Sinodo sull'Amazzonia, una Chiesa “ponte” dal volto indigeno

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Un commento sulla terza parte dell’Instrumentum laboris

La terza parte dell’Instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia titola così: «Chiesa profetica in Amazzonia: sfide e speranze». Questa parte è formata da sette capitoli che richiedono una seria attenzione dei Padri Sinodali proprio nella presa di coscienza dell’intera Chiesa cattolica, e in specie delle Chiese locali dei territori amazzonici, circa il modo di essere presenza di evangelizzazione e di promozione umana. 

L’introduzione a questa parte terza sottolinea che «l’annuncio di Gesù Cristo e la realizzazione di un incontro profondo con Lui attraverso la conversione e l’esperienza della fede presuppone una Chiesa accogliente e missionaria che si incarna nelle culture» (n.105). Viene richiamata la ragione per cui la Chiesa è nel mondo: per proclamare il kerygma e offrire, attraverso i sacramenti e la vita di grazia, un incontro qualificante con Cristo, frutto di autentica conversione e di comunione ecclesiale. Da qui dunque deve partire la valutazione per nuovi cammini della pastorale amazzonica (n.106) rileggendo «l’azione ecclesiale che ispira i ministeri, la catechesi, la liturgia e la pastorale sociale tanto nell’area rurale quanto in quella urbana» (n.105).

L’Instrumentum laboris chiede al Sinodo di offrire indicazioni per «rilanciare con fedeltà e audacia la missione della Chiesa sul territorio e approfondire il processo di inculturazione che esige dalla Chiesa in Amazzonia proposte coraggiose» (n.106). Una delle attenzioni da non trascurare da parte dei Pastori, dei missionari e delle Comunità ecclesiali locali è quella di lasciarsi interpellare dagli aspetti antropologici, culturali, ambientali, sociali e spirituali propri delle popolazioni di quei territori, affinché – come dice Papa Francesco – «i popoli originari plasmino culturalmente le Chiese Amazzoniche locali» (n.107).

Ovviamente ciò non significa “ingessare” la valoriale originalità del Vangelo e l’economia sacramentale della Chiesa. Si tratta di conoscere il terreno culturale e rivestire l’annuncio e la proposta di fede con la comunione sacramentale ed ecclesiale mediante i parametri della «inculturazione e della interculturalità che non si contrappongono ma si completano a vicenda. Così come Gesù (il Verbo divino) si è incarnato in una cultura determinata (inculturazione), i suoi discepoli missionari ne seguono le orme. Per questo motivo i cristiani di una cultura vanno ad incontrare persone di altre culture (interculturalità). Questo è accaduto fin dall’inizio della Chiesa» (n.108).

Pensiamo ad esempio all’incontro della cultura ebraica degli Apostoli con la cultura greca e latina dei loro destinatari e la formulazione delle verità cristiane con il pensiero classico antico indicato anche da Papa Benedetto, come singolare e fondamentale per le stesse verità di fede. È importante però saper scoprire nel sitz im leben culturale amazzonico quei Semina Verbi che sono la partenza per evangelizzare, non certo colonizzare, quella cultura riconoscendo l’azione dello Spirito santo, quale attenzione divina perché anche i Popoli dell’Amazzonia possano, cogliendo quella scintilla dell’Eterno, orientarsi a Dio.

Certo sta alla Comunità cristiana con i suoi Pastori e l’annuncio missionario-testimoniante di uomini e donne, famiglie e persone consacrate, rendere queste scintille corroborate dal “fuoco” che è Cristo (Benedetto XVI, Spe salvi, n.47) e dal grembo della Chiesa madre e maestra nella tenerezza del servizio.

Questo è l’indirizzo di scelta che l’Instrumentum laboris chiede ai Padri Sinodali, di seriamente considerare, per fare della Chiesa che è nei territori amazzonici una Chiesa in uscita «che si lascia alle spalle una tradizione coloniale monoculturale, clericale e impositiva e sa discernere ed assumere senza timore le diverse espressioni culturali dei popoli» (n.110). Si tratta certo di un discernimento e di scelte non facili, ma estremamente doverose e necessarie. In questo impegno vi è di conforto il «principio dell’incarnazione formulato da sant’Ireneo: “Ciò che non è stato assunto, non è stato redento”» (n.113).

Una delle ragioni dell’evangelizzazione, delle persone e delle culture, è offrire la redenzione che Cristo ha operato «per ogni uomo, per tutti gli uomini e per tutto l’uomo» (Gaudium et Spes, n.22) indistintamente ad ogni popolo e persona. Quindi è parte della missione della Chiesa farsi carico di persone e di culture diverse ed offrire loro ciò che, per l’intera umanità e creazione, Cristo ha «ricapitolato con l’azione redentrice da, non solo uomo nuovo», ma da creazione nuova, come dice l’apostolo Paolo. Ovviamente ciò non deve essere proposto, ma imposto ed «assunto» con convinzione nella prospettiva di rintracciare e perfezionare cristologicamente i Semina Verbi.

Questo è il doveroso discernimento che la Chiesa deve fare anche oggi non solo con i popoli amazzonici. Bisogna riconoscere che «i missionari e le missionarie hanno una storia di profonda relazione con questa regione. Hanno lasciato tracce profonde nell’anima del popolo cattolico dell’Amazzonia. La Chiesa ha percorso un lungo cammino che deve essere approfondito e aggiornato perché possa diventare una Chiesa dal volto indigeno e amazzonico» (n.116).

Per attuare ciò è importante che la Chiesa si ponga ad essere ponte affinché i popoli amazzonici sappiano confrontarsi dialogicamente, ponendo in reciproco ascolto le diverse ricchezze culturali del loro mondo in modo costruttivo, da quelle popolari, da quelle ambientali, da quelle familiari, da quelle giovanili, da quelle della donna, da quelle spirituali, da quelle artistiche, da quelle economiche.

La Chiesa non deve sostituirsi a coloro che hanno l’impegno di occuparsi della «cosa pubblica» e del «bene comune», ma deve essere presenza di mediazione per promuovere e tutelare modelli per un significativo processo di conversione di ecologia integrale dove, nel criterio della teologia cristiana della creazione, la Comunità umana si prende cura della Casa Comune per “obbedire” alla missione biblica data dal Creatore all’uomo e alla donna, Sua immagine e somiglianza.

Già san Giovanni Paolo II aveva indicato sia nella persona umana che nella cultura una via qualificata per annunciare e testimoniare Cristo. Non mi pare che i suggerimenti in tal senso dell’Instrumentum laboris mettano sotto scacco il criterio cattolico dell’evangelizzazione delle culture, e che l’espressione «conversione ecologica» vanifichi sul piano antropologico-spirituale la conversione a Cristo. Cristo è presente quale Redentore dell’intera creazione in tutto e in tutti, ovviamente in modo diverso, ma vero.

Certo nei sacramenti la presenza di Cristo, come affermò Paolo VI nella Mysterium fidei, è lì in modo reale speciale, ma già nel primo capitolo della Genesi si afferma: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1,2), quindi la presenza del Verbo che «senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3) è confermata dalla Rivelazione e colta dalla teologia cristiana. È dunque pertinente alla missione della Chiesa l’evangelizzazione non solo delle culture, ma nelle culture (n.120), cogliendo ciò che «lo Spirito del Signore ha insegnato a questi popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre creatore, il senso della comunione e di armonia con la terra, il senso di solidarietà con i propri compagni, il progetto del buon vivere, la saggezza di civiltà millenaria che gli anziani possiedono e che ha effetti sulla salute, sulla convivenza, sull’educazione e sulla coltivazione della terra, il rapporto con la natura e la Madre-terra, la capacità di resistenza e resilienza delle donne in particolare, i riti e le espressioni religiose, i rapporti con gli antenati, l’atteggiamento contemplativo e il senso di gratuità, di celebrazione e di festa e il senso sacro del territorio» (n.121).

Questo è il “sentimento” religioso naturale dei popoli amazzonici, che ovviamente deve essere conosciuto e tenuto presente nella prospettiva dell’annuncio evangelico e quindi della proposta della fede cristiana e della “implantatio ecclesiae” tra quei popoli. Giustamente sottolinea l’Instrumentum laboris che «l’inculturazione della fede non è un processo dall’alto verso il basso o l’imposizione esterna, ma un arricchimento reciproco delle culture in dialogo (interculturalità). Il soggetto attivo dell’inculturazione sono gli stessi popoli indigeni» (n.122). Mai dimenticando che, afferma Papa Francesco, «la grazia suppone la cultura» (Evangelii Gaudium n.115), intesa appunto come natura «individuata». 

Per poter dare avvio a questo percorso di evangelizzazione è necessario rinnovare una Chiesa di popolo, promuovendo vocazioni autoctone di uomini e donne in risposta ai bisogni di un’attenzione pastorale e sacramentale che non venga meno sia alla fedeltà della Rivelazione, Tradizione e Magistero, cioè della volontà positiva di Cristo che rende efficace i segni sacramentali, sia ad «un’autentica evangelizzazione dal punto di vista indigeno» (n.129 a).

Anche nel campo della lex orandi già il Concilio Vaticano II propose l’inculturazione della liturgia tra i popoli indigeni (SC nn. 37-40, 65, 77, 81), quale segno di quel sano pluralismo delle culture che esprime l’autentica cattolicità senza minacciare l’unità della Chiesa (cfr n.124).

L’Instrumentum laboris sottolinea che «la celebrazione della fede deve avvenire con l’inculturazione perché sia espressione della propria esperienza religiosa e del legame di comunione della comunità che celebra» (n.125). Sembra legittima la richiesta dei fedeli del Popolo di Dio in Amazzonia di compiere, da parte dei Pastori, un «discernimento riguardo ai riti, ai simboli e agli stili delle culture indigene» (n.126 a). I fedeli interpellati per le proposte da offrire ai Padri Sinodali hanno anche fatto presente che «le comunità hanno difficoltà a celebrare frequentemente l’Eucarestia per la mancanza di sacerdoti - e chiedono - invece di lasciare le Comunità senza l’Eucarestia, [che] si cambino i criteri di selezione e preparazione dei ministri autorizzati a celebrarla» (n. 126c).

Di fronte a questa legittima necessità, in quanto è «la Chiesa che vive dell’Eucarestia e l’Eucarestia che edifica la Chiesa» è doverosa ovviamente la fedeltà alla mens Christi et Ecclesiae. L’Eucarestia è la ripresentazione del sacrificio redentore della Croce e segno della Nuova Alleanza e presenza reale speciale del Corpo e del Sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino, se è presieduta dal ministro ordinato, sia esso Vescovo o Presbitero. Neppure il diacono rende presente questo mistero. È dovere allora delle Chiese particolari, in comunione con il magistero del Vescovo di Roma, trovare delle ministerialità istituite sia per uomini e che per donne, per persone singole o/e per famiglie, al fine di rendere possibile la cura pastorale di una Comunità in assenza del ministro ordinato, dove non può mancare la proclamazione della Parola, la catechesi, la cura dei malati, la carità, attenzioni pastorali coordinate da un ministro ordinato che garantisce sacramentalmente, spiritualmente e pastoralmente l’azione di Cristo Capo e Pastore per il suo Popolo. 

Le proposte possono essere diverse e disparate secondo le attese del Popolo di Dio, ma i Pastori della Chiesa non “possono” arbitrariamente bypassare la mens Christi e la mens Ecclesiae circa la celebrazione valida e lecita dei sacramenti. Eccezioni si possono e debbono realizzare senza venir meno alla fedeltà sia a Cristo che alla Chiesa. Nessuno è padrone dei sacramenti, tutti nella Chiesa siamo attenti custodi e realizzatori di questi segni di fede secondo la mens dell’istituzione cristica.

Sorge allora per la Chiesa presente tra la gente amazzonica a causa delle distanze geografiche il passaggio da una «pastorale della visita» a una «pastorale della presenza» per «riconfigurare la Chiesa locale in tutte le sue espressioni: ministeri, liturgia, sacramenti, teologia e servizi sociali» (n.128). Si tratta allora di sensibilizzare e formare l’intera Comunità ecclesiale a farsi carico, in quanto Comunità, della missione evangelizzatrice e dell’implantatio Ecclesiae di quel popolo e di quel territorio, spendendosi per una stabilitas loci nello stile di Comunità-famiglia, dove a ciascuno è assegnato e sostenuto un ruolo (liturgia, catechesi, carità, sostegno spirituale) affinché sia edificata e palese quella fraternità cristica che ha le sue radici nella fede e i suoi effetti nella carità spirituale e materiale.

Questo è il tessuto che dovrebbe essere preso in considerazione senza dimenticare la formazione e la designazione dei ruoli dell’evangelizzazione di una ecclesiologia sinodale, dove viene riconosciuta la presenza dei laici e delle donne a partire dai loro talenti e carismi secondo «lo spazio dato da Gesù alle donne» (n.129c). Ovviamente non si può disattendere l’ascolto e l’accompagnamento dei giovani che si trovano «tra due mondi, tra la mentalità indigena e l’attrazione della mentalità moderna, soprattutto quando migrano verso le città» (n.129,3).

Non ci si dimentichi purtroppo che «l’indigeno in Città è un migrante, un essere senza terra e un sopravvissuto a una storica battaglia per la delimitazione della sua terra, con la sua identità culturale in crisi» (n.132). Le Chiese locali si attrezzino, attraverso le parrocchie, ad affrontare questa realtà multiculturale attraverso una pastorale di accoglienza, di promozione, di reciproco ascolto e di integrazione bipolare, nello stile del Buon Samaritano e del Profeta.

In questo rinnovamento non può essere trascurato il dialogo ecumenico tra «le varie persone che condividono la fede in Gesù come Figlio di Dio e Salvatore» (n.136). Bisogna anche difendere le popolazioni amazzoniche da coloro che diffondono «tendenze fatalistiche che cercano di turbare le persone e, con una visione negativa del mondo, offrono un ponte per la salvezza certa. Gli uni, tramite la paura, gli altri attraverso la ricerca di successo» (n.137). Per questa necessaria e doverosa «conversione antropologica, eccelsiologica ed ecologica è bene saper usare i mezzi di comunicazione sociale che la Chiesa possiede per trasmettere lo stile di vita evangelica, i suoi valori e i suoi criteri» (n.141). Sappia la Chiesa locale collaborare con quei centri di comunicazione sociale gestiti dagli stessi indigeni che fanno sentire la propria voce non solo alle loro stesse Comunità, ma anche all’estero. «Bisogna che la realtà amazzonica esca dall’Amazzonia e abbia ripercussione planetaria» (n.141).

Più che ogni altra Chiesa particolare quella che è tra le popolazioni dell’Amazzonia deve essere una Chiesa in uscita, occupandosi cioè della salvezza integrale della persona umana (n.143) e una Chiesa in ascolto della voce degli ultimi, divenendo essa voce profetica (n.144) ed anche coscienza critica del potere, affinché siano tutelati popoli e territori dagli speculatori di turno. «La Chiesa – sottolinea l’Instrumentum laboris – deve saper ascoltare il grido della Madre Terra attaccata e gravemente ferita dal modello economico di sviluppo predatorio e imposto dall’estero e al servizio di potenti interessi esterni» (n.146d).

Concludendo è doveroso riconoscere all’Instrumentum laboris il pregio di aver  ascoltato il grido dei Popoli e della Terra amazzonica, perché, nella collegialità e nella sinodalità cum e sub Petro la Chiesa possa, nello stile di Cristo, essere voce di chi non ha voce e presenza amica dell’uomo e della Terra amazzonica, offrendo l’unico criterio che ha, come disse Pietro all’uomo provato dalla malattia fin dalla nascita che chiedeva l’elemosina presso la porta Bella del tempio di Gerusalemme: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina» (At 3,6).

*Vicario episcopale per il laicato e la cultura della Diocesi di Trieste

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