Lutero: santo o demonio?

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Parlare di Lutero non è facile, per vari motivi, ma forse soprattutto per tanti pregiudizi su di lui, benevoli o meno. Proviamo a ignorarli per un momento e lasciamoci guidare dalla storia, benché sommaria.

Nel 2017 si celebrerà il V centenario dell’inizio della Riforma luterana, essendo il 1517 l’anno della pubblicazione a Wittenberg (a sud di Berlino) delle famose 95 tesi dedicate da Lutero soprattutto alla critica della predicazione sulle indulgenze nella sua Germania: «Fate belle offerte – gridavano i predicatori a nome di papi e vescovi a volte indegni e affaristi; vedi Alessandro VI Borgia e Leone X de’ Medici –  e salverete l’anima vostra e dei defunti». Le 95 tesi furono  come il fiammifero in una polveriera. La polveriera era la Germania e l’Europa del 1500, ancora abbastanza unite (pur zoppicante ma c’era ancora anche il Sacro Romano Impero di nazione germanica), benché ormai sull’orlo della frammentazione in tanti piccoli Stati e in diverse Chiese; intanto i Turchi premevano da oriente.

Lutero, all’inizio, non vuole creare un’altra Chiesa, ma solo riformare evangelicamente quella del suo tempo; come non vuole eliminare il papato né la gerarchia ecclesiastica o imperiale: intende solo, appunto, riformare. E ne aveva certamente tante ragioni, più o meno note da qualsiasi seria storia della Chiesa. La sua riforma ha motivi storici molto concreti, come il peso enorme di tasse ecclesiastiche soprattutto sulle chiese tedesche e sui principi cattolici, anche perché si stava costruendo la nuova basilica di San Pietro a Roma. Ma la riforma si basa innanzitutto su motivi religiosi, di fede.

Nemmeno questi in verità erano una novità, essendoci già stati nei secoli precedenti cattolici di diverso livello assai critici sulla vita di ecclesiastici e sulla fede piuttosto superficiale di religiosi e di laici: sembra a Lutero (magari esagerando) che tutta la religiosità cristiana abbia ben poco di… cristiano, ben poco dipenda da una fede profonda in Gesù Cristo; gli sembra che tutto o quasi dipenda da parole e opere umane ritenute per se stesse meritorie e salvifiche: offerte in denaro (specialmente per lucrare facili indulgenze), penitenze esteriori, devozioni a Madonne e reliquie, processioni e feste, pellegrinaggi, accumulo di messe, ubbidienze a superiori e a voti espressi come da schiavi a strutture giuridiche ecc. Insomma: sono io che mi salvo o è Gesù il mio salvatore? Sono le mie opere che contano o è la fede nell’opera da Dio compiuta in Cristo morto e risorto? Questa la domanda di Lutero, tra l’altro ossessionato dalla paura dell’inferno anche per lui peccatore.

 

Opere umane o opera di Dio?

Lutero sempre più decisamente e polemicamente (la polemica vale ma offusca le idee) sposta l’accento della sua vita di severo religioso agostiniano e della sua predicazione orale e scritta, rivolta alla gerarchia ecclesiastica ai principi e al popolo, dalle opere umane all’opera graziosa di Dio in Cristo, alla quale mi apre solo la fede: questa sola basta per la mia “giustificazione” davanti a Dio, ossia per potermi mettere davanti a lui come “giusto pur peccatore”.

Lutero afferma questo specialmente sulla base del suo sant’Agostino (il dottore della Grazia!) e dello studio di san Paolo, in particolare della lettera ai Romani, cui dedica anni di ricerca appassionata e di insegnamento.

Ovviamente questo suo accento sulla Grazia e sulla fede giustificante suscita subito la domanda: e le opere umane non contano per niente? Posso quindi agire come voglio e come mi piace, senza alcuna preoccupazione morale e senza alcuna attenzione a leggi ecclesiastiche o civili (comprese quelle sulle tasse!), ad autorità esterne alla mia fede? Non per niente anche i contadini tedeschi osanneranno Lutero, che però poi li deluderà amaramente.

Il problema fede-opere viene subito avvertito a tutti livelli e continuerà ad angustiare gli stessi protestanti per molto tempo, ma, ovviamente, innanzitutto i cattolici. Anzi, di fatto, sembra sia stata soprattutto questa messa in discussione dell’obbedienza a leggi e gerarchie a provocare la scomunica di Lutero, avvenuta nel 1520 da parte di papa Leone X, pur dopo tentativi di dialogo. Il problema, oltre che contingente e economico, era ed è davvero cruciale e Lutero stesso lo sa.

Qual è allora il suo vero pensiero al riguardo? Ascoltiamo una sua pagina, scritta nel 1522, nell’introduzione al suo commento alla lettera di san Paolo ai Romani; è una pagina non facile, ma merita attenzione per la sua sostanza, una volta accostata con libertà di spirito. Ve la trascrivo quasi tutta, prendendola da V. Vinay, Scritti religiosi di Lutero, ed. Utet, Torino 1967, pag. 520.

 

Fede e giustizia davanti a Dio

«Fede non è quell’umana illusione e quel sogno che alcuni pensano essere fede… La fede invece è un’opera divina in noi, che ci trasforma e ci fa nascere di nuovo da Dio. Essa uccide il vecchio Adamo, trasforma noi uomini completamente nel cuore, nell’animo, nel sentire e in tutte le energie e reca con sé lo Spirito santo. Oh la fede è cosa viva, attiva, operante, potente, per cui è impossibile che non operi continuamente il bene… Fede è una fiducia viva e audace nella Grazia di Dio, tanto certa di questa che morrebbe mille volte piuttosto che dubitarne. E tale fiducia e conoscenza della Grazia divina ci rende lieti, baldanzosi e giocondi dinanzi a Dio e a tutte le creature per l’opera dello Spirito santo nella fede.

Perciò l’uomo diventa volonteroso, senza costrizione, e lieto nel fare il bene a ognuno, nel servire ognuno, nel sopportare ogni cosa, nell’amore e nella lode a Dio che ha manifestato in lui tale Grazia. È quindi impossibile separare le opere dalla fede, come è impossibile separare dal fuoco calore e splendore. Perciò guardati dai tuoi falsi pensieri e dalle chiacchiere vane che vogliono essere intelligenti e dare giudizi sulla fede e sulle opere buone, mentre sono sommamente stolti. Chiedi che Dio operi in te la fede, altrimenti qualunque cosa tu possa immaginare o fare, rimarrai sempre senza la fede.

Giustizia (nei riguardi di Dio) è soltanto questa fede e si chiama giustizia di Dio, ossia giustizia che vale davanti a Dio, perché Dio la dona e la mette in conto di giustizia per amore di Cristo nostro mediatore, e spinge l’uomo a dare a ciascuno ciò che gli deve. Mediante la fede l’uomo è purificato dal peccato e trova piacere nei comandamenti di Dio. In tal modo dà gloria a Dio e gli rende quello che gli deve. Serve volonterosamente gli uomini in quello che può e così rende anche a ciascuno il dovuto.

Natura, libera volontà e le nostre forze non possono attuare questa giustizia… Perciò è ipocrisia e peccato tutto ciò che avviene all’infuori della fede o nell’incredulità, sia pur splendido quanto si voglia» (magari come la basilica di San Pietro in costruzione).

 

Splendori e limiti

Più volte m’è capitato di leggere questa pagina, senza dirne l’autore, anche a gruppi di preti. Reazione: «Pagina bellissima, l’avrà scritta il papa!». Sorpresa e incredulità dopo averne conosciuto l’autore.

Effettivamente è una pagina molto bella, frutto di una grande fede in Cristo e nel suo Dio, aperta a immensa speranza anche per contadini e poveri peccatori di ogni categoria, chiara sulla connessione quasi immediata tra fede e opere buone. Queste sono viste non come meriti, ma solo come frutto della fede.

Di quale fede? Non di quella della Chiesa (benché Lutero non abbia mai voluto escluderla), ma soltanto o quasi della “mia”. Per lui questa è determinante e basta, senza alcun bisogno di autorità diverse a insegnarmi il Credo e la morale.

Sacrosanto il rilievo messo sulla fede personale. Però – ed è probabilmente questo l’errore più grave di Lutero – tutto o quasi finisce chiuso nell’individualismo, un individualismo ancora credente e cristiano, però non più catto-romano (forse è significativo che nella pagina letta sopra non si accenni a gerarchie); ma poi quell’individualismo sfocerà, circa 100 anni dopo, in quello cartesiano del “io penso, io ragiono (non più credo) quindi io sono” e in quello moderno del “secondo me la verità e la giustizia è…”.

Insieme con quell’individualismo si intravvede in quella pagina il pessimismo luterano (pur corretto in altre pagine): io, da solo, non posso fare nulla di buono, anzi sono sempre e per sempre un peccatore destinato alla perdizione e alla maledizione. Unica leva di giustificazione e di salvezza la Grazia di Dio e la fede in Cristo. In verità, Lutero riconosce che ognuno, pur impastato di peccato, può almeno “chiedere che Dio operi in lui la fede” e quindi, dopo e senza mai vero merito, saper “dare a ciascuno il dovuto”. È noto che il cattolicesimo sottolineava e sottolinea ancora l’importanza, accanto e dopo la Grazia, della libertà umana, fino a un’eccessiva enfasi sui “meriti” personali (nonostante che già il Concilio di Trento negasse l’esistenza di veri meriti).

 

Dalle lotte al dialogo

Purtroppo – e nonostante tentativi di dialogo – anche al concilio di Trento (1538-63), per quasi 5 secoli, non ci si intese e ci si combatté anche sanguinosamente (cf. la guerra dei 30 anni in Germana, 1608-48), Lutero venne anche calunniato da cattolici e mal compreso da molti protestanti, anzi addirittura alquanto rifiutato da loro. Solo da circa un secolo Lutero è rivalutato (forse più da noi che da loro) e più capito. Pur con i suoi limiti, errori e peccati, Lutero (morto nel 1546) appare anche come un forte credente in Cristo, ancora legato al Credo tradizionale di tutte le Chiese. Tra l’altro, Lutero crede nella presenza “reale e pur misteriosa” di Cristo nell’eucaristia e ha un lungo e bel commento al Magnificat di Maria.

Uno dei più vistosi segni di questo nuovo clima è la sorprendente Dichiarazione congiunta sulla giustificazione!, sottoscritta nel 1999 da due commissioni ufficiali, una pontificia e l’altra di pastori e teologi protestanti: cattolici e luterani sostanzialmente d’accordo proprio su quel cruciale tema!

Un altro segno sarà l’intervento di papa Francesco in Svezia per l’inaugurazione ufficiale del V centenario dell’inizio della Riforma luterana. Sarebbe bello se, anche ricuperando i valori fondamentali di Lutero, tutti insieme riusciamo a far riscoprire a tutte le Chiese – classiche o moderne – e all’umanità intera la splendida luce della persona e del messaggio di Gesù. Non ne abbiamo bisogno? Il resto, ossia altri aspetti più o meno importanti del dialogo catto-luterano, possono attendere un prossimo futuro. Per ora l’essenziale.

 

Per saperne un po’ di più: Walter Kasper, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica, Queriniana, Brescia 2016, pp. 80;   Stefano Cavallotto, «Lutero e la riforma tedesca»in  AA.VV., Storia religiosa della Germania, vol. I, Centro ambrosiano, Milano 2016, pp. 241-282; Margot Käsemann, «Sul giubileo della riforma (una vescova luterana aiuta cattolici e protestanti  a vivere con reciproca simpatia l’evento del 2017)», in Il Regno documenti, 11/2016, pp. 381-390; Michel  Lemonnier, Storia della Chiesa, ISG, Vicenza 2013, pp. 307-322.

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