Kenya, missionari per riscoprire il senso della vita

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Con le attività della parrocchia, le scuole, il Meeting Point per i malati di Aids e con un Centro per disabili la Fraternità San Carlo porta il messaggio di speranza del Vangelo. La testimonianza di don Luca Montini

Kahawa Sukari, caffè e zucchero, è il nome di un quartiere della periferia di Nairobi dove da più di vent'anni la Fraternità di San Carlo incrocia la vita di una comunità in costante trasformazione. Se un tempo la zona era tutta una piantagione, oggi case e palazzi grigi si alternano e testimoniano quello che è successo e sta succedendo nell'Africa orientale: le popolazioni, attirate dalla città, abbandonano la savana. E così anche i sei missionari della Fraternità fondata da monsignor Massimo Camisasca si confrontano con un fenomeno sociale che ha ricadute sulla stessa pastorale. «Molti parrocchiani, nati in case di fango e abituati ad avere grandi spazi a disposizione, si ritrovano catapultati - afferma don Luca Montini - in un'altra dimensione: si spostano in auto o in moto e hanno uno smartphone in tasca...». Di fronte a questo cambiamento corrono, però, il rischio di rimanere spaesati. Proprio in questi frangenti esce, senza appello, la domanda sul senso della vita. «In un mondo (nel loro caso quello tribale) che non esiste più, sembra che l'unico modo per emergere sia il successo, scolastico per i piccoli o lavorativo ed economico per gli adulti». Se ha valore solo ciò che è quantificabile, chi vive in una condizione di difficoltà finisce ai margini. C'è in gioco il futuro di una nazione dove il 61,6% delle persone ha meno di 25 anni, mentre solo il 2,7% ha superato i 65 anni. 

la Fraternità San Carlo, approdata in Kenya già nel 1986, ha ampliato la sua capacità di rispondere alle tante emergenze educative del territorio. Nel 2012 la presenza è stata arricchita dall'arrivo di tre missionarie di San Carlo che si sono inserite subito nel campo scolastico e nelle diverse opere della parrocchia che comprende anche il quartiere di Kahawa Wendani (complessivamente sono circa 40mila abitanti). Nel 2002 e nel 2004 sono sorti, rispettivamente, il Meeting Point, dedicato agli ammalati di Aids (sono seguiti dal punto di vista sociale e medico con visite domiciliari e attraverso un dispensario), e l'Ujiachilie per i bambini disabili. Le due opere caritative hanno lo scopo di aiutare le persone a leggere la loro condizione non come una maledizione o come un peccato da espiare. Piuttosto sono un valido conforto per ritrovare la gioia di vivere, anche nella malattia. 

Al di là delle notizie di cronaca che di tanto in tanto accendono i riflettori sul Paese, i missionari sono preoccupati dal fondamentalismo («non religioso o politico»), dall'insinuarsi del «nonsenso»: ha senso vivere se non posso raggiungere certi standard imposti dalla società? Per molti, e Gakuru è uno di questi, no. Ha 21 anni e dai sei porta sulle sue spalle il peso dell'Aids. Quando don Montini lo incontra a casa con l'equipe del dispensario medico, scopre che non assume medicinali, perché preferisce spegnersi lentamente. «Gakuru fissava il pavimento, non alzava gli occhi. Alla mia domanda su cosa volesse fare da grande, rispose tra le lacrime che avrebbe desiderato lavorare in un ufficio. Gli ho proposto un patto: “Tu ti curi, io ti recupero una borsa di studio”. Ha accettato».

Si è riscattato, ha individuato un motivo per cui valga davvero la pena vivere. «I cuori malati sono i campi di battaglia in cui Dio ci vuole presenti». A chi convive con questa situazione, «noi possiamo semplicemente ribadire la ragione che ci ha spinto a dare la nostra vita per Gesù: siamo stati amati da un amore eterno, più grande del nostro male, che scalda il cuore e lo riempie di gioia».

Con questa consapevolezza la Fraternità San Carlo ha favorito la nascita di numerosi progetti. Tra questi c'è il già citato Meeting Point realizzato per accompagnare le persone malate di Aids che spesso e volentieri sono abbandonate dalle rispettive famiglie. I missionari si fanno, inoltre, anche compagni di viaggio delle mamme dei bambini disabili che a causa della malattia dei figli sono considerate oggetto di una maledizione. A questi impegni si aggiungono le scuole con un'offerta che va dall'asilo alle superiori, compresa la formazione professionale. Dalla classe alla corsia di un ospedale passando per il tempo speso in compagnia degli ultimi con la certezza di essere amati da Qualcuno, del resto, come afferma don Luca, ordinato sacerdote nel 2018, «essere missionari significa gustarsi il regalo che Gesù ha fatto alla nostra vita. Sto imparando giorno dopo giorno che la vita è un dono meraviglioso». 

 

Ultima modifica il Giovedì, 21 Marzo 2019 11:52

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