SULLE ORIGINI DEL SANTUARIO DELLA CONSOLATA A TORINO

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consola1. La cappella di re Arduino

La tradizione attribuisce a re Arduino d'Ivrea la fondazione a Torino, presso la chiesa di S. Andrea, di una cappella « sub vocabulo Consolationis »1, e a un cieco di Briançon il ritrovamento, avvenuto un secolo più tardi, il 20 giugno del 1104, dell'immagine della Consolata tra le rovine di una cappella posta accanto alla torre di S. Andrea. Il primo di questi racconti è narrato nella Cronaca di Fruttuaria e porta la data del 18 novembre 1016 2; il secondo, quello del 20 giugno 1104, in un'antica pergamena che forse esisteva ancora alla fine del secolo XVI negli Archivi del Santuario della Consolata3.

Nel suo nucleo primitivo la Cronaca di Fruttuaria fu redatta dopo l'anno 1213 con aggiunte posteriori dovute alla mano di un secondo cronista, che scrisse sul finire del secolo XIV o nei primi decenni del XV, e ulteriori rima­neggiamenti, ma di minor importanza rispetto al primo e al secondo nucleo narrativo, della fine del secolo XV o dell'inizio del seguente 4. L'autenticità della Cronaca è stata contestata s e non sono mancati studiosi che pur ricono­scendole una qualche autorità storica, specialmente nei brani che presentano tratti di maggiore antichità, considerano il passo riguardante la fondazione della cappella della Consolata una introduzione posteriore del secolo XV 5. E questo nonostante che il racconto di tale fondazione appartenga a uno dei nuclei antichi della Cronaca, là dove l'anonimo cronista narra che re Arduino, mosso da una ispirazione della Vergine, che gli apparve nel sonno con san Benedetto e santa Maria Maddalena, avrebbe fondato e dotato di beni, oltre che la cappella della Consolata, anche le chiese di S. Maria di Belmonte presso Valperga, nel Canavese, e di S. Maria di Crea nel Monferrato, non lontano da Moncalvo.

Fra i brani più antichi della Cronaca alcuni hanno sicuramente valore storico, altri, come l'apparizione della Vergine a re Arduino, sono leggendari. Tuttavia, se si esclude la data dell'apparizione, il 18 novembre 1016 — Ar­duino d'Ivrea morì qualche anno prima a Fruttuaria il 14 ottobre del 1014 7 —, è certo che la chiesa di Belmonte e le chiese canavesane di S. Maria Maddalena di Front e di S. Maria Maddalena di Rivarossa, anch'esse ricollegate dal cro­nista agli avvenimenti del 1016 e all'iniziativa di re Arduino 8, dipendevano dall'abbazia che Guglielmo di Volpiano aveva fondato a Fruttuaria nel 1003, dedicandola a S. Benigno 9.

Queste dipendenze non sono però registrate nei diplomi imperiali più antichi in favore dell'abbazia, a meno che si debbano considerare incluse nella formula « omnia que habet vel que habere debet in his supter scriptis episco­patibus atque comitatibus », fra i quali Ivrea, Torino e Vercelli 10. Le prime notizie relative a S. Maria di Belmonte, ufficiata dai monaci di Fruttuaria, sono infatti del 1197 11, mentre le chiese di Front e di Rivarossa, a cui bisognerebbe aggiungere S. Maria Maddalena di Rivarotta, anch'essa fondata, secondo la Cronaca, da re Arduino, risultano soggette alla giurisdizione dell'abbazia di Fruttuaria in una bolla di papa Clemente IV del 7 luglio 1265 12. Anche se certamente più antiche e forse, come del resto si può desumere dalla Cronaca, in qualche modo connesse con l'opera svolta da re Arduino nel Canavese a beneficio di chiese e monasteri, queste dipendenze furono assegnate a Frut­tuaria molto dopo gli avvenimenti prodigiosi del 1016. 13

L'intervento di re Arduino per quanto concerne la chiesa di S. Maria di Crea e la cappella della Consolata si rivela invece, se non proprio privo di qualsiasi fondamento storico, certamente molto discutibile. Su di esse i mo­naci di Fruttuaria non ebbero mai alcuna giurisdizione, anche se il cronista, pur non affermandolo esplicitamente, sembra insinuarlo, ricollegando le origiri di queste chiese all'apparizione della Vergine a re Arduino e inserendole nel contesto di chiese sicuramente fruttuariensi. S. Andrea di Torino, dove Arduino avrebbe fondato la cappella della Consolata, era infatti, a partire dal secondo decennio del secolo X, una chiesa dipendente dall'abbazia dei SS. Pietro e Andrea di Novalesa, poi di S. Pietro di Breme, nella Lomellina 14, mentre S. Maria di Crea, soggetta alla giurisdizione ecclesiastica della Chiesa di Vercelli, nel 1152 fu donata dal vescovo Uguccione ai canonici di Vezzolano, dai quali continuò a dipendere fino al 1485 insieme con S. Eustorgio di Ser­ralunga 15.

Ma, se non esistono indizi che dimostrino una qualche relazione di Frut­tuaria con Crea e il suo santuario, la presenza dei monaci fruttuariensí a To­rino è invece molto antica. Risale verosimilmente ai primi anni di vita dell'ab­bazia, poiché il 14 maggio del 1014 l'imperatore Enrico II confermava a Fruttuaria i beni che il marchese Olderico Manfredi e sua moglie Berta le avevano donato « in Taurino civitate intus et foris » 16". Il documento di dona­zione non ci è pervenuto, ma è assai probabile che Olderico Manfredi, sicura­mente marchese di Torino negli anni 1001-1034, abbia concesso questi beni poco prima del 1014 e che inoltre su una di queste proprietà, poste in Torino, i monaci fruttuariensi abbiano costruito la chiesa di S. Benigno. Menzionata per la prima volta il 21 agosto del 1058 17, la chiesa con il suo cimitero, la « domus » e la « platea Sancti Benigni » sorgeva nel cuore della Torino medie­vale, a nord-ovest della piazza denominata « platea publica civitatis Thau­rini », presso l'attuale palazzo civico 18", e in quanto parrocchia, probabilmente istituita nella prima metà del secolo XIII, aveva diritti di giurisdizione su alcuni isolati del quartiere di Porta Pusterla, dove la chiesa si trovava, oltre che su un gruppo di case situate nei quartieri di Porta Doranea e di Porta Nuova 19. Come tale, benché dipendesse dagli abati di Fruttuaria, pagava il cattedratico al vescovo di Torino, dimostrando così di riconoscere e rispettare la sua auto­rità di ordinario diocesano 20. Per questo motivo nel 1370, quando rettore della chiesa era un canonico della cattedrale, Giovanni di Gorzano, fu visitata dal vescovo Giovanni Orsini dei signori di Rivalta, il quale « omnia invenit satis laudabiliter tam in spiritualibus quam in temporalibus »3.

I vescovi di Torino furono dunque in buoni rapporti con la chiesa tori­nese di S. Benigno e perciò anche con i monaci che risiedevano nella vicina « domus »; e ciò forse sulla base di un'antica tradizione, consolidatasi nel tempo, da quando nel 1006 il vescovo di Torino Gezone insieme con altri tre vescovi fu delegato da papa Giovanni XVIII alla solenne consacrazione dell'abbazia di Fruttuaria n. Naturalmente questi rapporti, deterioratisi nel corso del secolo XIII per 'il possesso della chiesa di Becetto, non rivelano al­cuna interferenza dei monaci di Fruttuaria nella vita della cappella della Consolata. Essa rimase sempre strettamente vincolata ai monaci del priorato di S. Andrea, che dipendevano dalla Novalesa e da Breme. Risulta anzi, dai pochi documenti reperibili, che i monaci di Fruttuaria ebbero contatti con il monastero di S. Solutore di Torino, la canonica di Rivalta Torinese, i monaci vallombrosiani di S. Giacomo di Stura e i canonici della cattedrale ma mai con il priorato di S. Andrea e l'annessa cappella della Consolata.

Da questi riscontri documentari si può perciò desumere che l'abbazia di Fruttuaria e quindi anche re Arduino, potente protettore dell'abbazia, non ebbero mai nulla da spartire con la fondazione della cappella della Consolata. L'intervento di Arduino, che nella Cronaca è indicato, oltre che come fonda­tore, anche come benefattore della cappella e dei monaci ivi residenti — il cronista è però attento a non rivelare a quale congregazione essi apparten­gano 24 -, potrebbe essere pensato in continuità con una ben documentata tradizione di privilegi e favori, concessi dal marchese di Ivrea Adalberto ai monaci della Novalesa 25. Tuttavia è assai più probabile che l'inserimento della cappella della Consolata, unitamente a S. Maria di Crea, nel nucleo narrativo più antico della Cronaca, databile a dopo il 1213, sia da interpretarsi come un'abile mossa « propagandistica » di Fruttuaria, orchestrata dal cronista con l'intento di monopolizzare il culto mariano neí più importanti santuari del tempo, ricollegandoli a chiese sicuramente fruttuariensi e soprattutto a un pre­stigioso benefattore dell'abbazia quale fu re Arduino. La sua figura, divenuta ben presto leggendaria per l'azione politica da lui svolta e come fondatore di chiese e monasteri, trasse del resto in errore, anche se più tardi, alcuni storici della canonica di S. Maria di Vezzolano, i quali, basandosi su documenti di non sicura genuinità, per di più malamente interpretati, attribuirono ad Ar­duino d'Ivrea la fondazione e la dotazione di quella canonica. Ma nessun indizio documentario permette in alcun modo di collegare re Arduino a S. Maria dí Vezzolano 26.

Si deve infine osservare come la « propaganda » di Fruttuaria, un'abbazia per molti aspetti legata nelle sue espressioni spirituali e organizzative al mona­chesimo cluniacense n, non si risolse solo in una schermaglia di parole e di buoni propositi. Essa trovò modo di esprimersi con virulenza proprio nei primi decenni del secolo XIII, quando tra il 1209 e il 1211 riuscì a sottrarre con la forza al vescovo e ai canonici di Rivalta la chiesa di S. Maria di Becetto in Val Varaita. Questi contrasti per il possesso del « santuario mariano » di Becetto si acutizzarono nuovamente verso la fine del secolo XIII. Ne nacque una lite veemente, nella quale furono coinvolti l'arcivescovo di Milano e il papa, che a quanto pare risolsero la questione in favore di Rivalta

L'ambizioso disegno d'impossessarsi del santuario di Becetto coincise con un altro tentativo, effettuato da Fruttuaria, di attirare nella sfera della sua in­fluenza il monastero di S. Pietro di Savigliano, nonostante che questo mona­stero fino a qualche tempo prima, tra il 1162 e il 1211, avesse strenuamente difeso la sua autonomia contro S. Michele della Chiusa. Il tentativo questa volta riuscì, ma per breve tempo, dal 1250 al 1290 29.

Una politica dunque, quella svolta da Fruttuaria nel secolo XIII, di irraggiamento nel mondo subalpino, che avrebbe dovuto trovare giustifica­zione e conferma nella Cronaca di Fruttuaria, elaborata in modo da diventare uno strumento di propaganda letteraria. Questa politica, a volte attuata con l'uso di metodi spregiudicati a motivo degli interessi che coinvolgeva, fu per­seguita da Fruttuaria anche fuori dell'area subalpina, naturalmente con liti e relativi ricorsi alla Sede Apostolica: nel 1155 per il controllo sull'elezione del prevosto dei SS. Gervasio e Protasio di Cucciago, nel Comasco; nel 1158 per il possesso, a lungo contrastato daí monaci dell'isola di Lerino, della chiesa di S. Giorgio di Savona; negli anni 1163-1182 per i diritti di giurisdizione sul monastero femminile di S. Maria di Rocca delle Donne, nel Monferrato ".

2. Il cieco di Briançon

A differenza della Cronaca di Fruttuaria, redatta con una certa abilità, il racconto del ritrovamento dell'immagine della Consolata tra le rovine di un'antica cappella di S. Andrea per opera del cieco di Briançon è narrato in forme storicamente inaccettabili. La prima notizia sicura di questo ritrova­mento, ma riferito alla sola cappella, è contenuta in una aggiunta di mano del secolo XV del Necrologio di S. Andrea, che mentre documenta l'esistenza di una tradizione ormai consolidata, datata 20 giugno 1104, ricorda come la « me­moria inventionis capelle beate Marie de Consolatione » fu trasferita dal 20 giugno alla domenica immediatamente precedente la festa di S. Giovanni Battista, « ut comodius a christifideles veneretur » 31.

A una redazione più ampia del racconto fa riferimento una lapide marmorea della cappella della Consolata, su cui sarebbe stato trascritto il testo di un'antica pergamena andata smarrita. In realtà la lapide, fatta apporre nel 1595 da Carlo Emanuele I di Savoia e da Caterina d'Austria, riproduce il testo centrale di una pergamena della fine del secolo XVI 32, che non è certamente una relazione sincrona, ma che per lo stile, come appunto osserva il Cibrario, non può riferirsi « ad epoca più rimota del secolo XV » 33". Contiene, anzi, tutta una serie di particolari inesattissimi, cronologicamente molto distanti tra loro, frutto forse di una imperdonabile ignoranza storica o volutamente fatti convergere verso una data, il 20 giugno del 1104, che la tradizione, probabilmente non priva di qualche fondamento, ha posto alle origini del culto alla Consolata.

Fantasiosi e storicamente inesatti si rivelano per esempio, anche al più sprovveduto dei lettori, la descrizione delle invasioni barbariche in Italia, l'abbandono in cui fu lasciata Torino per molti anni, al punto da restare deserta e « sine habitatore », la ricostruzione del monastero di S. Andrea intorno al 1104, che è tuttavia più antica di almeno un secolo m, e più in generale la lugubre cornice di stragi, guerre e rovine che introduce per contrasto la sfolgorante visione del cieco di Briançon, che riacquista la vista a Torino per intercessione della Vergine « Consolatrice ».

Anche l'esistenza di un « convento » a Pozzo Strada, come fu spesso inter­pretato il « locum... qui puteus Stratae dicitur », dove il cieco di Briançon avrebbe avuto un'altra visione prima di giungere a Torino, è attestata più tardi. La chiesa del S. Sepolcro di Pozzo Strada, dedicata alla Vergine Maria e situata lungo la grande strada di Francia nel tratto Torino-Collegno, fu infatti confermata all'abbazia di S. Michele della Chiusa da papa Innocenzo II nel 1134. Qui i canonici regolari dell'Ordine del S. Sepolcro, istituiti a Gerusa­lemme nel 1114, fondarono un monastero con annesso ospedale per i pelle­grini, menzionato per la prima volta nel 1264 35, ma sicuramente più antico.

Inoltre, tra i personaggi di cui si fa menzione nel racconto del 1104 il vescovo Amizone, che da Testona, dove soggiornava, subito accorse a venerare con il popolo torinese l'immagine della Vergine « ritrovata », fu vescovo di Torino cent'anni prima, all'incirca dal 983 al 998. Al suo posto, come correg­gono quasi tutti gli storici del Santuario, avrebbe dovuto trovarsi il vescovo Mainardo 36. Anche la figura del cieco di Briançon, a cui la tradizione ha attri­buito il nome di Giovanni Ravacchio o Ravacchi, ha contorni quanto mai sfu­mati. Nel racconto a noi giunto non ha nome. P semplicemente un « vir quidam ex Brianconio genere nobilissimus ex Ravachiorum familia ». Sembra anzi che la famiglia, a cui egli presumibilmente apparteneva, ci riconduca molto avanti nel tempo, poiché di una famiglia savoiarda di nome Ravache, Ravays o Ravais si hanno notizie solo nel secolo XIV 37". Secondo un'altra ver­ sione, accolta dal Baldessano verso la fine del secolo XVI, il cieco « Ravadio » sarebbe addirittura un torinese « stato molti anni in esilio » 38.

Appare infine strana la confusione dei poteri abbaziali, per cui Lantelmo, abate di Breme negli anni 1312-1326 39", avrebbe nominato priore di S. Andrea non, come sarebbe stato naturale, un monaco della congregazione di Breme, dalla cui giurisdizione la chiesa dipendeva, ma Tommaso Silo, un monaco che, secondo il racconto del 1104, proveniva da S. Solutore di Torino, un'abbazia fondata intorno all'anno Mille dal vescovo Gezone e soggetta direttamente alla giurisdizione della Chiesa torinese 40". Per di più la documentazione ancora reperibile ci assicura che Tommaso fu nominato priore assai prima dell'abba­ziato di Lantelmo. Egli infatti era già defunto nel giugno del 1313, quando priore di S. Andrea, a partire almeno dal 1310, era Francesco Silo, sicuramente imparentato con Tommaso.

Tuttavia, fra questi personaggi, colui che certamente ebbe relazioni con il culto della Consolata fu Tommaso Silo. Egli apparteneva a una delle più note famiglie torinesi, in ottimi rapporti con il capitolo cattedrale e il comune di Torino. La sua figura ha contorni storici ben precisi. Nel 1278 è menzio­nato tra le coerenze di una vigna posta « in Belveier », sul territorio di Sassi; nel 1279 è monaco di S. Andrea e nel 1280 è « monacus et capellanus ». Qualche tempo dopo, intorno al 1289, fu eletto priore e nel 1300 circa, in forza della sua autorità, conferì la chiesa di S. Maria della Motta di Cumiana, che dipendeva da Breme, a Ulrico « de Capraeis » di Rivoli 41. Il Necrologio di S. Andrea registra la sua morte il 15 giugno del 1313, quando ormai non era piùipr ore 42.

Tommaso Silo, sotto il cui priorato si sarebbero svolti i fatti prodigiosi del 1104, ci riporta dunque alla fine del secolo XIII e al principio del secolo seguente. Si aggiunga che la confratria di S. Andrea, menzionata nel 1293, fu forse istituita sotto il suo priorato n e che inoltre le prime notizie relative all'erezione della chiesa in parrocchia 44 e all'esistenza di un monaco di nome Giovanni, « custos capelle beate Marie » 45", incaricato cioè di custodire la cappella della Consolata e di incrementarne la devozione, sono del secolo XIII.

Ma soprattutto si rivela singolare la notizia dell'esistenza, nel secolo XIII, del monaco Giovanni, custode della cappella, deceduto il 24 maggio. Infatti il Necrologio di S. Andrea commemora il 15 maggio di un anno imprecisato, ma di mano del secolo XIV, anche la morte di fra Giovanni di Cavagnolo, « custos capelle beate Marie »; il 25 o 26 febbraio (secolo XV) di un altro Giovanni « clericus », anch'egli « custos capelle beate Marie », e il 4 maggio del 1462 di Giovanni Chiri, monaco di S. Andrea, « sepultus prope capellam Domine Nostre », per il quale si invitano i fedeli a pregare 46. Quantunque i giorni della morte non coincidano — di quasi tutti però è segnalato il decesso nel mese di maggio — e quantunque di Giovanni Chiri si indichi anche l'anno di morte, il 1462 — che tuttavia potrebbe riferirsi alla traslazione della salma —, non è fuori luogo pensare che si tratti sempre del medesimo mo­naco, ricordato con particolare venerazione perché distintosi nella devozione verso la Consolata al punto da meritare di essere sepolto presso la cappella della « Domine Nostre », titolo che ricalca quello francese di « Notre-Dame ». Tutto ciò, a motivo soprattutto della strana omonimia, potrebbe ricollegarci al racconto del ritrovamento dell'immagine della Consolata e al cieco di Briançon, a cui la tradizione ha attribuito il nome di Giovanni (Ravacchio).

Ma al di là di quest'ultima considerazione, che resta nel campo delle pure ipotesi suffragata com'è da fragili indizi, si deve ricordare che il dipinto della Consolata « è una variante del modello bizantino con <la Vergine e il Bambino benedicente' penetrato in area occidentale fin dal secolo XIII »47. E anche se, come scrive Andreina Griseri, l'attuale dipinto si rifà a un'iconografia « deri­vata alla seconda metà del secolo XV » dall'esemplare del secolo XIII conser­vato in Santa Maria del Popolo a Roma 48, l'immagine preesistente della Con­solata non doveva sostanzialmente discostarsi dall'attuale, perché è assai im­probabile che la devozione popolare abbia accettato una trasformazione radicale della Madonna tradizionalmente venerata. Per la devozione popolare è « quell'immagine » che vale, perché miracolosa in se stessa e come tale inso­stituibile.

Quali allora le origini del Santuario della Consolata? I dati fin qui rac­colti 49 suggeriscono l'ipotesi che il culto alla Consolata, sotto l'originario titolo di S. Maria della Consolazione 50, si sia gradatamente sviluppato presso la chiesa parrocchiale di S. Andrea nel corso del secolo XIII o, come vuole la tradizione, forse già nel secolo precedente, e abbia quindi avuto un particolarissimo incre­mento verso la fine del secolo XIII sotto il priorato di Tommaso Silo. A questo periodo, ma registrata più tardi, certamente già nel secolo XV n, si deve pro­babilmente íl diffondersi di una narrazione che tendeva a inserire la Consolata nel clima del miracolo, ricollegando la sua immagine e la cappella dov'era ve­nerata a un ritrovamento prodigioso dovuto al cieco di Briançon. Una narra­zione che sembra avere le caratteristiche di una « versione diocesana » sull'ori­gine della devozione alla Consolata,.contrapposta a quella di ambito monastico narrata nella Cronaca di Fruttuaria e forse condivisa dai monaci di S. Andrea.

I personaggi principali del racconto sono infatti un monaco, Tommaso Silo, la cui famiglia era molto legata agli ambienti cittadini e diocesani, e un vescovo di Torino, subito preoccupato di verificare la straordinarietà dell'avve­nimento e di diffondere fra i torinesi la devozione verso « quell'immagine ritro­vata ». Lo stesso cieco di Briançon si rivela un personaggio « neutrale », che giunge da lontano e dimostra in tal modo di essere estraneo a qualsiasi ambiente, specialmente monastico. Infine, anche la natura del Santuario della Consolata come « santuario cittadino » 52, diventato centro di particolare attenzione da parte dei principi di casa Savoia 53", poteva essere interpretata in concorrenza con un altro luogo di culto mariano, quello che i torinesi e soprattutto i canonici della cattedrale attribuivano a S. Maria « ad Nives » nella chiesa parrocchiale di S. Maria « de Domino ».

Secondo una consuetudine, codificata nel 1328 54, l'altare di S. Maria « ad Nives », così ben radicato nella struttura dell'antica cattedrale torinese formata da tre chiese contigue e comunicanti fra loro, era meta di particolare venera­zione da parte del capitolo cattedrale. Ogni domenica e nelle feste maggiori della Beata Vergine Maria il capitolo dei canonici si portava processionalmente, prima della messa conventuale, dalla chiesa di S. Salvatore all'altare di S. Maria « ad Nives » e se ne tornava — dopo appropriate preghiere alla Vergine —alla chiesa del Salvatore per la messa solenne. La processione si ripeteva tutti i sabati, dopo i Vespri, con grande partecipazione di popolo. Dinanzi alla sua statua stava continuamente accesa per conto del capitolo un grande lampadario. Anche in seguito, nella nuova chiesa cattedrale fatta costruire alla fine del secolo XV dal cardinale Domenico della Rovere, a ricordo di quella antica devozione fu eretta la cappella della Madonna delle Grazie o « ad Nives », dove, come atte­stano mons. Angelo Peruzzi nel 1584 e mons. Carlo Broglia nel 1593, ogni sabato sí celebrava una messa con il canto delle Litanie, presente « maxima populi multitudo ». Si potrebbe allora pensare, in ragione della sua collocazione nell'antica cattedrale torinese, che proprio questa devozione e non il culto alla Consolata, come vorrebbero gli storici del Santuario, si ricolleghi, anche se indirettamente, con la predicazione mariana del primo vescovo di Torino san Massimo 55.

3. I monaci di S. Andrea e la Consolata.

Abbone nel 726 in Val Cenischia, presso Susa 56. Naturalmente si deve subito osservare che prima del secolo XIII nulla sappiamo dell'esistenza di una cap­pella o di una immagine della Consolata nella chiesa di S. Andrea. Tuttavia a questa chiesa, dipendente prima dalla Novalesa e poi da Breme, la Consolata appare intimamente connessa. Si può allora cercare di ricostruire, nel nome di un'antica e specifica tradizione novalicense, « l'atmosfera mariana » che fu cer­tamente all'origine del culto alla Consolata.

Al principio del secolo X, quando i Saraceni, muovendo dalla Provenza, si spinsero nella Valle di Susa e provocarono il crollo della vita monastica nell'abbazia di Novalesa, la miglior prova del vigore che quella tradizione aveva raggiunto fu data dalla sua sopravvivenza dapprima a Torino, nella chiesa di S. Andrea, e poi, dalla metà circa del secolo X, nella nuova sede di S. Pietro di Breme, dove la grande tradizione novalicense ebbe un posto centrale e svolse all'interno di quella congregazione monastica una funzione importante, come fondamento di unità morale fra tutte le chiese dipendenti  57". A quella tradizione e alla sua spiritualità si ricollega anche la devozione mariana fiorita nella chiesa di S. Andrea. Qui, dopo la fuga dalla Novalesa, i monaci furono ospitati ed ottennero dal marchese Adalberto ampie elargizioni, che fecero da raccordo tra l'antica abbazia della Val Cenischia e la sua nuova sede a Breme 58.

Giungendo a Torino, i monaci vi trasportarono le reliquie, le croci pre­ziose, i vasi sacri e i codici superstiti della loro ricchissima biblioteca 59. Ed è molto probabile che fra questi codici, affidati dai monaci a Riculfo, prevosto della cattedrale di Torino, vi fosse anche un'omelia mariana del venerabile Beda. Un frammento di questa omelia « in visitatione beatae Mariae Virginis », ritenuto dagli studiosi del X o dell'XI secolo, è conservato nell'Archivio di Stato di Torino 60". Di una croce d'oro parlano gli antichi inventari della Novalesa 61". Forse si tratta di quella medesima croce in oro e argento, tutta adorna di gemme preziose, che l'abate Frodoino (773-814) fece fare con i tesori da lui radunati e nella quale, come scrisse l'anonimo cronista dell'ab­bazia, « molti dicono si conservassero reliquie gloriosissime » della Vergine Maria 62.

L'abate Bellegrimo, che risiedette a lungo a Torino, dove certamente si trovava nel giugno del 955 63, compose un inno dal titolo « Omnipotentis Dei et Genitoris », che si doveva cantare nella festa dell'Assunta in tutti i luoghi dipendenti da Breme 64". Esso dimostra come il culto a Maria fosse diffuso nella congregazione dei monaci di Breme e come la Vergine fosse solenne­mente onorata nelle feste mariane dell'anno liturgico. Due strofe di questo inno cantano la lode a Cristo, nato dal grembo della Vergine Maria:

Ex patre qui prius es genitus,
Quam mare, terra, polus fieret,
Ipse refusus es ex sinibus Virgineis,
ut homo valeat Nascier arcibus aethereis.
Hunc, bone Christe, diem tribue Supplicibus celebrare tuis,
Quo meruit sacra virgo polos Scandere, c ovans populi
Contio festa dicata colit.

Ed ecco che cosa accadde al vescovo di Vercelli Leone (999-1026), che voleva impadronirsi dell'abbazia di Breme e del vescovato di S. Maria d'Ivrea. Una notte nel sonno gli apparve la Madre di Dio con i capelli quasi in disor­dine e sciolti e con gli occhi pieni di lacrime, insieme a san Pietro, patrono dell'abbazia. Ella si accostò al letto di Leone e gli disse: « Dormi, vescovo? ». Quegli, pieno di timore, le rispose: « Chi sei? ». Ed essa: « Sono Maria, la madre di Dio, salvatore del genere umano ». Ed egli a lei: « Perché sei venuta da me, signora preclara? ». E quella: « Non osare più avanzare pretese sulla mia chiesa d'Ivrea e sulla chiesa bremetense di San Pietro principe degli apo­stoli, se non vuoi incorrere subito in una pessima morte. Per questo siamo venuti, perché, per opera tua, non si compia quest'atto scellerato »66.

L'intensa pietà mariana, intessuta di meraviglie e diffusa dall'abate Belle­grimo in tutti i luoghi dell'abbazia, la protezione materna della Vergine con­tro le macchinazioni del vescovo Leone, le sue apparizioni nel silenzio della notte, che ricordano le visioni di re Arduino e del cieco di Briançon, l'arrivo dei monaci della Novalesa a Torino con lo splendore dei loro riti sono aspetti di una mai interrotta tradizione mariana, viva anche nella chiesa di S. Andrea, che, come narra il cronista, ampliata dal monaco Bruningo e affollata di uomini nobili, già alla fine del secolo X offriva a tutti uno spettacolo solenne 67.

L'anonimo cronista, che scrisse la Cronaca della Novalesa verso la metà del secolo XI, non fa assolutamente cenno all'esistenza di una cappella o di una immagine della Vergine nella chiesa di S. Andrea 68. Tuttavia, senza più riferirci al clima miracoloso della leggenda che, alla maniera di un « giallo », vuole l'immagine della Consolata affidata da san Massimo ai torinesi 69, tra­fugata e nascosta al tempo del vescovo iconoclasta Claudio (816-827) 70, smar­rita e poi nuovamente ritrovata, resta la certezza di una devozione assai viva nell'ambito della congregazione dei monaci novalicensi. t senza dubbio questa la tradizione mariana che lungo i secoli, attraverso le vicende talvolta burra­scose delle abbazie di Novalesa e di Breme, unì il monaco cronista dell'XI secolo al culto della Consolata, fiorito a Torino forse già nel secolo XII o, con più probabilità, nel secolo seguente. Narrando l'episodio del monaco che, mentre ritornava dalla chiesa di S. Maria, incontrò tre vergini sacre, il cro­nista ricorda che è cosa lodevole venerare gli altari della Madre di Dio, poiché « illa cotidie exorat pro peccatis omnium populorum » 71.

NOTE -----------

1 Sul titolo di S. Maria della Consolazione, da cui quello di Consolata, cfr. G. GASCA QUEIRAZZA, La Consola - La Consolata: il titolo caratteristico della devozione alla Madonna in Torino, in « Studi piemontesi », I, fasc. 2 (novembre 1972), pp. 41-63.

2 CALLIGARIS, Un'antica cronaca piemontese inedita, Torino 1889, pp. 120-122. La Cronaca, con una buona introduzione critica, è edita dal CALLIGARIS, op. cit., p. 114 sgg. e, soltanto in parte, da L. CIBRARIO, Storia del santuario della Consolata, Torino 1845, pp. 133-146, e da D. FRANCHETTI, Storia della Consolata con illustrazioni critiche e docu­menti inediti, I, Torino 1904, pp. 122-123, inoltre pp. 116-119.

3 Il racconto del ritrovamento dell'effigie della Consolata, a cui accennano, amplificando, gli storici piemontesi, a cominciare da Filiberto PINGONE nella sua opera Augusta Tauri­norum, pubblicata a Torino nel 1577, è edito con annotazioni critiche dal CIBRARIO, op. cit., pp. 147-154, 181-182, e dal FRANCHETTI, op. cit., pp. 135-137 con i rilievi di pp. 125-130. Essi riproducono una copia pergamenacea della fine del secolo XVI, conservata nell'Archivio di Stato di Torino, Sezione I o di Corte, Regolari « tanto di qua che di là da' Monti », Cistercensi riformati di Torino, mazzo 7, n. 1. Sul materiale documentario per la storia del Santuario, reperibile nei vari archivi torinesi, cfr. G. GENTILE, Docu­mentazione d'archivio per la storia della Consolata, in Gli ex voto della Consolata. Storie di grazia e devozione nel Santuario torinese, Torino 1982, pp. 35-43.

4 CALLIGARIS, op. cit., pp. 91-95.

5 FRANCHETTI, op. cit., pp. 117-118, n. 4.

6 GASCA QUEIRAZZA, op. cit., p. 43.

7 G. ARNALDI, Arduino, re d'Italia, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, pp. 53-60.

8 CALLIGARIS, O. Cit., p. 120.

9 Sulla fondazione dell'abbazia cfr. N. Bulst, Untersuchungen zu den Klosterreformen Wilhelms von Dijon (962-1031), Bonn 1973, pp. 116-117, 223-225.

10 M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, III, doc. 305, pp. 379-382, a. 1014; IV, doc. 305-300 bis, pp. 423-426, 14 maggio 1014; V, 2, doc. 338, pp. 460-462, 18 aprile 1055; VI, 1, docc. 142, pp. 184-185, 1° aprile 1065; 220, pp. 279-280, 23 set­ tembre 1069; 233, pp. 293-294, 15 giugno 1070; X, 2, doc. 267, pp. 74-75, 17 aprile 1159. Nessuna notizia di queste dipendenze anche nel diploma di re Arduino a Fruttuaria del 28 gennaio 1005 (op. cit., III, doc. 9, pp. 711-713).

11 G. FROLA, Cartario di Santa Maria di Belmonte e di San Tomaso di Buzano (1059­1326), in Cartari Minori, 11, Pinerolo 1911 (B.S.S.S. 43), p. 63 sgg.; doc. 11, pp. 79-80, 24 giugno 1197.

12 La prevostura di Rivarotta sarebbe stata fondata da Arduino d'Ivrea nel 1014 (CALLI­GARIS, op. cit., p. 119). Nella bolla di Clemente IV, edita da C. TURLETTI, Storia di Sani­gliano, IV, Savigliano 1879, doc. 112, pp. 145-146, non si menzionano le chiese di Front e di Rivarossa forse per guasto della pergamena. Si veda però I. VIGNONO, G. RAVERA, Il « Liber decimarum » della diocesi di Ivrea (1368-1370), Roma 1970 (Thesaurus ecclesia­rum Italiae, I, 2), pp. 55, 76-77, 77-78, 79, 82. Sulle bolle papali concesse a Fruttuaria cfr. P. F. KEHR, Regesta pontificum Romanorum. Italia pontificia, VI, 2, Berolini 1914, pp. 147-156: le •principali dipendenze di Fruttuaria sono elencate nella bolla di Anastasio IV del 6 aprile 1154 (cfr. MIGNE, P.L., 188, coll. 1051-1052).

13 Notizie sulle chiese fruttuariensi di Rivarossa e di Front, che tuttavia avrebbero bisogno di un riscontro documentario, si trovano in F. A. DELLA CHIESA, S.R.E. cardina­lium, archiepiscoporum, episcoporum et abbatum Pedemontanae regionis chronologica hi­storia, Torino 1645, pp. 264-265, per il quale la chiesa di S. Secondo di Rivarossa (ma si legga S. Maria Maddalena) fu eretta in priorato nel 1058 circa dall'abate Alberto II, men­tre quella di S. Maria Maddalena di Front fu sottomessa a Fruttuaria nel 1196 dal vescovo d'Ivrea « Gaido ». A quest'ultima donazione fa riferimento anche G. SAROGLIA, Memorie storiche sulla Chiesa d'Ivrea, Ivrea 1881, p. 57. Si noti però che, stando alla Cronaca di Fruttuaria, Alberto fu eletto abate il 27 settembre del 1061 e che inoltre nel 1196 vescovo di Ivrea era Guido e non « Gaido » (dr. F. SAVIO, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni. Il Piemonte, Torino 1899, p. 201, n. 1, per l'abate Alberto; pp. 207-208 per il vescovo Guido II). Infine, sul titolo di S. Secondo, attribuito alla chiesa di Rivarossa, si deve osservare che nella diocesi di- Asti tra le dipendenze di Fruttuaria vi era una « ecclesia Sancti Secundi de Turre Rubea » (TURLETTI, op. cit., IV, doc. 112, p. 145, a. 1265).

14 G. TABACCO, Dalla Novalesa a S. Michele della Chiusa, in Monasteri in alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII), Torino 1966, p. 492 e n. 47-48. La donazione di S. Andrea alla Novalesa, fatta dal marchese Adalberto, è narrata nel Chroni­con Novaliciense, edito da C. CIPOLLA, Monumenta Novaliciensia vetustiora, II, Roma 1901 (Fonti per la storia d'Italia, 32), lib. V, cap. 5, p. 247; cfr. anche G. C. ALESSIO, Cronaca di Novalesa, Torino 1983, pp. 258-259, che pubblica il Chronicon con a fronte la traduzione in lingua italiana. Sull'anno della donazione, il 914 circa, cfr. E. HLAWITSCHKA, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien (774-962), Freiburg im Breisgau 1960 (Forschungen zur oberrheinischen Landesgeschichte, VIII), p. 102. La no­tizia della donazione di una torre in Torino si trova in una conferma di re Ugo del 24 luglio 929; cfr. L. SCHIAPARELLI, I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, Roma 1924 (Fonti per la storia d'Italia, 38), doc. 21, pp. 63-65; L. C. BOLLEA, Cartario della abazia di Breme, Torino 1933 (B.S.S.S. 127), doc. 5, p. 7; si veda anche il documento del 28 febbraio 929, attribuito al marchese Adalberto, ma di discussa auten­ticità, in cui tra le altre cose si legge: « ubi nunc cellam monachorum esse videtur, olim pertinens monasterio Sancti Petri et Andree siti Novalicio » (SCHIAPARELLI, I diplomi di Ugo cit., doc. 19, pp. 51-54; BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 4, pp. 3-5; per l'autenticità del documento cfr. G. FASOLI, Adalberto, in Dizionario biografico degli Italiani, I, Roma 1960, pp. 217-218).

15 A. MOTTA, Vezzolano e Albugnano, Milano 1933 2, pp. 107-109, 109-110; A. A. SETTIA, Santa Maria di Vezzolano. Una fondazione signorile nell'età della riforma ecclesia­stica, Torino 1975 (B.S.S. 198), pp. 41, 151, 188-189, 204, 205. La chiesa di S. Eustorgio, a est di Serralunga di Crea (Alessandria), nel 1317 fu concessa ai canonici di Vezzolano dal vescovo di Vercelli e quindi, nel 1334, unita al priorato di S. Maria di Crea. Questa chiesa non va confusa con S. Pietro di Serralunga d'Alba, che dipendeva da Fruttuaria (TURLETTI, op. cit., IV, doc. 112, p. 145, a. 1265). A Serralunga d'Alba, luogo che com­pare per la prima volta nel diploma imperiale del 1014 (cfr. sopra, n. 10), Fruttuaria pos­sedeva anche la chiesa di S. Benigno, per la quale cfr. E. MILANO, Il «Rigestum comunis Albe », Pinerolo 1903 (B.S.S.S. 21), doc. 252, pp. 15-17, 14 luglio 1224. G. CASALIS, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il re di Sardegna, XIX, Torino 1849, pp. 889-890, ricorda l'esistenza di un'antica chiesa parrocchiale di S. Benigno, poi « ridotta ad uso di confraternita », ma a p. 891 attribuisce a Serralunga di Crea, invece che a Serralunga d'Alba, una convenzione del 2 giugno 1175 tra il marchese di Saluzzo e l'abate di Fruttuaria (cfr. L. VIOLA, L'abbazia di Fruttuaria e il comune di S. Benigno, Ivrea 1981, p. 123). Sui rappori intercorsi fra Crea, Belmonte e la Consolata cfr. D. ARCOURT, Historica notitia della miracolosa imagine della Madonna Santissima della Consolata, Torino 1704, pp. 8, 9-10, 14-15, che però fonda le sue notizie sulla discussa Cronaca di Fruttuaria e su quanto già prima avevano dedotto gli storici piemontesi come il Pingone, il Baldessano, il Tesauro e altri.

16 M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, III, doc. 305, p. 381; IV, doc. 305-300 bis, p. 425. Oltre che in città, Fruttuaria aveva beni nell'area prediale prossima alla Stura (« in Vicilino », « prope Callona de Pagano Becco », « desuper Maoneriam » e « in Valle »). Nel maggio del 1199 questi beni furono permutati con altri posseduti nel territorio di Settimo Torinese dal monastero vallombrosiano di S. Giacomo di Stura. Fruttuaria aveva terre anche « in Padisio », al di là del Po, sulla collina, presso l'odierna regione del Fioccardo. Sull'esistenza di questi beni cfr. F. GABOTTO, G. B. BARBERIS, Le carte dell'Archivio arcivescovile di Torino fino al 1310, Pinerolo 1906 (B.S.S.S. 36), docc. 27, p. 36, 2 giugno 1162; 114, p. 112, 28 maggio 1199; 142, pp. 150-151, 28 marzo 1208; G. BORGHEZIO, C. FASOLA, Le carte dell'Archivio del Duomo di Torino (904-1300, con appendice di carte scelte 1301-1433), Torino 1931 (B.S.S.S. 106), doc. 97, p. 196, tra 1306 e 1334. Per « Padisium » cfr. A. A. SETTIA, Insediamenti abbandonati sulla col­lina torinese, in « Archeologia medievale », 2 (1975), pp. 263-264.

17 G. DE MARCHI, Documenti dei sec. XI e XII del monastero Sancti Petri puellarum de Taurino, in « Bollettino storico-bibliografico subalpino », 43 (1941), doc. 1, p. 96, 21 agosto 1058; inoltre BORGHEZIO, FASOLA, Le carte dell'Archivio del Duomo cit., doc. 8, p. 17, 31 luglio 1080: « prope ecclesiam Sancti Benigni »; F. COGNASSO, Cartario del­l'abazia di San Solutore di Torino (1006-1303), Pinerolo 1908 (B.S.S.S. 44), doc. 58, p. 81, 9 settembre 1196: « in Taurino in porticu Sancti Benigni » e tra i testi « presbiter Rodulfus »; G. SELLA, Cartario del monastero di Santa Maria di Brione fino all'anno 1300, Pínerolo 1913 (B.S.S.S. 67), doc. 6, p. 6, 26 novembre 1200: « prope ecclesiam Sancti Benigni ».

18 L. CIBRARIO, Storia di Torino, II, Torino 1846, pp. '166-167; L. TAMBURINI, Le chiese di Torino dal rinascimento al barocco, Torino s.d., pp. 375-376, n. 3; M. GROSSO, M. F. MELLANO, La controriforma nella arcidiocesi di Torino (1558-1610), Città del Vati­cano 1957, I, p. 156; III, p. 287.

19 COGNASSO, Cartario dell'abazia di S. Solutore cit., doc. 21 in appendice, p. 302,  14 o 15 luglio 1244: « in parochia Sancti Benigni »; G. B. ROSSANO, Cartario della prevostura poi abazia di Rivalta Piemonte fino al 1300, Pinerolo 1912 (B.S.S.S. 68), doc. 159, p. 181, 30 gennaio 1266: « in domo Sancti Beligni ». Per il suo distretto parrocchiale cfr. Forma urbana ed architettura nella Torino barocca, a cura dell'Istituto di architettura tecnica del Politecnico, I, 1, Torino 1968, pp. 244 (nn. 419, 575, a. 1363: Porta Pusterla), 245 (n. 7, a. 1436: Porta Doranea), 249 (nn. 199, 237, 260, a. 1523: « in plathea civitatis Thaurini in quarterio Dorane et in parochia Sancti Baligni »), 253 (n. 298, a. 1523: Porta Pusterla), 530 (n. 3, a. 1436: Porta Nuova); soprattutto cfr. pp. 529-532, dove dai nn. 565, 574, 439 di p. 530 e dai richiami documentari di p. 531 risulta che la chiesa si tro­vava nel quartiere di Porta Pusterla e non, come spesso si legge, nel quartiere di Porta Doranea.

20 TURLETTI, op. cit., IV, doc. 112, p. 145, a. 1265: bolla di conferma di Clemente IV; G. CASIRAGHI, La diocesi di Torino nel Medioevo, Torino 1979 (B.S.S. 196), pp. 20, 193: cattedratico del 1386.

21 T. Chiuso, Saggio di antichi documenti dell'Archivio arcivescovile di Torino, in « Miscellanea di storia italiana », XVIII (serie II, tomo II), Torino 1879, pp. 487-488.

22 SAVIO, op. cit., pp. 195-197, 337-338. Altri riferimenti circa i rapporti di Fruttuaria con la Chiesa torinese si trovano alle pp. 330 (Gontardo, arcidiacono) e 354 (papa Pa­squale II il 13 marzo 1110 confermava a Fruttuaria metà di Villanova Solaro per inte­ressamento del vescovo Mainardo); cfr. KEFIR, Italia pontificia cit., VI, 2, pp. 148, 149, 153; inoltre C. MANARESI, I placiti del regnum Italiae, III, 1, Roma 1960 (Fonti per la storia d'Italia, 97), doc. 416, pp. 270-275: in un placito a favore di Fruttuaria, presieduto dal marchese di Torino Pietro, è presente il vescovo Cuniberto (31 luglio 1064).

23 Cfr. sopra, n. 16, 17, 19.

24 CALLIGARIS, op. cit., p. 122: « Capellae Beatae Mariae et monachis eiusdem eccle­siae plura dona tribuit ».

25 Cfr. sopra, n. 14.

26 MOTTA, op. cit., pp. 124-128, ma cfr. SETTIA, Santa Maria di Vezzolano cit., pp. 149-151.

27 Oltre all'opera già citata di N. BULST (sopra, n. 9), cfr. G. PENCO, Le « Consuetu­dines Fructuarienses », in Monasteri in alta Italia cit. (sopra, n. 14), pp. 137-155; In., Il movimento di Fruttuaria e la riforma gregoriana, in Il monachesimo e la riforma ecclesia­stica (1049-1122) (Atti della quarta Settimana internazionale di studio - Mendola, 23-29 ago­sto 1968), Milano 1971, pp. 385-398; G. PICASSO, Fruttuaria, in Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastique, Paris 1979, coli. 246-251; In., Fruttuaria e Fruttuaria, con­gregazione benedettina di, in Dizionario degli Istituti di perfezione, IV, Roma 1977, coli. 982-983.

28 Sulla lite tra Fruttuaria e Rivalta per il possesso del Santuario di Becetto cfr. E. DAO, La Chiesa nel Saluzzese fino alla costituzione della diocesi di Saluzzo (1511), Saluzzo 1965, pp. 56-57.

29 TURLETTI, op. cit., II, pp. 138-140; IV, docc. 91, p. 94, 16 luglio 1250; 94, p. 105, 10 febbraio 1251; 112, p. 145, 7 luglio 1265; 115, p. 164, 14 giugno 1268; 125, p. 183, 15 marzo 1274; 132, pp. 208-211, 28 settembre 1290. Sui rapporti di S. Michele della Chiusa con il monastero di Savigliano cfr. TABACCO, op. cit., pp. 522-523; G. CASIRAGHI, L'organizzazione ecclesiastica di S. Michele della Chiusa nella diocesi di Torino (sec. XI-XIV), in « Bollettino storico-bibliografico subalpino », 85 (1987), pp. 105, 110-111.

30 KEHR, Italia pontificia cit., VI, 2, pp. 154, 155-156. Notizie sul monastero di Rocca delle Donne in N. M. CUNIBERTI, I monasteri del Piemonte e i principali d'Italia, Chieri 1975, pp. 421-423.

31 CIPOLLA, Monumenta Novaliciensia cit., I, p. 343; BOLLEA, Cartario dell'abazia di Brama cit., doc. 38, p. 49.

32 Cfr. sopra, n. 3; inoltre CIBRARIO, Storia del santuario cit., pp. 105-106; FRANCHETTI, op. cit., pp. 128-129.

33 CIBRARIO, Storia del santuario cit., p. 151, n. 1.

34 La « cella » di S. Andrea è già menzionata nel 929 (cfr. sopra, n. 14), ma il rac­conto sembra riferirsi alla ricostruzione della chiesa sul finire del secolo X per opera del monaco Bruningo; cfr. CIPOLLA, Monumenta Novaliciensia cit., II, lib. V, cap. 26, p. 267; BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 23, pp. 26-27; « et strueret absidam Sancti Andree, que tunc parva habebatur ». Il Necrologio di S. Andrea ricorda la « depositio domai Bruningi prepositi huius cenobii atque constructoris » (op. cit., doc. 38, p. 46; CIPOLLA, Monumenta cit., I, p. 315).

35 CASIRAGHI, L'organizzazione ecclesiastica di S. Michele cit., pp. 83, 91, 97-98; E. OLIVERO, Architettura religiosa preromanica e romanica nell'archidiocesi di Torino, Torino 1941, pp. 336-341; TAMBURINI, op. cit. (sopra, n. 18), pp. 421-425. Per l'ospedale e la dedicazione della chiesa a S. Maria cfr. BORGHEZIO, FASOLA, Le carte dell'Archivio del Duomo cit., doc. 68, pp. 121, 122, 21 maggio 1264.

36 Cfr. SAVIO, op. cit. (sopra, n. 13), pp. 330-335, 353-355; G. SCHWARTZ, Die Be­setzung der Bistumer Reichsitalien unter den siichsischen und salischen Kaisern, Leipzig Berlin 1913, pp. 130, 133-134.

37 FRANCHETTI, op. cit., pp. 126-127; P. BUSCALIONI, La Consolata nella storia di Torino, del Piemonte e della Augusta Dinastia Sabauda, Torino 1938, p. 99, n. 1.

38 Il riferimento al Baldessano si trova in CIBRARIO, Storia del santuario cit., p. 18, n. 2. Il cieco di Briançon è detto « Ravadio » anche in PINGONE, op. cit. (sopra, n. 3), p. 28. Sulla sua famiglia « di origine francese oppure oriunda italiana stabilitasi in Francia per vicende politiche », più tardi trapiantata a San Maurizio Canavese « e poi, per ragioni d'impieghi, a Torino » (!), cfr. Storia del Santuario della Consolata in Torino, a cura della Direzione del Santuario, Torino 1904, p. 53.

39 BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., docc. 237, pp. 302-304, 4 ottobre 1312; 256, pp. 337-339, 31 maggio 1326.

40 COGNASSO, Cartario dell'abazia di S. Solutore cit. (sopra, n. 17), doc. 1, pp. 1-5, a. 1006 circa; inoltre, per íl suo carattere « di stretta sudditanza verso l'episcopio tori­nese », cfr. p. XIII.

41 BORGHEZIO, FASOLA, Le carte dell'Archivio del Duomo cit., doc. 81, p. 157, 26 settembre 1278; BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 221, p. 286, 31 ottobre 1289; GABOTTO, BARBERIS, Le carte dell'Archivio arcivescovile cit., doc. 260, p. 273, copia preceduta da attestazione del 24 marzo 1279; 317-318, pp. 347, 351, 352, 27 agosto 1290; F. COGNASSO, Documenti inediti e sparsi sulla storia di Torino, Pinerolo 1914 (B.S.S.S. 65), doc. 307, p. 316, 18 aprile 1280; F. GABOTTO, Cartario di Pinerolo fino all'anno 1300, Pinerolo 1899 (B.S.S.S. 2), doc. 187, p. 291, prima del 1300. Sulla dipendenza di S. Maria della Motta cfr. BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 98, p. 130, 9 febbraio 1152.

42 CIPOLLA, Monumento Novaliciensia cit., I, p. 342; BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., docc. 38, p. 49; 239, p. 307: « Obiit Thomas Silus, condam prior huius do­mus » (cfr. più avanti, n. 53).

43 F. Gasano, F. GUASCO DI BISIO, G. PEYrANI ecc., Carte varie a supplemento e complemento dei volumi... della Biblioteca della Società storica subalpina, Pinerolo 1916 (B.S.S.S. 86), doc. 196, pp. 261-262, 6 settembre 1293: priori della confratria erano Oberto Pellizzone e Mino Amedeo.

44 COGNASSO, Documenti inediti e sparsi eit., docc. 103, p. 96, 1° dicembre 1221; 229, p. 228, 28 luglio 1252; 258, p. 252, 17 ottobre 1256; GABOTTO, GUASCO DI BISIO, PEYRANI, ecc., Carte varie a supplemento cit., doc. 196, p. 261, 6 settembre 1293. La parrocchia di S. Andrea aveva giurisdizione su alcuni isolati posti a nord-ovest della città, nel quar­tiere di Porta Pusterla; cfr. Forma urbana cít. (sopra, n. 19), I, 1, pp. 245 (n. 600), 252 (n. 125), 529 (n. 511) ecc.

45 CIPOLLA, Monumento Novaliciensia cit., I, p. 338; BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 38, p. 49.

46 CIPOLLA, Monumento Novaliciensia cit., pp. 337, 324, 335; BOLLEA, Cartario del­l'abazia di Breme cit., doc. 38, p. 49. Nel Necrologio, scritto da più mani, è però difficile precisare la data di morte.

47 A. GRISERI, La Consolata a Torino: un Santuario nella città, in Gli ex voto della Consolata cit. (sopra, n. 3), p. 18.

48 A. GRISERI, Tradizione e realtà storica: una nuova ipotesi per l'immagine della Consolata, in Gli ex voto della Consolata cit., p. 24. La Griseri, formulando una nuova ipotesi sull'attuale quadro della Consolata, lo fa risalire alla seconda metà del secolo XV, forse portato da Roma a Torino dal cardinale Domenico della Rovere. Prima, sempre secondo la Griseri, doveva trovarsi a Torino una « statua » della Vergine, oggetto già di grande venerazione (op. cit., pp. 23-26).

49 A questi dati si potrebbe aggiungere quanto scrive l'ARCOURT, op. cit. (sopra, n. 15), p. 197, che cioè papa Onorio III (1216-1227) avrebbe concesso indulgenze ai visitatori del Santuario, ma la notizia è da verificare. Infatti L'ARCOURT alle pp. 193, 195 e 197 ricorda due bolle di Sisto V (1585-1590): la prima del 13 novembre 1587, la seconda del 9 otto­bre 15S7 (sic), in cui si accennerebbe a indulgenze concesse da Onorio III e da Boni­facio IX (1389-1404) alla chiesa della Consolata. Tuttavia poiché a p. 152 scrive che Onorio III e Bonifacio IX concessero indulgenze « à S. Spirito », ossia all'arciospedale del S. Spi­rito, membro della Confraternita di S. Bernardo di Roma, si può pensare che l'Arcourt abbia esteso alla Consolata indulgenze concesse ad altri membri della Confraternita di S. Bernardo, fondandosi su una bolla di Sisto V del 1587 (a p. 146 ricorda questa bolla ma con la data 9 ottobre 1527!). Secondo G. B. GHIRARDI, Il Santuario della Consolata in Torino, Torino 1877, p. 309, seguito in questo dall'anonima Storia della Consolata cit. (sopra, n. 38), p. 260, ai papi Onorio III e Bonifacio IX si fa riferimento in una bolla di Sisto V del 9 ottobre 1557 (!). Il FRANCHETTI, op. cit., p. 161, rinviando all'Arcourt, scrive che papa Bonifacio IX confermava ai visitatori del Santuario tutte le indulgenze con­cesse da Onorio III, ma mentre menziona due bolle di Sisto V del 13 e del 19 novembre 1587, non ricorda quella del 9 ottobre (op. cit., pp. 216-217).

50 Cfr. sopra, n. 1.

51 Cfr. sopra, n. 31.

52 GRISERI, La Consolata a Torino cit., pp. 17-22; F. BOLGIANI, Santuario, ex voto e cultura « popolare », in Gli ex voto della Consolata cit., pp. 50-54. 

FRANCHETTI, op. cit. (sopra, n. 2), p. 139 sgg.; GASCA QUEIRAZZA, op. cit. (sopra, n. 1), p. 53 sgg. Intrecciata « così strettamente colle gloriosissime vicende della Real Casa di Savoia e del Piemonte » è l'opera di Pietro Buscalioni (cfr. sopra, n. 37). La prima donazione da parte di un principe di casa Savoia, il conte Amedeo V, è del 2 aprile 1315. Egli dava al priore Francesco Silo, probabilmente succeduto a Tommaso, suo parente, tre marche d'argento per fare un calice destinato all'altare di S. Maria « de Consolatione » (BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 243, p. 314, 2 aprile 1315). Su Francesco Silo in buoni rapporti con Amedeo V di Savoia cfr. op. cit., docc. 241-242, pp. 309-313, 7 e 10 marzo 1315; per l'inizio del suo priorato doc. 144, p. 185, copia del 3 aprile 1310. Si noti invece come nel 1326 il priorato di S. Andrea fosse in lite con il capitolo della cattedrale per il diritto di decima su alcune terre site « in fine Taurini loco ubi dicitur in Valle Dohc » (op. cit., docc. 255-256, pp. 333-339, 20 e 31 maggio 1326).

54 BORGHEZIO, FASOLA, Le carte dell'Archivio del Duomo cit., doc. 101, pp. 214-215, 26 febbraio 1328; inoltre F. RONDOLINO, Il Duomo di Torino illustrato, Torino 1898 (ri­stampa anastatica Torino 1982), pp. 45-46, 193-194; S. SOLERO, Il Duomo di Torino e la R. Cappella della Sindone, Pinerolo 1956, pp. 28-30, 70.

55 Grosso, MELLANO, op. cit. (sopra, n. 18), II, p. 51; III, p. 205. Sulla predicazione mariana di san Massimo cfr. F. GALLESIO, Presenza di Maria SS. nei Sermoni di S. Mas­simo di Torino, in « Rivista diocesana torinese », LXV, 2 (febbraio 1988), pp. 245-249.

56 TABACCO, op. cit. (sopra, n. 14), pp. 481-484.

57 Op. cit., pp. 499-500.

58 Per la documentazione, oltre alla n. 14, cfr. BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., docc. 1-17, pp. 1-23, a. 929-972.

59 Cfr. TABACCO, op. cit., pp. 488, 492; ALESSIO, Cronaca cit. (sopra, n. 14), lib. IV, frani. 20, 23, 25, pp. 236-237, 240-241, 242-243. Per comodità del lettore d'ora in poi cite­remo il Chronicon della Novalesa nell'edizione curata dall'Alessio.

60 C. SEGRE MONTEL, Antiche biblioteche e codici miniati in valle di Susa, in Valle di Susa arte e storia dall'XI al XVIII secolo, a cura di G. ROMANO, Torino 1977, p. 225; n. 6.

61 C. CIPOLLA, Ricerche sull'antica biblioteca del monastero della Novalesa, Torino 1894, p. 138.

62 Secondo il racconto del cronista, la croce conteneva reliquie del latte della beatis­sima Maria, dei suoi capelli e della circoncisione del Signore (ALESSIO, Cronaca cit., lib. III, cap. 16, pp. 160-163).

63 BOLLEA, Cartario dell'abazia di Breme cit., doc. 12, pp. 13-15, giugno 955.

64 ALESSIO, Cronaca cit., lib. V, cap. 6, pp. 260-261. Un inno « Omnipotens Deus et genitor », da cantarsi appunto nella festa dell'Assunta, fu trascritto da una mano del se­colo XI-XII su un codice del secolo IX (op. cit., p. 261, n. 2). pubblicato in Analecta Hymnica, LI, pp. 147-148.

65 ALESSIO, Cronaca cit., lib. V, cap. 44, pp. 304-307; cap. 47, pp. 308-309. La chiesa, designata come « Sancta Maria ad radicem montis », ora ridotta a casa colonica, si trovava a Novalesa nella borgata di S. Maria (cfr. N. BARTOLOMASI, Valsusa antica, II, Pinerolo 1985, fotografie e didascalie n. 59 e 60).

66 ALESSIO, Cronaca cit., lib. V, cap. 36, pp. 298-301. Sull'episcopato vercellese di Leone cfr. SAVIO, op. cit. (sopra, n. 13), pp. 463-465.

67 Cfr. sopra, n. 34; inoltre ALESSIO, Cronaca cit., lib. V, cap. 26, pp. 286-289.

68 Sulla data di composizione del Chronicon Novaliciense cfr. TABACCO, op. cit., p. 488; ALESSIO, Cronaca cit., p. XLI sgg. Si noti per esempio come Gezone, l'abate che ordinò a Bruningo di ampliare la chiesa di S. Andrea, liberò miracolosamente un uomo cerchiato di ferro alle gambe e alle braccia, incontrato presso le mura della città di Torino « in an­gulo sancti Andree », senza tuttavia invocare l'intercessione della Vergine Maria (op. cit., lib. V, cap. 31, pp. 292-295).

69 È sufficiente qui ricordare quanto scrive A. Bo, La più cara, la più misteriosa. Santuario della Consolata, in Archivi di pietra. Nelle chiese di Torino gli uomini, la storia, le arti, Assessorato ai servizi demografici della città di Torino, Torino 1988, p. 105: « Al primo vescovo di Torino fra la fine del IV e l'inizio del V secolo si vorrebbe fare risalire il culto mariano nella chiesa di Sant'Andrea, poi incorporata nell'attuale Santuario, co­struita ai suoi tempi. Non ne mancano i presupposti, però non comprovabili ». Si veda inoltre, alle pp. 106-107, il tentativo di far concordare le varie tradizioni sull'origine della devozione mariana nel Santuario della Consolata: tentativo che fa uso di supposizioni assai poco fondate criticamente. Alle pp. 119-120 si può leggere la trascrizione della lapide che ricorda il miracolo del cieco di Briançon, oggi visibile sulla parete sinistra del corridoio che fiancheggia la sacrestia e conduce alla galleria degli ex voto. Difficoltà nel far concor­dare le tradizioni relative al Santuario della Consolata si notano anche in L. BORELLO, La Consolata: un santuario, una città, Torino 1988, pp. 11-15, che, oltretutto, sembra con­dividere l'ipotesi degli «storici più antichi », secondo i quali l'icona della Consolata sarebbe « opera di San Luca, portata ín Piemonte da Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli, andata dispersa in seguito alla guerra iconoclasta ». E subito, a riprova della tradizione arduinica, aggiunge: « Le statue di -Crea e di Belmonte sono anch'esse legate a questa tradizione: ecco un punto che riporta alla visione d'Arduino » (p. 13). Tuttavia mi pare interessante l'aver rilevato che una « comune area geografica » ricollega l'abbazia della Novalesa al cieco di Briançon e che proprio a quest'area geografica si debba forse « riportare l'origine del culto della Consolata » (p. 13).

70 CIBRArIO, Storia del santuario cit., p. 13; FRANCHETTI, op. cit., pp. 82, 92-95, 108; BUSCALIONI, op. cit., pp. 34-42. Sulla figura del vescovo Claudio cfr. SAVIO, op. cit., pp. 301-319; G. SERBI, Claudio, in Dizionario biografico degli Italiani, XXVI, Roma 1982, pp. 158-161.

71 ALESSIO, Cronaca cit., lib. V, cap. 47, p. 308. 

 

Ultima modifica il Martedì, 08 Febbraio 2022 16:33
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