History of the World Christian Movement

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ome si sa, l’intento della History of the World Christian Movement – prevista in tre volumi – è quello di abbandonare l’abituale concentrazione del Cristianesimo sull’Occidente per passare poi a descrivere l’ampliamento mondiale in termini di semplice conseguente allargamento: l’intento perseguito nel progetto è quello di mostrare come da subito, da sempre, il cristianesimo sia stato una religione mondiale ma come, al tempo stesso, abbia potuto perseguire questa sua identità attraverso una stretta identità tra il vangelo e le culture. Ne viene una visione del cristianesimo in continua evoluzione; solo in questo processo i popoli dell’Africa e dell’Asia assumono il proprio ruolo mentre l’evoluzione del Cristianesimo, riposizionata in questa originale prospettiva, incontra nuove concezioni culturali e, sotto la loro spinta, formula interrogativi ed offre risposte finora non troppo considerate. Si arriva cioè ad una visione più completa.

Questo secondo volume copre il periodo che va dal 1454 al 1800: affronta cioè la situazione creata dopo la caduta di Costantinopoli sotto il dominio dei turchi (1453). Per quanto importante, la caduta di Costantinopoli non incide più di quel tanto sull’orizzonte mondiale del cristianesimo che, nel breve volgere di una cinquantina di anni, si trova di fronte a scoperte geografiche che vedono l’arrivo di nuovi popoli sulla scena mondiale.

La storia, che in questo modo prende inizio, è suddivisa in tre parti. La prima va dal 1454 al 1600 ed è segnata – come osserva il sottotitolo – da due grandi avvenimenti: le già ricordate scoperte geografiche e la riforma protestante. La seconda parte comprende il diciassettesimo secolo o seicento ed è presentata dal sottotitolo come caratterizzata da in contri tra popoli che si pongono a livello sia religioso che secolare. La terza parte riguarda il settecento e questo secolo, il diciottesimo, è presentato dal sottotitolo come segnata da tre dinamiche: l’indipendenza, la liberazione e il risveglio. Salvo la prima parte, di gran lunga la più unitaria, non si capisce bene la suddivisione del seicento e del settecento come due parti così nettamente distinte: si ha l’impressione che lo schema cronologico-geografico – Europa, Africa, America settentrionale e meridionale, Asia orientale e meridionale – che guida l’ottica mondiale del lavoro debba comunque venir rispettato anche in mancanza di significative dinamiche culturali, socio-politiche o religiose. Gli stessi sottotitoli, che dovrebbero facilitare la comprensione delle ragioni della suddivisione di una seconda e di una terza parte, finiscono per essere piuttosto generici.

Con tutto questo il lavoro ha molti pregi. Innanzitutto l’orizzonte mondiale, non più centrato sull’Europa, rappresenta non solo una novità ma una scelta ricca di significato che dà alla storia del movimento cristiano quell’orizzonte mondiale che gli appartiene. Se, ad esempio, prendiamo quella seconda pare che ritengo discutibile come suddivisione a parte, non si può che apprezzare quella presentazione dell’Asia orientale che spazia dalla Cina alla Corea, al Giappone, al Vietnam e alla Tailandia con precise indicazioni storiche e missionarie. Lo stesso si può dire delle altre indicazioni geografiche. Si dovrà inoltre segnalare la continua attenzione all’impegno missionario del mondo ortodosso: pp. 296-315 per il seicento; pp. 373-305 per il settecento; in questo modo l’attenzione ecumenica non è solo dichiarata ma concretamente praticata. Le indicazioni bibliografiche, che completano ogni capitolo come strumenti di studio indispensabili in un testo necessariamente sintetico,.rappresentano un ulteriore motivo di apprezzamento per un lavoro che si impone come di assoluto livello.

Né potrebbe essere diverso se appena si ha presente la dinamica della sua origine. Nella “Introduzione”gli autori richiamano che il lavoro è l’esito di incontri per indicazioni, apporti e consultazioni tenuti nel 2002 (Pittsburgh –USA), nel 2003 (Techny e Pasadena sempre in USA), nel 2004 (New York in USA e Port Dickson in Malaysia), nel 2005 (Graymoor in USA) e nel 2007.(Princeton sempre in USA). La scelta di non servirsi di note di nessun genere può sorprendere ma la chiarezza e la precisione del dettato hanno ovviato a questo problema.

Il risultato è certamente notevole ma, ugualmente, non mancano aspetti problematici. Probabilmente tutto sta nel modo di intendere lo World Christian Movement. Per quanto capisco, la presentazione del cristianesimo come “movimento mondiale” prende le distanze dall’abituazione insistenza sulla centralità storica della cristianità occidentale che diffonde poi nel resto del mondo la sua visione del vangelo e della fede. La sottolineatura più forte è quella di una interazione tra vangelo e culture, tra chiesa e mondo. In questo progressivo ingresso di popoli e culture nell’orizzonte della vita cristiana, emerge l’importanza e la rilevanza dei popoli africani, latino-americani e asiatici con le loro culture, le loro visioni, le loro problematiche; da qui una sottolineatura attenta al dialogo con le nuove culture ed agli aspetti istituzionali e politici della proposta cristiana. Non ho però trovato una chiara e precisa indicazione di cosa si intenda per “movimento cristiano” ed, in particolare, chi ne sia il soggetto e come imposti e articoli la sua azione. Se il “movimento cristiano” rimanda al popolo cristiano, ivi compresi anche gli aspetti istituzionali, allora occorre segnalare che la liturgia non è tratta e che la spiritualità e la teologia sono richiamate in modo compresso e parziale. L’aspetto più ricco e più approfondito appare il progressivo ingresso nell’orbita del cristianesimo di nuovi popoli: l’incontro con le loro culture ed i loro problemi e la variegata risposta degli uomini di Chiesa rappresenta l’apporto migliore del volume. Anche l’Europa trova il suo posto in questo quadro; la stringatezza e la compressione dei dati è però a volte eccessiva e quasi unicamente finalizzata alla dinamica missionaria.

In definitiva, il volume traccia la storia di tre secoli e mezzo di cristianesimo nei quali il “movimento mondiale cristiano” incontra – nel cinquecento – le sfide di una divisione tra cristiani, di un protestantesimo ancora lontano dall’impegno missionario e dell’ingresso di nuovi popoli in un orizzonte mondiale. Si sa del pari che il settecento è una secolo ben poco missionario ma il testo, con una accurata analisi delle fonti e una valorizzazione attenta di molti dati, riesce a mostrare che il cristianesimo è e resta un movimento mondiale e, pur in mezzo alle difficoltà segnalate, non recede da questa sua primaria identità. Mi pare questo l’apporto principale del volume: una tesi teologica, quella di un cristianesimo aperto al mondo intero, è qui una tesi comprovata storicamente. Spetta all’intera teologia e alla Chiesa prenderne atto.

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Dale T. Irwin – Scott W. Sunquist, History of the World Christian Movement. II: Modern Christianity from 1454-1800, Orbis Books, New York – Maryknoll 2012, pp. 504..

 

 

 

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