Bilancio 2015: attentati in Europa e guerre in Medio Oriente e Africa

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Un anno il 2015, segnato da attentanti con risonanza globale, che non hanno risparmiato l’Europa e da guerre irrisolte che hanno insanguinato soprattutto il Medio Oriente e l’Africa, con un attore nuovo protagonista sulla scena internazionale il sedicente Stato Islamico. In questo scenario quale bilancio sul piano geopolitico? Roberta Gisotti ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto di politica estera. 

– Partiamo proprio con l’Is: a che punto siamo nel progetto di espansione perseguito da questo soggetto delirante e lucido allo stesso tempo?

– Direi che purtroppo siamo a un buon punto, perché l’Isis – non contento di essersi ritagliato uno spazio enorme in quell’area che ormai chiamiamo “Siriaq”, un po’ di Siria e un po’ di Iraq – ha comunque ottenuto l’affiliazione di altri gruppi terroristici, anche molto lontani: pensiamo per esempio a Boko Haram in Nigeria; e ha potuto comunque marcare una presenza abbastanza significativa e preoccupante anche molto vicino alle nostre coste, cioè in Libia. Se a questo uniamo il fatto che si rinnovano gli impegni, le promesse, gli sforzi per contrastare l’Isis là, dove è nato, cioè in Siria e in Iraq, e i risultati sono comunque modesti, non possiamo certo essere ottimisti, ecco. Per il momento, l’Isis ha vinto la sua battaglia.

– Quindi, per quanto riguarda la controffensiva della comunità internazionale contro l’Is, è un bilancio fallimentare …

– Io direi di sì, e metto anche in dubbio che ci sia stata una vera controffensiva internazionale contro l’Is, o Isis o Daesh, come vogliamo chiamarlo, altrimenti non si spiegherebbe perché migliaia e migliaia di incursioni aeree da parte di un’armata che comprende Stati militarmente molto potenti come, per esempio, gli Stati Uniti e la Turchia, abbiano prodotto così pochi risultati. In realtà, dovremmo entrare piuttosto nella mentalità che ci sono tolleranze, per non dire complicità internazionali, diffuse che aiutano l’Isis.

– Non si parla più da tempo di un mondo contrapposto tra Est e Ovest, ma i rapporti tra Stati Uniti e Russia camminano ancora sul filo del rasoio …

R.- Non si parla più di questa contrapposizione perché diciamo che l’Ovest ha vinto la sua battaglia e evidentemente ormai, soprattutto attraverso la sua potenza principale – gli Stati Uniti – il mondo predominante: basta osservare una mappa delle basi americane o basi Nato in Europa per vedere che di fatto la Russia è stata ricacciata, è stata spinta ad Est, certamente dal punto di vista dell’influenza geopolitica. L’ultimo colpo, naturalmente, è stato quello dell’Ucraina: la Russia ha perso il controllo sull’Ucraina, dopo mille anni, e l’Ucraina è un territorio di transito fondamentale per i gasdotti e gli oleodotti russi. Quindi, la Russia come ha reagito? Ha reagito in una maniera che sa di disperazione, di accerchiamento: ha reagito con la violenza, mentre gli Stati Uniti sono riusciti a imporre un cambio di governo a Kiev che non è stato certamente morbido, che ha richiesto molti morti ma che non è paragonabile alla guerra. E questa è una metafora abbastanza evidente di quello che è oggi il contrasto Est-Ovest. L’Ovest è predominante, l’Ovest ha molti più strumenti per intervenire e per affermare i propri interessi; l’Est, in particolare la Russia, reagisce come può e questo provoca, ovviamente, frizioni molto molto pericolose.

– Ad acuire queste frizioni c’è stata anche, alla fine di quest’anno 2015, l’entrata del Montenegro nell’Alleanza atlantica …

– Sì. Naturalmente. Poi, prossimamente avremo sicuramente quella dell’Ucraina … L’Alleanza Atlantica che è diventata un vero e proprio strumento della geopolitica come viene determinata nei circoli politici di Washington. E lo abbiamo visto anche, per esempio, sul fronte mediorientale: quando la Turchia ha abbattuto l’aereo russo e subito l’Alleanza Atlantica si è schierata a sostegno della Turchia nonostante il gesto fosse stato un atto di guerra con pochissimi precedenti.

– La predominanza degli Stati Uniti in questo Ovest influenza fortemente anche la politica dell’Unione Europea rispetto a Mosca, e alcuni si chiedono se invece l’Europa non avrebbe interesse ad avere rapporti migliori con Mosca …

– A me pare assolutamente chiaro che l’Europa, anche nella veste di Unione Europea, non ha alcun interesse ad avere rapporti conflittuali con Mosca, che è sempre stata – storicamente, almeno, anche ai tempi dell’Unione Sovietica – un partner anche commerciale, geopolitico in generale, superate alcune crisi, piuttosto affidabile. Noi non abbiamo mai avuto problemi con la Russia post-sovietica per quanto riguarda il gas, per quanto riguarda il petrolio. E infatti ci sono Paesi europei come la Germania che continuano molto serenamente ad avere rapporti commerciali, per quanto riguarda l’energia, con la Russia e addirittura pensano ad incrementarli. L’Unione Europea si è fatta coinvolgere in questa crisi ucraina e sta pagando il prezzo della crisi ucraina, molto più di quanto avvenga con gli Stati Uniti che sono stati nella realtà il vero interlocutore politico dell’attuale Ucraina e il Paese che in realtà profitta di questa crisi ucraina: non a caso è diventato ministro dell’economia dell’Ucraina una donna che si chiama Yaresko, un’ex funzionaria – addirittura – dell’ambasciata americana a Kiev. E questo dice tutto su quali sono i rapporti di forza, attualmente.

– Spostiamoci in un continente spesso dimenticato: l’Africa. Quali le preoccupazioni più grandi?

– Io credo che il fenomeno più rilevante – e purtroppo un fenomeno preoccupante – sia l’impetuoso aumento della persecuzione anticristiana in Africa. La Somalia è il secondo Paese al mondo, dopo la Corea del Nord, per persecuzioni anticristiane. Nella lista di questa terribile graduatoria sono entrati tre Paesi africani, tra i primi dieci, tra cui la Nigeria che è appunto il Paese dove imperversa Boko Haram, ormai affiliata all’Isis, ma dove i cristiani sono il 40% della popolazione, quindi neanche una minoranza debole e sparuta. Naturalmente, come vediamo anche in Medio Oriente e come vediamo altrove, la persecuzione a sfondo religioso è quasi sempre una persecuzione che ha radici e realtà politiche, economiche, etniche e che impugna la bandiera della religione molto spesso solo come copertura, solo come strumento di mobilitazione delle masse.

 

Ultima modifica il Mercoledì, 30 Dicembre 2015 18:39

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