti.

 

1) Il primo segno è quello della globalizzazione. Un fenomeno su scala planetaria i cui  effetti sono evidenti a livello socio-politico-economico, oltre che culturale e religioso. Una delle sue manifestazioni tecnologiche più appariscenti riguarda la planetaria diramazione della Rete Internet, espressione dì un progresso comunicativo che ha innescato una vera e propria rivoluzione culturale, non minimamente riducibile ad un semplice indicatore dello sviluppo umano. Internet, infatti, si configura prevalentemente come proiezione, nella Rete, della condizione umana che consente di esplorare gli sconfinati spazi di socializzazione quali i social network, le mailing list, i newsgroup, i forum, le chat, l' e-mail , per non parlare dell 'erogazione di inediti servizi in ogni ambito, da quello commerciale a quello politico, religioso, militare, scientifico e ludico. Un fenomeno, dunque, decisamente rivoluzionario che, nel suo complesso, ha determinato la creazione di nuove vie d'accesso alla conoscenza quali l'informazione, la ricerca, la documentazione e  l'aggiornamento, ampliando a dismisura il bacino delle opportunità umane.

Proviamo a comprendere meglio e ad approfondire il concetto dei luoghi nella "Rete delle Reti", facendo riferimento alla metafora del "non luogo". A parlarne è stato l'antropologo francese Mare Augé secondo cui i non luoghi sono, in contrapposizione ai luoghi antropologici, tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei non luoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi, ecc.

Cosa sono oggi Internet, le interazioni sociali, i cosiddetti social network? luoghi di missione?  Da questo punto di vista, è necessario esercitare un'azione educativa sugli utenti, promuovendo  responsabilità e fiducia.  Infatti,  uno degli errori che viene commesso frequentemente da coloro  che si accostano alla Rete con un background culturale "predigitale", è quello di considerarla  come "un momento a sé stante" dell'esistenza umana. Sì, quasi vi fosse da una parte la vita  "reale" e dall'altra quella "virtuale", sancendo una distinzione tra due distinte realtà.  Per carità,  si può anche vivere senza cellulare, ma i modelli e i paradigmi odierni sono un qualcosa  d'ineluttabile , forme espressive, linguaggi che fanno parte del "modus vivendi" delle nuove  generazioni, come anche di quelle più  attardate. Per i giovani, come anche per i loro genitori, esiste solo una "Vita" che è "iperconnessa", con il telefono e  li sms, con la posta elettronica e con il Web. Ciò che conta è farne un uso intelligente. Ma la globalizzazione, nell'immaginario collettivo, è prevalentemente riferita al campo economico. Si tratta di un processo di integrazione economica mondiale il quale comporta, oltre all'eliminazione di barriere di natura giuridica, economica e culturale , la circolazione di persone, cose e beni economici in generale. Da una parte la globalizzazione ha determinato l'ampliamento su scala internazionale delle opportunità economiche (opportunità d'investimento, di produzione, di consumo, di risparmio, di lavoro, etc.), in particolare in relazione alle condizioni di prezzo o di costo (arbitraggio); dall'altra ha acuito l'inasprimento della concorrenza nei settori interessati dai fenomeni suddetti, in particolare tendenza al livellamento di prezzi e costi alle condizioni più convenienti su scala internazionale. Sta di fatto che il rafforzamento della interdipendenza tra operatori, unità produttive e sistemi economici in località e Paesi geograficamente distanti ha fatto sì che eventi economici in un determinato luogo avessero poi ripercussioni, spesso inattese o indesiderate,  in altri. Oggi non esistono più regole certe che affermino il primato della politica sul "business" e, nel vuoto legislativo lasciato dai soggetti nazionali, si insediano attori privati che  divengono padroni assoluti, sostituendosi ai governanti. Dobbiamo forse come cristiani,  rassegnarci alla supremazia del mercato,  dove la produzione e a tutti i costi cancella ogni valore,  generando peraltro "una sorta di invincibile diritto naturale"?  La posta in gioco è alta perché, come raccontano i nostri missionari, vi è un bisogno crescente di giustizia in ogni angolo della Terra. Il timore nasce anche dal pericoloso sommarsi, su scala planetaria, dei costi eccessivamente elevati delle derrate agricole, con effetti devastanti sui ceti meno abbienti.

A questo proposito la "rivolta del pane" che ha interessato nel 2011 il Nord Africa la dice lunga. Si tratta di una crisi economica generale e persistente, che priva milioni di persone, particolarmente i giovani, del proprio posto di lavoro. A ciò si aggiunga il fatto che ogni variazione benché minima di prezzi e tariffe, dal costo del carburante ai servizi della telefonia cellulare, intacca inesorabilmente i redditi, ormai ridotti all'osso, della povera gente. Nel frattempo, molti governi sono costretti a "raschiare il barile" per far fronte alla spesa pubblica, falcidiati come sono dalla crisi finanziaria globale e dall'incertezza di un "sistema" che fa acqua da tutte le parti.  Occorre, dunque, come credenti, saper leggere e interpretare i fenomeni sociali determinati dalla globalizzazione "con intelligenza e amore della verità - proprio come si legge nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa - senza preoccupazioni dettate da interessi di gruppo o personali" per un agire corretto delle politiche economiche.  A tal proposito, è bene rammentare come anche nella costituzione pastorale Gaudium et spes non si guardi più alla Chiesa come societas iuridicae perfecta, chiusa nella solidità e coerenza del proprio ordinamento giuridico, ma come realtà protesa come mai verso il mondo, un mondo spesso lontano e segnato dalla secolarizzazione. Questo approccio  viene definito dalla Dottrina Sociale della Chiesa con la parola "sussidiarietà", principio che, sebbene richiamato anche dal diritto canonico, non ha mai trovato in esso piena attuazione, disattendendo, in parte , il dettato conciliare.  Tale spirito consente ai cristiani, in quanto cittadini, di diventare parte attiva nella soluzione dei problemi d'interesse generale

 

3) Un altro segno dei tempi col quale dobbiamo misurarci è quello del fondamentalismo. Anche in questo caso vi è un legame con la globalizzazione e più in generale con gli effetti di una società in continua trasformazione. Si tratta di un tentativo particolarmente vigoroso, seducente e pericoloso nelle forme, di ritornare ai principi del passato, veri o presunti. I fautori del fondamentalismo sono convinti che si stava meglio una volta, quando la società era ingessata da un complesso di norme e punti fermi che regolavano la vita della gente. Quando cioè vi era la certezza dell'autorità e di una verità assoluta. Ma da dove viene questa parola, "fondamentalismo"? Il termine , oggi, è usato  grande disinvoltura, soprattutto dai giornalisti, in riferimento a certi movimenti religiosi nell'ambito del mondo islamico, ma si dimentica che l'origine è rintracciabile, storicamente, in quella corrente di pensiero, nata all'interno della Chiesa battista , che intendeva opporsi al modernismo e al razionalismo teologici che si diffondevano fra fedeli evangelici. Il termine "fondamentalismo" non aveva all'origine accezioni negative come accade oggi. Esso è legato alla pubblicazione, nel 1909, di una raccolta di dodici volumi di saggi intitolata "The Fundamentals ". I testi attaccavano le attività di filologia, storia, archeologia e critica, della scuola esegetica eletta di "Alta critica". Rivendicavano, al contrario, la volontà di riaffermare in modo dogmatico punti irrinunciabili della fede definiti "fundamentals", fondamenti, e corrispondono anche all'affermazione della necessità di una fede facilmente comprensibile all'individuo. Nonostante le tragedie alla quale assistiamo sempre più ordinariamente, le differenze possono convivere anche perché l'accoglienza dello straniero, come insegna il Vangelo, si traduce nell'abbattimento di ogni barriera, muro e divisione. Purtroppo, dobbiamo prendere atto che la disinformazione è tale per cui, nell'immaginari,o collettivo, quando si parla dei musulmani, pare che siano tutti terroristi o kamikaze. Ma non è vero! Quanti intellettuali del mondo arabo sono stati i primi ad opporsi con coraggio e povertà di mezzi contro ogni forma discriminazione, avvertendo la necessità di una lettura critica della storia islamica in netto contrasto con i fautori del "jihad" o di qualsiasi dittatura! 

Il fondamentalismo è anche il risultato di una reazione molto decisa alle incertezze che la vita riserva nel nostro mondo, è il tentativo di tornare al passato. Volendo comunque tentare di scavare nell'intimo del sentimento fondamentalista, si scopre che la vera ragione è determinata dall'incapacità dell'individuo o della comunità a coniugare gli ideali con la vita, lo spirito con l'esistenza, gli ideali con la storia. Questa divaricazione è tale che genera un dualismo tra anima e corpo, letteralmente privo di significato per la gente del nostro tempo.

 

4) Sempre nel contesto dei segni dei tempi che stiamo tentando di scrutare, vi è un altro fenomeno diffusissimo: l'attivismo. Oggi tutto appare scandito dal movimento fisico, lavorativo, umano ... Pensiamo ai viaggi frequenti, per piacere o per lavoro, o ai mille impegni che intasano l'agenda quotidiana di casalinghe, dirigenti, impiegati, religiosi, studenti e volontari. È forse il sintomo più evidente di una frenesia planetaria che alcuni non riesco a contenere, altri invece la subiscono, addirittura ammalandosi per il troppo stress. L'attivismo è diventato un'ossessione: poco importa che sia finalizzato a fare quattrini, a cambiare il mondo, a fare quello che fanno gli altri, o schizzando a destra per sbarcare il lunario a costo di abbandonare la propria nazione. Tutti   si sentono investiti dal diritto-dovere di correre. Vi è un agire sano e un attivismo che è semplicemente febbre, esaltazione, vertigine senza centro, tanto che, lungi dal testimoniare una forza, come volgarmente si crede, esso indica soltanto un’impotenza e un'incapacità a saper gestire la vita. L'impegno nella nuova evangelizzazione non prescindere dal silenzio e dalla contemplazione, necessari per poter accogliere gli altri in maniera equilibrata. Gesù nei Vangeli, in più circostanze,  si ritirava in silenzio a pregare il Padre, invitando gli apostoli a fare lo stesso.

 

5) Uno dei segni dei tempi che credo meriti infine di essere menzionato, che sottovalutiamo spesso nella pastorale ordinaria, è quello della costante e crescente affermazione della società civile. Una realtà trasversale che abbraccia il consesso delle nazioni: associazioni, gruppi, movimenti, organizzazioni fatte di uomini e di donne di buona volontà che trovano nell'impegno, soprattutto volontario, un modo per rispondere alle sfide di una società in cui la politica è in grave affanno. Spirito di cittadinanza e senso della partecipazione al "bene comune" evidenziano, antropologicamente parlando, una voglia di riscatto di fronte al crollo delle vecchie ideologie, che la Chiesa non può sottovalutare. Se vogliamo dunque trarre un qualcosa di utile e fecondo da ciò, la valorizzazione dei laici va davvero messa in cima all'agenda pastorale, contro la tentazione sempre in agguato del clericalismo che alla lunga comporta "una conseguente svalutazione della fede, resa così un vuoto senza alcuna esperienza. Partendo dal presupposto che la comunità ecclesiale è un dono di Dio, bene della Chiesa per la Chiesa e insieme per la società, sarebbe auspicabile che, alla luce di quanto accade ai nostri giorni, vi fosse lo snodarsi di comunione, collaborazione, corresponsabilità, tre momenti strettamente legati fra loro, poiché la comunione porta alla collaborazione e quest'ultima implica un'autentica corresponsabilità. Le mie considerazioni muovono, perciò, da queste necessarie premesse. Alla definizione di Christifìdeles ha dedicato grandissima attenzione il Concilio Vaticano II, riprendendo l'originale ispirazione della Chiesa, ricusando i lunghi secoli bui in cui il laicato era divenuto secondario nella vita ecclesiale. Questo non era vero nei primi tempi della cristianità, basti pensare ai vari collaboratori laici di San Paolo, come ai coniugi Aquila e Priscilla, come leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli. Dal Concilio Vaticano II in poi si è tentato di ridare al laicato il suo ruolo specifico. Il documento conciliare che fa da primo riferimento in tal senso è la Lumen Gentium che prima di parlare del Papa e dei vescovi, afferma la centralità della comunione, utilizzando la metafora del "Popolo di  Dio". Il Concilio sottolinea che fanno parte della Chiesa, in virtù del principio di uguaglianza e di varietà, tutti i battezzati, con stessa dignità e stesse caratteristiche, e dentro questo popolo vengono svolti vari compiti, ruoli, ministeri. Ma il dato originario è l'uguaglianza,  il far parte della comunità cristiana con la stessa dignità, secondo la volontà di Cristo. Ecco che allora la definizione dei laici intesi come fedeli i quali, "dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano". Ma per entrare meglio nella comprensione di chi sono e cosa fanno i laici, prendiamo in esame la Christifideles Laici di Giovanni Paolo II. Come nel suo stile, il Papa usa un'icona che fa da filo conduttore al documento: "I laici nella Chiesa sono come quelli 'chiamati a lavorare nella vigna all'ultima ora". Nel Vangelo altre due volte si parla di vigna (a dire il vero una volta di vigna ed una volta di vite): sia nella parabola della vigna, quando coloro che erano stati incaricati di accudirla se ne sono appropriati senza rispettare più il padrone né il figlio, sia quando Gesù usa l'immagine della vigna dicendo: "io sono la vite e voi i tralci, se non rimanete uniti a me non porterete frutto". In realtà della vigna si parla anche nell' Antico Testamento; citiamo a tale proposito Isaia : "Questo popolo è come una vigna che Dio coltiva... poi viene a cercare i frutti e invece di trovare uva…". Era il rimprovero al popolo che costituiva la vigna che Dio curava e coltivava, ma poi, quando doveva dare i frutti, deludeva. Riprendendo il discorso iniziale del confronto con la vigna, dobbiamo considerare che i lavoratori sono invitati a tutte le ore e in tutte le situazioni, come donna o come uomo, come studente o come lavoratore, come handicappato o in buona salute, come sano o come malato. In questa prospettiva ciò che caratterizza i fedeli laici è l'indole secolare, il vivere la realtà del mondo. La caratteristica del laico è di essere chiamato alla pienezza della santità operando all'interno delle realtà del mondo quali la società, il lavoro, la politica, l'economia, lo sport, la stampa, insomma in tutto ciò che fa la vita di un uomo. Tutti sono chiamati a diventare santi, ma i laici, per diventarlo, non devono stare in convento o vivere segregati in un eremo. Piuttosto devono sporcarsi le mani per la causa del Regno, nella Vigna del Signore. La fede cristiana, incarnata nella storia degli uomini, non evita le sfide, neppure quella della modernità. Non elude le crisi, né si rifugia in cima ad un monte per starsene al sicuro. La fede cristiana ha una forza in sé, in ragione della sua singolarità: la forza dello Spirito che può cambiare la storia.

Giovanni Paolo II, per primo, si è impegnato a moderare gli eccessi di clericalismo e nello stesso tempo a sostenere apertamente la valorizzazione del laicato. Cosi, dalla realtà profonda del cattolicesimo, sono emersi nuovi carismi, nuovi protagonisti:  i giovani, i movimenti,  specialmente le donne. Ebbene, c'è stato tutto questo, ma si può dire di essere arrivati davvero ad una Chiesa che sia un insieme virtuoso di unità e molteplicità, di identità e di diversità? Certamente è il laicato, vero tesoro che rimane spesso nascosto  nella grande massa, che abbiamo lasciato troppo ai margini. Ma è proprio qui che si trova il vero vissuto della fede praticata nelle pieghe della vita di ogni giorno; quella ordinaria, normale, di chi, tra l'altro, si impegna all'aiuto di quanti hanno più bisogno perché dimenticati, non solo dalla società, ma anche dallo Stato. Anche questa è Chiesa, ma non si può certo dire che i laici e le donne, in particolare, abbiano raggiunto una vera corresponsabilità; anzi, diciamo pure che vi è  un certo squilibrio rispetto alle aspettative conciliari. Non solo, infatti, non hanno una qualche parte, perlomeno a livello di consultazione, nelle decisioni che vengono prese in diocesi o nell'individuare tratti caratteristici del nuovo vescovo che dovrà essere nominato; non hanno nemmeno quella spiritualità di comunione propriamente  laicale che aiuti ad affrontare le tante  contraddizioni del mondo moderno. La sensazione che si ha, dunque, è quella di mantenere il laico in uno stato, se non proprio di minorità, comunque sempre dipendente dai chierici. Bisogna rendersi conto che è decisivo avere un popolo, soprattutto per la Chiesa che verrà. Una generazione di cristiani, dalla fede più personale, più consapevole, che dia un ruolo diverso alla donna portatrice di creatività nei diversi ambiti della vita, specialmente in politica. Cristiani che siano uomini della speranza, della libertà, della tolleranza e della pace. E allora, ancora di più , è necessario andare al fondo delle cose e cercare di leggere il futuro che Dio ha riservato alla sua Chiesa e a quanti credono in Lui. Nei suoi disegni imperscrutabili, si potrebbe riuscire a capire come da un gran male potrebbe venir fuori un gran bene. Annullare definitivamente le distanze è l'occasione buona per metterci in un ascolto aperto e fiducioso con chi, in forza del comune battesimo, ha stessa dignità e responsabilità.   

 

Per concludere . . .

Queste prospettive sui segni dei tempi, di cui abbiamo parlato, per quanto approssimazioni di un futuro per certi versi incerto, suppongono che esistano ancora delle persone che si consacrano totalmente alla missione evangelizzatrice della Chiesa, per la causa del Regno. In tal senso il momento presente non ci offre molte illusioni; non per disfattismo, ma per il fatto che la realtà è sotto gli occhi di tutti. Vediamo, ad esempio, che le vocazioni missionarie in Italia e all'estero  stanno diminuendo. Sarà questa un'indicazione provvidenziale che Dio ci fa giungere per rinnovare evangelicamente la figura stessa del missionario e la dimensione missionaria della Chiesa? Non resta che pregare e discernere per fare la Sua volontà.

 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 17:05
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