Natale: Dio viene a guarirci dalla “sindrome da Isis” e da quella “cinese”

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Quest’anno il Natale è investito da una luce cruda per le violenze a cui assistiamo da settimane. Il mese scorso in pochi giorni gruppi estremisti sedicenti “islamisti” hanno messo a ferro e fuoco la capitale francese, quella del Mali (Bamako) e tentato di uccidere un missionario del Pime a Dinajpur (Bangladesh). A tutt’oggi la vita dei cristiani in Siria e Iraq è bersagliata da attentati, divieti e miseria. Allargando lo sguardo al resto dell’Asia non si è più tranquilli: non c’è Paese che non sia implicato in una tensione regionale o in una guerra interna, dando ragione a Papa Francesco e alla sua affermazione di “una Terza guerra mondale a pezzi”.

In occidente la risposta a queste violenze è stata la chiusura. Da subito, grazie alle dichiarazioni di capi di Stato, di politici e per le amplificazioni dei media, si è creato un quadro tragico: è in atto una guerra da parte dell’internazionale del terrore. Questa guerra è condotta da fondamentalisti musulmani che vogliono colpire ed eliminare l’occidente e i cristiani.

La sindrome della guerra e dell’assedio si è diffusa in un attimo: bombardamenti a tappeto di russi, francesi, americani, inglesi contro l’Isis; accresciuti controlli alle frontiere; speciali misure di emergenza. A livello popolare sono cresciuti gli allarmi nelle metropolitane, gli sguardi sospetti verso i vicini musulmani o verso i vicini in generale, l’insofferenza verso i migranti. A un progetto distruttivo e nichilista dei terroristi si cerca di rispondere con un progetto altrettanto distruttivo perché nessuno ci disturbi nel godimento delle nostre libertà.

Che queste risposte siano di fiato corto è evidente: a che servono i bombardamenti contro l’Isis se nessuno si preoccupa di aiutare la crescita di società inclusive di sunniti, sciiti, cristiani in Siria e in Iraq? Che valore ha bombardare città intere per colpire un nemico che viene armato con gli strumenti di morte che lo stesso occidente offre loro o agli Stati loro amici, come l’Arabia saudita, il Qatar, gli Emirati o la Turchia? A che serve difendersi dai migranti in un occidente segnato dall’inverno demografico, che dei figli ha fatto una variante a piacere della propria libertà e autonomia, invece che un frutto dell’amore e un dono alla società? Se non c’è un impegno a incontrare, a comprendere, a convivere, scaricare le colpe sull’Isis è un modo per rimanere fermi nel nostro brodo fatto di autosoddisfazione e indifferenza.

Mi colpisce un fatto: i terroristi che hanno assalito la Francia erano dei francesi e belgi, gente che aveva vissuto nella cosiddetta patria delle libertà, che ha dato come risultato un vuoto di ideali, riempito alla meglio da imam rozzi e maestri dell’odio. Eppure Parigi non si è posta la domanda sui valori che essa offre alla sua gioventù. Anzi, la conseguenza che diversi governi occidentali hanno tratto è quella di proibire i gesti natalizi cristiani “per salvare l’armonia” della società. A me sembra che presentando un islam (solo) terrorista, da combattere, e soffocando i segni cristiani (per non “provocare”) si voglia alla fine eliminare ogni elemento religioso, l’unico che potrebbe aiutare a riconciliare le nostre società così sbriciolate. Si tratta di una specie di “sindrome cinese”. In effetti Pechino continua a voler combattere contro il “terrorismo islamico”, ma soffoca con la violenza i diritti dei poveri Uighuri; allo stesso tempo, per evitare “terrorismi religiosi” controlla buddisti, taoisti e cristiani. La campagna contro le croci e le chiese nel Zhejiang aveva infatti come scopo affermare il potere del Partito ed esigere la sottomissione di tutte le fedi: “Chi comanda qui? La croce o il partito?”, avrebbe detto il segretario provinciale comunista a Wenzhou.

In fondo, la “sindrome da Isis” e quella “cinese” hanno uno scopo comune: quello di eliminare il riferimento religioso nella vita degli uomini, perché i popoli si sottomettano in silenzio al potere di turno, del consumismo, del terrorismo, del totalitarismo.

Con molta precisione, nel suo Messaggio per la Pace 2016, papa Francesco ha additato al vero problema del mondo d’oggi, parlando della “indifferenza verso Dio” (n. 3), che porta all’indifferenza verso gli altri esseri umani, fino alla violenza e alla distruzione, e verso il creato, fino all’abuso e all’avvelenamento.

Noi non perdiamo la speranza: celebrare il Natale significa che “Dio non è indifferente”, che a Dio “importa dell’umanità” e non l’abbandona. E la presenza di suoi testimoni dà il coraggio di rimettere mano alla costruzione della nostra casa comune, in cui c’è posto per i cristiani e i musulmani, gli occidentali e i cinesi. Buon Natale.

Fonte: AsiaNews

Ultima modifica il Sabato, 26 Dicembre 2015 15:45

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