“Oscar Romero, icona e simbolo dei martiri per la giustizia e la verità”

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Giovanni Battista non è stato prudente e neanche diplomatico.
Di fronte alla situazione che si era venuta a creare in Galilea, con il re Erode che si era preso come moglie la sposa di Filippo, suo fratello, contravvenendo così sia alla Legge divina (Lv 18,16) che alla morale, Giovanni avrebbe potuto “contestualizzare” la trasgressione del re e collocarla nell’ambito delle prerogative e dei privilegi di un sovrano.
Oppure, e sarebbe stata la soluzione migliore, si sarebbe potuto tirar fuori dalla questione, che in fondo non lo riguardava, e avrebbe potuto dire che a lui interessava come il re governava, e non la sua vita privata. Se governava bene, se rispettava e riconosceva i privilegi della casta sacerdotale, poi nella sua reggia poteva comportarsi come voleva, disponendo, per il sollazzo suo e dei cortigiani, anche di festini nei quali mostrare ai commensali una minorenne (la figlia di Erodiade) danzare (Mc 6,22). L’importante è che il sovrano governi bene.
E il Battista si sarebbe salvato la testa.
Invece, Giovanni, caparbio e ostinato, insisteva nella denuncia a Erode: “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello” (Mc 6,18).
Mai denunciare un potente.
Gli inviti al cambiamento non gli giungono, mai penserà di convertirsi. Il potente reagisce nell’unica maniera che gli è congeniale, attraverso la brutalità e la violenza.
Sicché Erode pensò di mettere definitivamente a tacere la voce di Giovanni, e quella della sua coscienza, tagliando la testa al Battista.
E così fece.
È la stupidità e l’impotenza del potere.
Il potere, da sempre, pensa di mettere a tacere le voci di dissenso spegnendole, eliminando, quando è possibile anche fisicamente, la voce e la persona di chi ha il coraggio, in ogni epoca, di gridare “Non ti è lecito!”.
Ma la vita è più forte della morte, come la luce è più potente delle tenebre. Per questo la verità si fa sempre avanti e ha la meglio sulla menzogna, anche quando questa menzogna viene imposta come verità ufficiale.
Messo a tacere definitivamente il profeta, Erode pensa di dormire sonni tranquilli. Invece è assalito dagli incubi e dai fantasmi, perché la voce che credeva di aver ridotto al silenzio, ora risuona più potente che mai nella figura di Gesù, nel quale il re, nelle sue ossessioni, pensa di riconoscere il Battista: “Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!” (Mc 6,16). Un Battista ben più potente di quel che lui ha assassinato, perché Gesù “ha il potere di fare prodigi” (Mt 14,2), capacità che era assente in Giovanni.
Questa è la stupidità e l’impotenza del potere: non sa che quando soffoca una voce, il Signore ne suscita una ancora più potente di quella eliminata.
Ma i potenti sono stupidi (“Lo stolto è stato posto a coprire alte cariche”, Qo 10,6). Lo stupido nella Bibbia non è colui che è affetto da deficit mentale, ma colui che pensa solo alla propria convenienza immediata (Lc 12,20; Mc 7,22), che è appunto la caratteristica dei potenti, i quali, come denuncia il profeta Isaia, sono “cani avidi, che non sanno saziarsi, sono i pastori che non capiscono nulla. Ognuno segue la sua vita, ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione”, Is 56,11).
Per questo la stupidità spinge i potenti a perpetrare l’errore di eliminare ogni voce che sia loro contraria o che denunci il loro comportamento. Stupidità che li rende più pericolosi dei malvagi. I cattivi possono diventare buoni, gli stupidi lo restano per sempre.

E la stupidità del potere si vedrà anche nel comportamento di Caifa, il sommo sacerdote.
Il detentore della massima carica spirituale penserà, eliminando Gesù, di aver allontanato

definitivamente ogni pericolo per l’istituzione religiosa, messa in crisi dall’insegnamento e dalla vita dell’uomo di Nazaret.
La denuncia di Gesù nei confronti delle autorità religiose è infatti ancora più grave di quella di Giovanni a Erode.

Il Battista accusava il re di condotta illegale.
Gesù accusa i capi religiosi di essere assassini e menzogneri come il loro padre, il diavolo: “Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44).
Per Gesù le autorità religiose sono come il loro padre, il diavolo, ingannatori e omicidi, perché da sempre hanno sacrificato gli uomini al proprio interesse, al proprio onore, al proprio prestigio e, fatto ancora più grave, hanno mascherato il loro interesse dietro la dottrina.
Come il serpente antico, le autorità religiose promettono vita (“Non morirete affatto!”, Gen 3,4) e invece causano morte, imponendo come volontà di Dio quella che in realtà è solo una menzogna per coprire i loro interessi. Così le autorità soffocano il desiderio di pienezza di vita che ogni uomo porta in sé, impedendo la realizzazione del progetto di Dio sull’umanità.

La denuncia di Gesù è grave: il sistema religioso, che pretende di governare il popolo in nome di Dio, non è altro che menzogna e crimine istituzionalizzato (Gv 10,1). Tutti quelli che si identificano con questa istituzione si rendono complici di questo inganno omicida.
È troppo.
E Caifa decide che è venuto il momento di ammazzare Gesù. Ai capi religiosi che Gesù sia il Messia, il Figlio di Dio, non interessa.
Altro è il loro dio.
La divinità alla quale essi si sono prostituiti si chiama mammona, ovvero la convenienza. Tutto quel che le autorità religiose fanno e dicono è in funzione del loro tornaconto, per questo sono capaci di “chiamare bene il male e male il bene, di cambiare le tenebre in luce e la luce in tenebre, di cambiare l’amaro in dolce e il dolce in amaro” (Is 5,20).
Tutto è in funzione della convenienza, indipendentemente se questa si risolva in un bene o un male per l’uomo. Se un’azione, anche delittuosa, si risolve a loro vantaggio, si fa. E Caifa per convincere il Sinedrio a eliminare Gesù fa leva sulla parola infallibile: “ci conviene...” (Gv 11,50).
Gesù non è morto perché questa fosse la volontà di Dio, ma perché era la convenienza della casta sacerdotale al potere: “Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!” (Mt 21,38).
E ammazzano il Cristo.
Stupidità e impotenza del potere.
Pensavano di aver soffocato definitivamente la voce del Cristo e distrutto il suo messaggio, invece l’hanno amplificato.
La morte di Gesù, infatti, moltiplicò e potenziò ancor di più la sua presenza e la sua voce, e il Cristo risuscitato sosteneva e fortificava i suoi discepoli, come si legge nella finale del vangelo del Marco: “il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20). Se in vita Gesù era limitato dalla sua condizione umana che non gli permetteva di essere ovunque, con la sua morte il suo Spirito, potenza ed energia creatrice di Dio, si effuse ovunque.
Di fronte al dilagare inarrestabile della predicazione degli apostoli, saranno inutili minacce e proibizioni, come dovranno constatare desolati il sommo sacerdote e l’intero sinedrio: “Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina” (At 5,28).
A questo punto il potere potrebbe cambiare strategia. Visto che minacce e assassini sono inutili, e anziché arrestare il fenomeno lo potenziano, bisognerebbe adoperare altre tattiche di repressione. Non può.
Non può perché il potere è stupido, e lo stupido non corregge mai i suoi comportamenti, anche se alla fine si risolvono a suo danno (“Come il cane torna al suo vomito, così lo stolto ripete le sue stoltezze”, Pr 26,11). E continua a perpetrare la sua azione di repressione e di morte, ma a proprio danno, fortificando quel che vuole eliminare, perché, come aveva risposto Gesù ai farisei che

volevano far tacere i suoi discepoli, “Se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,40). La forza della vita e della verità riesce comunque a farsi strada e a fiorire in forme nuove, molteplici, inedite. È fallimentare opporsi alla vita. È come se le tenebre volessero opporsi alla luce: questa avrà sempre la meglio (Gv 1,5).

Per questo, scrive il salmista, di fronte alle trame e alle congiure dei potenti, il Signore ride: “Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro” (Sal 2,4).
Ma i potenti non cambiano, “testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie”, oppongono “sempre resistenza allo Spirito Santo” (At 7,51), come denuncerà Stefano, il primo discepolo di Gesù che sarà assassinato. Lui, uomo dello Spirito, denuncerà i capi dicendo: “Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata” (At 7,52-53).

E anche Stefano viene assassinato. Un’altra voce scomoda, che aveva osato denunciare il tempio e “sovvertire le usanze che Mosè ci ha tramandato” (At 6,14), viene eliminata.
Stupidità e impotenza del potere.
Effetto della sua morte, e della violenta persecuzione che si scatenerà contro la chiesa di Gerusalemme, sarà la dispersione nelle regioni della Giudea e della Samaria, dove il messaggio della buona notizia, finora ristretto dentro le mura di Gerusalemme, si diffonderà e moltiplicherà (At 8).

E se stasera siamo qui, a 31 anni dall’assassinio di un vescovo di El Salvador, è paradossalmente proprio “grazie” alla stupidità e all’impotenza del potere, che continua pertinace a soffocare nel sangue ogni voce contraria alla menzogna imposta come verità.
È probabile che se non fosse stato assassinato, il messaggio di Oscar Arnulfo Romero sarebbe rimasto circoscritto nell’ambito del suo Paese o dell’America Latina. Il tempo e la tattica dei detentori del potere, che è sempre quella di coprire e nascondere, “sopire, troncare... troncare, sopire” di manzoniana memoria (I Promessi Sposi, cap. 19), avrebbero poco a poco appannato la sua figura e arginato il suo messaggio.

Invece, il vescovo Romero, la sua vita e il suo messaggio, sono diventati universali e patrimonio dell’intera Chiesa e dell’umanità, perché, come aveva ben intuito Romero in uno dei suoi ultimi interventi, «Al di sopra delle tragedie, del sangue e della violenza, c’è una parola di fede e di speranza che ci dice: c’è una via d’uscita... Noi cristiani possediamo una forza unica». La forza di Colui che pochi istanti prima di essere arrestato e assassinato dichiarò ai suoi: “Coraggio io ho vinto il mondo!”, (Gv 16,33). Non è una promessa per il futuro (vincerò), ma una constatazione nel presente (ho vinto). Chi si pone a fianco della vita sarà sempre vincitore della morte, chi si schiera con la verità avrà sempre la meglio sulla menzogna e chi si lascia guidare dalla luce vincerà sempre sulle tenebre.

 

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