San Giuseppe, custode del mistero

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Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto

L’otto dicembre 1870, nel giorno «sacro all'Immacolata Vergine Madre di Dio e Sposa del castissimo Giuseppe» e in un anno «di tempi tristissimi la stessa Chiesa, da ogni parte attaccata da nemici» Pio IX proclamò San Giuseppe patrono della Chiesa Universale: «Nella stessa maniera che Dio aveva costituito quel Giuseppe, procreato dal patriarca Giacobbe, soprintendente a tutta la terra d'Egitto, per serbare i frumenti al popolo, così, imminendo la pienezza dei tempi, essendo per mandare sulla terra il suo Figlio Unigenito Salvatore del mondo, scelse un altro Giuseppe, di cui quello era figura, e lo fece Signore e Principe della casa e possessione sua e lo elesse Custode dei precipui suoi tesori»[1].

San Giuseppe è sempre stato nel cuore della Chiesa. Ricordiamo alcuni passaggi esemplari del Magistero recente. Pio XII lo ha proclamato Patrono degli operai e degli artigiani: «l'umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S. Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie»[2].

Giovanni XXIII lo ha inserito nel Canone Romano e gli ha affidato il Concilio Vaticano II. Giovanni Paolo II ha dedicato a San Giuseppe l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos (15 agosto 1989), emanata proprio un secolo dopo l’enciclica di Papa Leone XIII Quamquam Pluries (15 agosto 1889). Benedetto XVI, battezzato nel nome di Giuseppe, ha dedicato a San Giuseppe riflessioni profondissime. Ricordiamo, per esempio, le parole pronunciate durante l’Avvento del 2005:

«Lasciamoci "contagiare" dal silenzio di san Giuseppe» quel silenzio in cui risuona « la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza[3]».

Ed anche la bellissima catechesi del 18 marzo 2009, in cui Benedetto XVI ricorda come «La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa.   Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa»[4].

Gli artisti cristiani hanno spesso tentato di rappresentare la vita di San Giuseppe, trascorsa nell’accoglimento del mistero. Caravaggio dedica una bellissima riflessione su San Giuseppe, nella tela Riposo durante la fuga in Egitto, conservata nella Galleria Doria Pamphilij di Roma. Caravaggio mette a tema il lungo viaggio verso l’Egitto intrapreso dalla Santa Famiglia per sfuggire al complotto di Erode il Grande, drammaticamente concluso con la strage degli innocenti di Betlemme.

La tela appartiene al primo periodo romano di Caravaggio[5], in quanto fu commissionata con molta probabilità da Donna Olimpia Aldobrandini tra il 1595 e il 1596; passò poi al cardinale Pietro Aldobrandini, fratello di donna Olimpia, e poi a sua nipote Olimpia che nel 1647 la portò in dote nel matrimonio con il principe Camillo Pamphilij, il quale la inserì, insieme ad altre opere di Caravaggio, nella grande quadreria di famiglia, dove possiamo tuttora ammirarla.

La fonte che ha ispirato Caravaggio è naturalmente il Vangelo: «I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13).

Caravaggio sceglie di dipingere Giuseppe, Maria e il Bambino non durante il loro cammino, ma in un momento di sosta. Il riposo della Santa Famiglia viene ambientato in un paesaggio molto significativo: lungo il corso di un fiume o forse nei pressi di un’oasi lungo il tratturo irregolare di una via di comunicazione, che porta le carovane dalla Palestina fin verso la terra del Nilo. Guardando verso destra, nel lato dove si scorge l’orizzonte, si avverte che ormai sta per sorgere il sole. Maria e il bambino riposano sul limitare della strada, attorniati da piante dotate tutte di significato simbolico.

Per esempio scorgiamo un ramo di alloro, che allude alla perenne verginità di Maria, mentre la canna e le spine dei rovi sono segno della passione di Gesù; l’intreccio del cardo, ovvero il sylibum marianum, con il tasso barbasso, ovvero il verbascum thapsus, appare particolarmente significativo, perché il tasso barbasso è simbolo di resurrezione mentre il cardo è proprio narrativo della fuga in Egitto, infatti, fin dai tempi più antichi del Cristianesimo, si sono interpretate le sue macchie bianche come gocce di latte perse da Maria nella fuga.

Caravaggio, come abbiamo visto nel precedente articolo, riesce a fare proprio il linguaggio iconografico che affonda le proprie radici allegoriche e simboliche nella botanica medievale, interpretandolo in modo nuovo e innovativo[6]. Tutto appare estremamente naturale e domestico. Caravaggio si ispira, infatti, alle Sacre Rappresentazioni, ma anche agli insegnamenti retorici propri dell’ambiente gesuitico romano. Il risultato è una scena efficace che riesce a commuovere e a fare meditare.

La profondità del dipinto risiede anche nella consapevolezza teologica che riesce a mostrare. Infatti, Caravaggio riesce a far intendere che quella famiglia, modello di ogni famiglia, è illuminata da una luce particolare. Il Bambino che riposa tra le braccia della mamma è infatti Dio, e proprio la fuga in Egitto richiama la profezia della venuta del Messia, come il Vangelo di Matteo chiaramente racconta: «Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”» (Mt 2, 14). La fuga indica la continuità tra l’Antica e la Nuova Alleanza e il compimento delle antiche profezie.

L’ambientazione naturalistica che abbiamo già analizzato va letta proprio in questa prospettiva. Per comprendere meglio possiamo fare riferimento a un padre della Chiesa che spesso è una fonte capace di illuminare la produzione artistica di Caravaggio: sant’Agostino. Egli, in uno dei suoi discorsi, insegna: «Si eleverà come un virgulto e come una radice in terra assetata [...] non aveva bellezza. Si mostrava uomo, mentre era Dio; ma era come una radice, la quale non è bella anche se nel suo interno ha la forza della sua bellezza [...]

Quando guardi un albero, prospero, verdeggiante per le foglie, ferace di frutti, lo esalti. Ti piace staccare qualcuno dei suoi frutti, sederti alla sua ombra e ristorarti dal caldo: lodi questo complesso di bellezze. Se ti si mostrasse la radice, non vi troveresti alcuna bellezza. Non disprezzare ciò che è privo di appariscenza: da lì ha tratto origine tutto ciò che ammiri. Come radice in terra assetata. Guarda ora lo splendore dell’albero (...) È cresciuta la Chiesa [...] Ecco, qui non c’è bellezza, ma nella Chiesa rifulge la gloria della radice».

Il Bambino è “come radice in terra assetata”, da cui cresce l’albero della Chiesa, in cui rifulge la gloria di Gesù. Anche l’abbraccio di Maria al Bambino si rivela ancora più significativo se letto alla luce delle riflessioni dei Padri della Chiesa, come, per esempio, Cromazio di Aquileia che, commentando il vangelo di Matteo, in modo poetico e profondo, scrive: «Il profeta, molto tempo prima, aveva però da parte sua già anticipato l’annunzio che Gesù sarebbe sceso in Egitto, allorché profetizzò: Ecco il Signore cavalca una nube leggera ed entrerà in Egitto.

Con quest’espressione è stato da parte sua annunciato chiaramente il mistero dell’incarnazione del Signore». Si comprende allora che Maria che stringe il Bimbo, assopita e con la testa reclinata, è la nube leggera che avvolge il Signore, perché ella è il tabernacolo che lo contiene e che nel viaggio verso l’Egitto lo custodisce, avvolgendolo di materno amore e tenerezza infinita.

Particolarmente importante è la bella figura di Giuseppe. Infatti, mentre Maria e Gesù sono rappresentati addormentati, Giuseppe viene dipinto sveglio, nell’atto di sorreggere con le mani uno spartito musicale per un bellissimo angelo musicante. Egli è stanco, ma veglia il sonno della sposa e del Bambino Gesù, e con estrema delicatezza aiuta la musica che ne culli il sonno. Comprendiamo da questo atteggiamento la reale dimensione del ruolo di Giuseppe, che assolve la sua vocazione familiare con una particolare tenerezza e discrezione.

Giuseppe viene rappresentato come attento e tenero custode della Famiglia, servitore della angelica lode celeste. Giuseppe è l’uomo giusto, colui che amministra i misteri di Dio, come il custode del mirabile santuario che è Maria, la quale cinge in amorevole abbraccio il Verbo Incarnato. Giuseppe, secondo l’immagine che di lui hanno dato i Padri della Chiesa, meditando sui testi evangelici, è l’archetipo del vescovo cristiano: a lui è affidata la Chiesa-sposa, ma essa non è a sua disposizione e, infatti, nel quadro di Caravaggio, una figura angelica li separa, cantando la virginea maternità di Maria. Importante è lo spartito sorretto da Giuseppe.

Spesso Caravaggio inserisce il riferimento alla musica nella sua pittura. Basti pensare ai Musici dipinti per il cardinal Del Monte (oggi al Metropolitan Museum of Art di New York), oppure all’Amore Vincitore (conservato a Berlino). Nel Suonatore di liuto dipinto per il marchese Vincenzo Giustiniani (e conservato all’Ermitage di San Pietroburgo) è rappresentato uno spartito identificato come un madrigale dal titolo Voi sapete ch’io v’amo composto dal musicista franco-fiammingo Jacob Arcadelt.

Anche lo spartito dipinto nel Riposo durante la fuga in Egitto tra le mani di san Giuseppe si riferisce a un brano musicale ben preciso, composto da un altro musicista franco-fiammingo, operante a Roma, Noël Baulduin, e pubblicato nel 1519 sul tema del Cantico dei cantici. Si tratta precisamente del mottetto che esalta la bellezza e la purezza di Maria: Quam pulchra es et quam decora. Nell’accoglimento e nella custodia della bellezza e della purezza di Maria e del Figlio Gesù, Nostro Signore, vero uomo e vero Dio, sta tutto il mistero della santità di Giuseppe.?

Rodolfo Papa

docente di Storia delle teorie estetiche presso la Pontificia Università Urbaniana, artista, accademico ordinario pontificio

(articolo tratto da rodolfopapa.blogspot.it)

[1] Sacra Congregazione dei Riti, Decreto proclamante San Giuseppe patrono della Chiesa Cattolica, 8 dicembre 1870.

[2] Pio XII, Discorso in occasione della Solennità di san Giuseppe artigiano, 1 maggio 1955.

[3] Benedetto XVI, Angelus, 19 dicembre 2005.

[4] Benedetto XVI, Discorso nei primi Vespri di San Giuseppe, 18 marzo 2009.

[5] Su Caravaggio, rimando alle mie monografie: R. Papa, Caravaggio. Lo stupore dell’arte, Arsenale, Verona 2009; R. Papa, Caravage, Imprimerie Nationale Éditions, Paris 2009; R. Papa, Caravaggio. L’arte e la natura, Giunti, Firenze 2008; R. Papa, Caravaggio. Gli anni giovanili, “DossierArt” 2005; R. Papa, Caravaggio pittore di Maria, Ancora, Milano 2005; R. Papa, Caravaggio. Gli ultimi anni, “DossierArt” 2004; R. Papa, Caravaggio. Vita d’artista, Giunti, Firenze 2002 (nuova edizione riveduta e corretta: 2007).

[6] Cfr. R. Papa,Caravaggio. Le origini e le radici, “DossierArt” 2010.

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