I 700 Anni Di Santa Chiara Da Montefalco - Una croce di carne dentro il cuore

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 Un Pellegrino vaga tra i filari dove oggi cresce uno dei vini più eccelsi, il Sagrantino, e pianta la sua croce nel cuore di una ragazza bellissima. Quando muore, a soli 40 anni, la ritroveranno incisa nel muscolo. Sarebbe una straordinaria leggenda medievale, se non fosse invece una storia accaduta 700 anni fa e documentata nel processo canonico.

  

Il 17 agosto la Chiesa fa memoria di santa Chiara della Croce. Il 17 agosto 1308, infatti, a soli 40 anni, Chiara di Damiano muore a Montefalco, nel monastero di santa Croce, dove era badessa. Le sue monache, assolutamente convinte della sua santità, nel desiderio di conservarne il corpo, procedono a tutte le operazioni necessarie al caso. Quando tolgono il cuore, ricordando le parole insistenti della loro badessa («Ajo Jesu Cristo meo entro lo core meo») lo aprono come si aprirebbe una melagrana e, a loro dire, vi trovano i segni della passione di Cristo: la croce, la colonna, lo staffile, la lancia, l’asta con la spugna per l’aceto.

La notizia si propaga in un battibaleno e le strade della bella cittadina umbra, oggi giustamente famosa per il Sagrantino, si riempiono di gente, con in testa il podestà e le autorità civili. Il medico ha certificato l’eccezionalità della scoperta e anche le autorità religiose, salite da Spoleto a Montefalco per punire una forma di esaltazione religiosa, si sono arrese di fronte a quelli che a tutti apparivano come i segni della passione nel cuore di Chiara.


Gesù appare a Chiara («Nel tuo cuore ho trovato un luogo forte dove piantare
la mia croce»), Cappella di Santa Croce, affresco anonimo, 1333.

Oggi la scienza può spiegare meglio quella particolare morfologia cardiaca, sgombrando il terreno dagli aspetti troppo miracolistici per focalizzarsi sull’aspetto più propriamente spirituale della vicenda di Chiara. Vicenda davvero straordinaria per intensità e passione dell’amore, dove i segni della passione rimandano a un cammino di conformazione a Cristo unico, capace ancora oggi di stupire e di interrogare chi, senza preclusioni, voglia misurarsi con le scelte di questa donna di straordinaria bellezza, esteriore e interiore.

La storia

Ma vediamo con ordine i fatti. Chiara nasce nel 1268 da Damiano e Giacoma, seconda di quattro figli: Teodora, la più piccola, morirà in fasce; Francesco, nato nel 1270, sarà frate francescano, lettore in teologia, provinciale dell’Ordine per la Valle spoletina; la prima, Giovanna, di 14 anni più grande, sarà la prima badessa del monastero di Santa Croce. Tutto inizia con la scelta di Giovanna di farsi "reclusa", di consegnarsi cioè a quella forma di consacrazione assai diffusa a quel tempo, che potremmo definire alternativa rispetto a quella praticata nei grandi ordini monastici e religiosi maschili e femminili.

Il fenomeno, che investe tutta l’Europa, vede uomini o donne, singolarmente o in forma comunitaria, rinchiudersi volontariamente in un luogo – di qui il nome reclusorio o carcere (chi non ricorda le Carceri di Assisi?) ma anche "bizzocaggio", perché queste donne venivano chiamate "bizzoche" – dove, vivendo di elemosina, si dedicavano a una vita di preghiera e di penitenza.

Anche Giovanna fa questa scelta e si ritira con l’amica Andriola nel reclusorio a ridosso delle mura della città, costruito dal padre Damiano in un terreno di proprietà della famiglia (che doveva essere agiata, se nella parentela ci sono notai). A soli sei anni, Chiara prende a frequentare la sorella: ne imita i gesti, ne ripete le preghiere, incomincia le penitenze, entrando in un cammino di conformazione alla passione di Cristo che caratterizzerà tutta la sua vita. Vuole essere tutta per il suo Signore e comincia un distacco da tutto e da tutti, infliggendosi penitenze severissime – flagellazioni, genuflessioni, prostrazioni, servizi umilianti, digiuni – che allarmano la stessa sorella, la quale la invita alla misura.


La croce di carne trovata dentro il cuore dalle monache
che volevano imbalsamare il corpo di Chiara.

Da "reclusa" al monastero

L’esperienza di reclusa dura fino al 1290, anno in cui il vescovo di Spoleto erige Santa Croce a monastero, scegliendo per le monache la regola agostiniana. La crescita numerica della comunità costringe questo gruppo di giovani donne a spostarsi dal primo reclusorio a uno più grande. La decisione è sostenuta ancora una volta da Damiano, il quale si fa carico della costruzione del secondo reclusorio, poco distante dal primo, dove ancora oggi sorge il monastero. La morte improvvisa del padre, a lavori non ancora ultimati, consegna le giovani a una esperienza drammatica: le altre case religiose e le stesse autorità comunali osteggiano il nuovo reclusorio, con la motivazione che la città non è in grado di sostenere con la sua carità anche questo nuovo insediamento.

Chiara e le sorelle sono costrette a una vita di stenti e devono ricorrere all’accattonaggio. Sarà un’esperienza che segnerà profondamente Chiara e la comunità. L’intervento del vescovo di Spoleto appiana la situazione, anche se non spegnerà le forme di ostilità verso questo nuovo monastero, posto sotto la guida di Giovanna, prima badessa, dal momento dell’erezione fino alla morte, avvenuta un anno e mezzo dopo, nell’autunno del 1291.

È questo il primo periodo della vita di Chiara, che non è diverso da quello di tutte le recluse, se non per intensità della vita di penitenza e radicalità delle scelte. La sua regola è l’obbedienza alla sorella, donna di grande autorità che la guida e ne tempera le esagerazioni. La morte di Giovanna provoca uno sbandamento, acuito da uno stato interiore di deserto – la «notte dell’anima», dirà Teresa d’Avila –, in cui sperimenta l’abbandono e il silenzio di Dio per aver peccato di vanità, «essendosi sentita qualcuno» perché il Signore rispondeva alle sue richieste di grazia. Questo periodo, che la purificherà e l’affinerà, durerà undici anni, durante i quali un senso profondo di indegnità e di inadeguatezza la spinge a cercare con ancora più intensità il Signore. È in questo travaglio che Chiara comprende la vita in Cristo e i suoi dinamismi, e matura una capacità di discernimento, accompagnata da carismi straordinari, che ancora oggi destano stupore.


Il ritratto affrescato da Benozzo Gozzoli nel coro monastico, secolo XV.

Chiara diventa badessa

Peraltro, questa prova avviene quando Chiara è già badessa: le sorelle l’hanno indicata all’unanimità a succedere a Giovanna. Dopo aver supplicato di essere risparmiata, assume questo incarico e serve le sorelle con grande capacità di guida della comunità. Attenta ai bisogni di tutte, ne rafforza il desiderio di santità, alimentandolo con la proposta dell’ideale di vita comune che sta alla base della regola agostiniana. È in questo periodo che rivela doni incredibili, come la conoscenza del cuore altrui, la preveggenza, la profezia. A scorrere la Vita scritta da Berengario, il vicario del vescovo di Spoleto che curerà i due processi di canonizzazione – quello diocesano e quello papale –, si resta sorpresi dal numero degli episodi in cui Chiara rivela al suo interlocutore ciò che egli cela in cuore, invitandolo alla conversione.

L’episodio più famoso è lo scontro con fra’ Bentivenga, un grande predicatore francescano che aveva aderito alla setta del Libero Spirito – un gruppo spirituale nella galassia dei movimenti pauperistici del Medioevo che professava e praticava una dottrina in cui si giustificava la lussuria in nome della libertà dello spirito – e che aveva tentato di piegare la giovane badessa alle sue idee. Chiara non solo non cade nel tranello, ma ne smaschera le argomentazioni e, attraverso il fratello, lo denuncia al tribunale dell’Inquisizione.

Per la nostra coscienza critica, che giudica un istituto ecclesiastico dai suoi abusi e dalle sue degenerazioni, questa scelta appare criticabile. Ma la decisione di Chiara è in linea con la sua volontà di custodire la comunità che le era affidata: troppi monasteri, per aver aperto le porte alla setta del Libero Spirito, si erano trasformati in bordelli. D’altronde, la donna non era sprovveduta: raccontano le fonti che alla grata del monastero arrivavano in continuazione prelati e teologi, a porre a Chiara – «donna illetterata» – questioni dottrinali, a cui sempre rispose con chiarezza e acume. Non per nulla le si attribuisce il titolo, tutto maschile, di defensor fidei.


Chiara muore seduta sul lettuccio, con gli occhi rivolti verso il cielo
e il viso illuminato dalla luce.

Ma più dei teologi e degli ecclesiastici – compresi i cardinali Colonna e Orsini – alla grata del monastero Chiara accolse i poveri nel corpo e nello spirito: a tutti dona ciò di cui hanno bisogno, fosse anche il necessario per il monastero, nella più completa fiducia in Dio provvidente; a nessuno fa mancare la sua parola che illumina le anime. Ogni giorno da Santa Croce partiva per l’ospizio di San Leonardo un paniere con 12 pani, in memoria dei 12 apostoli.

Dopo la morte

Questa attività febbrile a favore degli altri – la comunità delle monache e i tanti che bussavano alla porta del monastero – mai la distolsero dalla ricerca radicale ed esclusiva di Dio. La Vitaracconta di una visione in cui Gesù stesso le appare come pellegrino alla ricerca di "un luogo forte" dove piantare la sua croce. È il cuore stesso di Chiara: «Ajo Jesu Cristo meo entro lo core meo». Il suo rapporto con Dio è tutto segnato di ripetute estasi, in una delle quali vede i tempi e i modi della Passione e percepisce anche sensibilmente il dramma della crocifissione.

Dopo periodi prolungati di malattia, le monache le fanno preparare un lettino mobile. Adagiata su questo, si fa portare nell’oratorio, dove muore. L’affresco della cappella la ritrae seduta sul lettuccio, circondata dalle sorelle, tutta tesa all’incontro con Cristo. «Portami con te!», diceva al Signore; e alle sorelle, in una concitazione d’amore: «Tutte le cose ardono, tutte le cose ardono, e voi che fate?». I suoi ultimi detti riverberano questo desiderio in cui si consuma la sua vita: «Bel gli è, bel gli è, bel gli è vita eterna! Non mi si afà, Segnore, sì gran pagamento»; «Tucta vita eterna me s’apparecchia, che me se revôle»; «Tucti noi ci allegriamo e cantiamo Te Deum laudamus, che Jesu meo me se revôle».

Tutto della vita di Chiara esprime una sequela di Cristo nella radicalità evangelica della morte a sé stessa, che trova il suo compimento alla comunione d’amore con Dio: «O Segnore, qui sci salli e quali son le scale per le quali sci salli? Non lo po dire, Segnore, se non chi è enflammato d’amore».

Per chi sale a Monfefalco ed entra nel monastero di Santa Croce, oggi di Santa Chiara, è possibile percepire il riverbero di questo amore che ha consumato una donna straordinaria e ce ne riconsegna la memoria, perché possiamo – alla luce del suo esempio – rivedere e rafforzare le nostre fragili scelte di amore per Dio e per i fratelli.

Dario Vitali
dal 13 giugno professore ordinario della Facoltà di teologia,
Pontificia università gregoriana


Chiara piantò il bastone dal Pellegrino nel giardino. Crebbe così un albero,
sconosciuto in Italia, originario dell’Himalaya.

 Fonte: http://www.stpauls.it/

Ultima modifica il Domenica, 10 Aprile 2016 16:14

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